Prima informarsi, poi governare

Rileggere il passato aiuta spesso a capire il presente. Così, basta sfogliare le pagine dei vecchi numeri di Panorama per capire quanto siamo stati miopi. O meglio: quanto è stata poco lungimirante la classe politica che ci ha governato dal 2014 a oggi. Vi chiedete a che cosa mi stia riferendo? Lo spiego subito. Come sapete, per celebrare i sessant’anni di Panorama alcuni colleghi si sono messi a cercare i migliori articoli della nostra vita. E tra questi, me ne hanno proposto uno che ho divorato con gli occhi appena l’ho visto. Si tratta di un’intervista che il nostro Guido Fontanelli fece nella primavera di otto ani fa ad Alexander Medvedev, numero due di Gazprom, il colosso russo dell’energia. Vladimir Putin aveva annesso la Crimea da appena un mese e l’Occidente aveva reagito con le prime sanzioni contro Mosca. Ma dal suo ufficio, a poche centinaia di metri dal Cremlino, il manager russo non sembrava troppo preoccupato dalla crisi scatenata dalle tensioni con l’Ucraina, tanto da fare alcune dichiarazioni che, lette con il senno di poi, ci dovrebbero far riflettere. Già il titolo dell’intervista - Europei rassegnatevi: non potete fare a meno del gas russo - avrebbe dovuto metterci in allarme. O meglio: far rizzare le antenne a chi a quell’epoca stava al governo (Matteo Renzi aveva appena soffiato la poltrona a Enrico Letta, il quale però prima di andarsene aveva fatto in tempo a baciare la pantofola a Putin, partecipando - unico leader occidentale - all’inaugurazione dei giochi invernali di Sochi). Al contrario, l’intervista non suscitò alcuna preoccupazione.

A quei tempi, l’Italia aveva ridotto l’importazione di metano da altri Paesi, tra cui l’Algeria, per aumentare quella da Mosca, arrivando a sfiorare una percentuale del 40 per cento, vale a dire tantissimo. Eppure, nonostante Medvedev avesse detto che l’acquisto di gas americano sarebbe stato per l’Europa molto costoso e dunque i Paesi della Ue non avevano alternative alla dipendenza dal metano russo, nessuno si allarmò. Nessuno ritenne che fosse arrivato il momento di ripensare il modello di approvvigionamento energetico. Il ricatto era già nell’aria, perché Mosca aveva già deciso di tagliare le forniture all’Ucraina e di conseguenza ai Paesi che dai tubi di Gazprom venivano riforniti. Già si intuiva che la crisi fra Kiev e Mosca rischiava di pesare sul nostro sistema economico e la minaccia di un uso politico del prezzo del gas era evidente, perché Medvedev spiegò nel dettaglio che se il Vecchio continente avesse deciso di rivolgersi a Occidente, cioè comprando il metano dall’America, avrebbe dovuto pagare un prezzo molto più alto, che il numero due del colosso russo indicò nel doppio rispetto alla quotazione del metano di Putin.

Insomma, chi voleva capire - o meglio chi era in grado di capire, cioè gli esperti di mercato dell’energia e per mandato chi era alla guida di un Paese -, aveva tutti gli elementi per valutare a quale rischio l’Italia andasse incontro. Invece, per otto anni né politici né imprenditori fecero niente, preferendo ignorare l’intervista di Panorama (ma anche gli altri segnali che arrivavano dal Cremlino), continuando a dipendere da Mosca. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. All’improvviso, dopo una crescita molto forte delle quotazioni sul mercato del gas, Putin ha invaso l’Ucraina, con le conseguenze a tutti note. Il prezzo del metano, già alto per effetto della ripresa dopo due anni di Covid, è schizzato alle stelle e gli italiani (ma anche i nostri cugini europei) si sono trovati a fare i conti con bollette da record, per ovviare alle quali l’unica soluzione pare ridurre i consumi, cioè battere i denti.

In otto anni si poteva fare qualche cosa per evitare il ricatto russo e, soprattutto, di finanziare la guerra di Putin pagando cara l’energia che ci serve per riscaldarci e far funzionare le nostre aziende? La risposta è sì. Si potevano fare molte cose, compreso cercare fonti alternative, cioè quello che si sta facendo in questi mesi, in fretta e male. Perché un conto è affrontare un problema avendo a disposizione il tempo necessario per pianificare delle scelte, un altro è rincorrere con affanno una soluzione. Ecco. Leggere, documentarsi e informarsi, serve a questo: a capire ciò che ci aspetta e prepararsi ad affrontarlo. Vale per noi, nella nostra vita quotidiana, ma vale soprattutto per chi fa politica e ha ambizioni di governo. Un leader può essere brillante e simpatico quanto si vuole, ma se non sa comprendere le sfide che ha davanti non serve al Paese. Vale per Renzi e per coloro che sono venuti dopo di lui.

Ecco, a seguire, lo speciale che Panorama ha dedicato a questi anni.









Verso un futuro senza fumo

Stefano Volpetti, presidente dei prodotti «smoke free» e CCO di Philip Morris International.

