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Louis Garrel: «Ho trasformato il thriller in commedia»

Louis Garrel: «Ho trasformato il thriller in commedia»

L’attore francese, lanciato da Bernardo Bertolucci in The Dreamers e protagonista di molte pellicole tra cui Piccole donne, racconta a Panorama il suo ultimo film, L’innocente, in cui recita e fa il regista: «Non è stato difficile, interpreto me stesso, nella storia della mia vita».


«Non ci sono tanti happy ending nel cinema francese, forse perché molti li considerano un po’ volgari. Però a me piacciono e trovo che sia bello vederli al cinema. Per questo il mio film finisce bene, anche se non come ci si potrebbe aspettare». Louis Garrel, 40 anni il prossimo 14 giugno, figlio d’arte di Philippe, regista della Nouvelle Vague, e dell’attrice Brigitte Sy, lanciato nel cinema «che conta» a 20 anni da Bernardo Bertolucci in The Dreamers, è diventato nel tempo un attore maturo e un regista interessante, che non ha il vizio di fare film pretenziosi. L’ultimo, in cui dirige e recita, è L’innocente, in uscita il 19 gennaio dopo l’anteprima al festival di Cannes, in cui interpreta Abel, un vedovo a cui è rimasta la consolazione della compagnia di Clémence (Noemie Merlant), amica della sua defunta sposa. Il suo problema maggiore è però la madre Sylvie (Anouk Grinberg), attrice che si presta a fare workshop in carcere e si innamora troppo facilmente dei detenuti. Michel (Roschdy Zem), l’ultimo di una lunga serie, sembra fare sul serio: appena uscito con la condizionale, decide di sposare Sylvie e i due mettono su una botteguccia di fiori, con i soldi prestati da un amico di lui in cambio di una percentuale sui ricavi. Abel, sospettoso, cerca di dissuadere la madre, poi fa amicizia con il suo nuovo patrigno, ma non perde occasione di pedinare l’uomo, convinto com’è, che abbia in mente qualche losco piano. «Volevo girare una storia romantica, ma non volevo che fosse il solito film già visto mille volte», racconta Garrel. «E così mi è venuto in mente qualcosa che è più che altro un mix di generi, visto che intreccia il thriller, la commedia e appunto una vicenda amorosa».

Da dove le è venuta l’idea?

Ho avuto l’ispirazione da un fatto personale, perché mia madre teneva laboratori di recitazione nei penitenziari. Dopo aver divorziato da mio padre, si è risposata con un carcerato che si chiamava Michel. Io avevo 17 anni ed essendo minorenne non ho potuto partecipare al matrimonio. Quindi questo film è il modo di imbucarmi a quell’evento molti anni dopo.

Anche lei nutriva una certa animosità nei confronti del nuovo compagno di sua madre come fa il suo personaggio nel film?

In realtà mi stava simpatico, e alla lunga ho legato con lui. Penso che sia interessante incontrare e conoscere persone che vengono da storie e ambienti molto diversi dal proprio. Se ci pensa, il modo in cui sono strutturate la società e la famiglia fanno sì che si finisce per frequentare sempre persone del proprio giro.

Com’è, per lei che recita da quando aveva cinque anni ed ha avuto un ruolo in oltre 50 film, andare al festival di Cannes?

Ogni volta mi tremano le gambe, ma questa volta è stato peggio. Il direttore Thierry Fremaux mi ha chiamato per dirmi che il mio film sarebbe stato proiettato per la prima volta nella grande sala Lumière di fronte a 70 registi internazionali per celebrare il giorno del compleanno del festival. Quando mi ha chiamato sul palco per presentare il film, ero nervosissimo.

È riuscito dopo a godersi lo spettacolo?

Solo quando ho sentito la prima risata in sala. Quello è un suono che fa bene a noi attori e registi. Quando ho lavorato con il compianto Jean-Claude Carrière (sceneggiatore di capolavori come Bella di giorno, La piscina, Quell’oscuro oggetto del desiderio, ndr) mi ha insegnato che per conquistare il pubblico devi farlo ridere. E io adoro farlo, perché mi spaventa a morte l’idea di annoiare gli spettatori.

Le fa strano dirigere sé stesso in una storia autobiografica?

La storia non è totalmente autobiografica, altrimenti sarebbe noiosa. In ogni caso non è così strano: fin da bambino sono stato abituato in famiglia a questo mix di fatti vissuti reinventati per lo schermo.

La scena del furto sembra appartenere a uno di quei vecchi classici francesi del genere. Si è ispirato a qualcosa in particolare?

Mi sono riguardato diversi film, in particolare il brillante Sabato violento (1955) di Richard Fleischer e Rapina a mano armata (1956) di Stanley Kubrick, in cui l’azione prende una brutta piega a causa di una piccola storia d’amore. È delizioso assistere all’esibizione di mascolinità, virilità e violenza e vedere il tutto rovinato da una storia d’amore.

Di recente lei è apparso in Rifkin festival di Woody Allen e Piccole donne di Greta Gerwig. Ha voglia di una carriera internazionale?

Adesso accetterei, se mi proponessero nuovi film. Da giovane ho rifiutato alcuni ruoli perché odiavo prendere l’aereo, ma oggi ho superato quel blocco. Una volta un italiano mi ha visto agitato prima del decollo e mi ha detto: stia tranquillo, l’aereo è il mezzo più sicuro del mondo! Poi quando eravamo in aria era aggrappato disperato ai braccioli. Sull’aereo saltano fuori tutte le nevrosi, penso che potrei farci un film.

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