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Un soldato francese in Burkina Faso il 12 novembre 2019 (Getty Images).
Politica

Macron cerca la sponda americana in Africa

La Francia ha annunciato che non ritirerà le sue truppe dal continente nero. Un cambio di rotta dovuto alla speranza di incrementare il coinvolgimento militare europeo e statunitense.


Potrebbe essere una svolta quella annunciata martedì, in occasione del vertice G5 Sahel di N'Djamena, a cui – oltre alla Francia – hanno preso parte Mali, Burkina Faso, Ciad, Niger e Mauritania. Parigi ha ribadito il proprio impegno nel contrasto al terrrismo islamista, ritardando così la riduzione delle proprie truppe nella regione.

Intervenendo in teleconferenza, il presidente francese Emmanuel Macron ha annunciato che non cambierà il numero di soldati francesi (attualmente attorno ai 5.100) almeno fino all'estate: una dichiarazione che cozza con precedenti affermazioni del capo dell'Eliseo, il quale – anche a causa di pressioni interne – aveva lasciato intendere di coltivare l'idea di un graduale disimpegno dall'area.

«Penso che accelerare un ritiro francese o desiderare di ritirare in massa i soldati , che è un'opzione che ho studiato, sarebbe un errore» ha in tal senso affermato, dicendosi inoltre ottimista sulla possibilità di infliggere duri colpi al terrorismo islamista. In questo senso, il capo dell'Eliseo ha parlato di «risultati tangibili», per quanto non vada comunque trascurato che i problemi restino sul campo. Le forze jihadiste restano radicate (soprattutto in Niger e Mali), mentre – a dicembre scorso – la Francia ha perso cinque soldati.

È possibile ritenere che questo cambio di rotta sia dovuto alla convinzione di poter incrementare il coinvolgimento militare europeo e statunitense nell'area. In primo luogo, il vertice ha non a caso ribadito l'importanza e la centralità della Takuba: task force, a guida francese, costituita da soldati europei, a cui – da marzo – prenderà parte anche il nostro Paese. Non è affatto escluso che, con questo corpo armato, l'Eliseo voglia da una parte ridurre i rischi dell'Esagono nel Sahel e dall'altra approfittarne indirettamente per rilanciare i sogni di leadership politica francesi in seno alla stessa Unione europea.

Obiettivo comunque arduo da conseguire, visto che – sempre martedì – il ministro degli Esteri tedesco, Heiko Maas, ha ribadito l'indisponibilità della Germania a essere coinvolta in operazioni militari nel Sahel (ricordiamo che Berlino impiega al momento dei militari in Mali per attività di addestramento e stabilizzazione). Ed è quindi così che, anche nel lontano Sahel, l'asse franco-tedesco di fatto scricchiola.

In secondo luogo, bisogna fare molta attenzione agli Stati Uniti. Negli ultimi anni, Donald Trump e Macron avevano attraversato delle fasi di tensione, anche a causa del fatto che l'allora presidente americano voleva drasticamente ridurre il coinvolgimento di Washington nel Sahel. Una linea che l'inquilino dell'Eliseo considerava pericolosa per la sicurezza delle truppe francesi e – più in generale – potenzialmente foriera di instabilità regionale.

Adesso, con l'avvento di Joe Biden alla Casa Bianca, è probabile che Macron ritenga possibile un cambio di rotta da parte dello Zio Sam. Non sarà un caso che il leader francese abbia parlato, nel corso del vertice, di una «attenzione» da parte del neo segretario di Stato americano, Tony Blinken. Un Blinken che, secondo quanto riferito da Bloomberg News, avrebbe tra l'altro inviato un videomessaggio al summit di N'Djamena.

Insomma, Macron sta probabilmente pensando che la nuova amministrazione americana sconfesserà la linea di Trump e si lascerà maggiormente coinvolgere nel Sahel. Una convinzione che, se vogliamo, nasce anche da un calcolo, visto che il leader francese sta giocando in questi giorni di sponda con gli Stati Uniti su vari dossier (si pensi soltanto al 5G e agli accordi di Parigi sul clima). Una «scommessa», quella di Macron, che non è tuttavia detto si riveli vincente. È pur vero che, a livello generale, Biden sarà maggiormente propenso a una politica estera proattiva (e finanche interventista). Ma sarà, nel caso, una condotta che il neo presidente americano prevedibilmente si permetterà solo in quelle aree che il Dipartimento di Stato ritiene prioritarie.

Molto più difficile che ciò accada senza batter ciglio in territori problematici (e considerati, a torto o a ragione, di minor importanza strategica per gli interessi americani), come il Sahel. Ricordiamo sempre che Biden deve fare i conti con un'opinione pubblica interna (e con una parte del suo stesso elettorato) sempre più insofferente verso i coinvolgimenti militari all'estero.

Il neo presidente americano, per capirci, si sta già trovando ad affrontare il dilemma afghano: dovrà presto decidere se completare il ritiro delle truppe (e aumentare l'instabilità locale) o se mantenere i soldati americani sul terreno (attirandosi così gli strali dei suoi stessi elettori). Ecco: con tali problemi ben più urgenti, è difficile che Washington accetterà concreti impegni militari nel Sahel a fianco dei francesi. L'isolamento africano di Macron rischia quindi di persistere.

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Stefano Graziosi