Trovare strade alternative alle sigarette e, in futuro, smettere di produrle. È il cammino intrapreso da Philip Morris International con Iqos, un dispositivo privo di combustione. L’ultima versione introduce una rivoluzione tecnologica pensata per assecondare le richieste del consumatori. L’obiettivo è migliorare la salute pubblica: una partita in cui l’Italia ha un ruolo di primo piano.

di Marco Morello

Definire ambizioso l’obiettivo, significherebbe sminuirlo. Sottovalutarne le implicazioni, la portata, la numerosità dei destinatari: «Si tratta di modificare la traiettoria della salute pubblica a livello globale. Nel mondo ci sono 1,1 miliardi di fumatori. Vogliamo fare la nostra parte: eliminare le sigarette in tempi ragionevoli, rendere possibile un cambiamento significativo».

A parlare è Stefano Volpetti, presidente dei prodotti smoke free e Chief Consumer Officer di Philip Morris International, ovvero l’azienda che ha deciso di stravolgere i suoi paradigmi, smantellare il business storico, virare con decisione verso altrove, cioè puntare su strade alternative alle sigarette. Ovvero, in un futuro non troppo distante, smettere di produrle del tutto. Fornire, piuttosto, soluzioni innovative senza combustione a rischio potenzialmente ridotto, dedicate a chi non smette di fumare. «Oggi non ci sono tante sfide dall’impatto così grande. L’idea, la prospettiva che contiene, ci stimola e ci dà parecchio orgoglio» commenta Volpetti, romano con una lunga esperienza internazionale alle spalle, non fumatore e, per sua stessa definizione, «health freak», un salutista convinto.

Certi traguardi non s’improvvisano, sono il frutto di semi piantati da tempo. Una strada è Iqos, che scalda il tabacco senza bruciarlo. L’approdo sul mercato è avvenuto nel 2014, ma già dal 1990 la multinazionale aveva iniziato a sperimentare avanguardie evolute e hi-tech. Tentativi ed errori, approfondimenti e correzioni di rotta, in una pura logica da start-up: «Abbiamo investito oltre 9 miliardi di dollari per sviluppare il prodotto. Lo abbiamo commercializzato al termine di un lunghissimo lavoro di ricerca».

Milano, assieme alla giapponese Nagoya, è stata la prima città in cui Iqos ha fatto il suo debutto: «E non solo per il richiamo, il glamour, il peso specifico internazionale del capoluogo lombardo. Per la nostra azienda, il ruolo dell’Italia è cruciale: gli stick, le ricariche che fanno funzionare Iqos in tutto il mondo, sono prodotte nella fabbrica di Bologna. Ci lavorano 1.700 persone, che salgono a 38 mila se consideriamo l’intera filiera. I nostri prodotti senza combustione hanno cuore e Dna italiani».

Come avviene di regola per lo smartphone, altro oggetto diventato di massa, il dispositivo si è evoluto negli anni, ingentilendo il suo design e offrendo funzioni supplementari. In parallelo, è aumentato il numero di consumatori che l’hanno scelto e hanno abbandonato le sigarette: erano 1,5 milioni nel 2016, quasi 10 milioni tre anni più tardi, alla fine dello scorso settembre erano 13,5 milioni. Philip Morris si aspetta raggiungano quota 40 milioni entro il 2025.

«Già ora» aggiunge Volpetti «abbiamo 10 Paesi in cui oltre il 50 per cento del nostro fatturato dipende da prodotti smoke free. Per il 2025 ci aspettiamo che più della metà del fatturato globale dell’azienda derivi da queste soluzioni». Così, un lungo passo alla volta, abbandonare la produzione delle classiche bionde diviene sempre più fattibile. «E tra 10-15 anni immaginiamo di poter avere i primi Paesi senza sigarette. Non stiamo parlando di un secolo, è un orizzonte ragionevole, non troppo distante».

Un balzo in avanti, un’accelerazione ulteriore in questo senso potrebbe arrivare da Iluma, l’ultima evoluzione di Iqos che incorpora una rivoluzione tecnologica: il riscaldamento del tabacco avviene per induzione, grazie a una piccola lamina inserita dentro lo stick, che ora si chiama Terea e resta completamente sigillato per l’intera esperienza d’uso. «L’effetto è duplice: non è più necessario pulire il dispositivo e secondo i consumatori la riduzione dell’odore è notevole». Ovvero vengono meno i principali elementi meno graditi agli utilizzatori del prodotto. «Ascoltare i consumatori, intercettare le loro esigenze, è la bussola che guida ogni nostra novità».

Iluma ha due versioni: quella Prime, dalle forme e i materiali più raffinati e l’alto tasso di personalizzazione estetica; un’altra che riprende lo stile delle generazioni precedenti, comunque incorpora il medesimo salto tecnologico. In Giappone, dov’è già disponibile, sta funzionando molto bene: «Il 25 per cento dei fumatori sono passati a Iqos. La differenza è visibile già nelle strade».

Il punto è che la sfida non è solo commerciale, richiede una comunicazione appropriata per coltivare una consapevolezza nel pubblico. Reclama norme e regole coerenti: «Non possiamo fare tutto da soli» sottolinea Volpetti. «Abbiamo bisogno» spiega, «di uno schema regolamentare che aiuti la transizione dei fumatori maggiorenni dalle sigarette tradizionali verso i prodotti senza combustione. Su questo punto, c’è ancora molto da fare. Da parte nostra, siamo molto chiari nei nostri messaggi. Lo ripetiamo sempre: se non fumi, non iniziare. Se fumi, smetti. Se non smetti, cambia». E la storia, si sa, è scritta dai cambiamenti.


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