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Scenari di guerra: la variante russa

Scenari di guerra: la variante russa

Non c’è solo la Cina ad armarsi o a far salire la tensione. Mosca si muove a tutto campo: Ucraina, Baltico, Medio Oriente, Libia. I prossimi mesi saranno delicati perché le tensioni non si trasformino in conflitti.


«La finestra per evitare l’invasione è stretta» ha sostenuto Avril Haines, direttrice della National intelligence americana davanti agli ambasciatori della Nato negli incontri a porte chiuse fra il 16 e 17 novembre a Bruxelles. L’allarme riguarda i 92.000 uomini individuati dai satelliti, compresa la 1ª unità d’élite corazzata delle Guardie, uno dei reparti migliori dell’armata russa, dispiegati con armi pesanti a Yelnya, a 300 chilometri dalla frontiera ucraina.

Il Cremlino parla di «isteria occidentale alimentata artificialmente» smentendo qualsiasi piano d’attacco, ma la Casa Bianca ha mandato a Mosca il direttore della Cia, William J. Burns. La sua missione era mettere in guardia i russi da qualsiasi intervento in Ucraina, dove lo stallo dei negoziati rischia di far riesplodere la guerra dimenticata nel Donbass, regione separatista e filo russa.

La crisi nel cuore dell’Europa è la punta di un iceberg dei rapporti sempre più tesi con Mosca. A tal punto che il generale Nick Carter, capo di stato maggiore inglese, ha lanciato l’allarme «sul pericolo, mai così alto, di una guerra accidentale con la Russia».
L’ufficiale con 44 anni di carriera militare alle spalle non ha dubbi: «Molti dei tradizionali strumenti e meccanismi diplomatici con cui siamo cresciuti durante la guerra fredda non esistono più. E senza quelli… c’è un rischio maggiore».

Non è un caso che i corpi speciali inglesi e un’unità del genio siano stati inviati da Carter al confine polacco, dove il regime bielorusso, con il tacito consenso di Mosca, ha lanciato «la guerra ibrida» usando 4 mila migranti come arma di pressione ai confini Ue. I genieri inglesi aiuteranno l’esercito polacco, che ha inviato 15 mila soldati alla frontiera militarizzando l’area, a erigere un «muro».

Il 22 novembre il premier Mario Draghi ha parlato al telefono con il presidente Vladimir Putin, preoccupato delle tensioni nell’Est Europa. Dieci giorni prima i russi avevano alzato in volo i bombardieri nucleari Tu-22M3 sui cieli della Bielorussia, vicino allo spazio aereo polacco. E 250 paracadutisti russi si sono lanciati nella regione di Grodno, dove i migranti premono sul confine di Varsavia, partecipando a un’esercitazione con Minsk per mostrare i muscoli.

Il 18 novembre Putin aveva inviato un monito, snobbato dall’Occidente, sui «bombardieri strategici dei Paesi membri della Nato, che si sono spinti a volare fino a 20 chilometri dai confini della Federazione Russa. Hanno attraversato “le linee rosse” oltre i limiti del consentito».

Il generale dei paracadutisti, non più in servizio, Marco Bertolini dichiara a Panorama che «si rischia davvero una scintilla con i russi, che può far scoppiare qualcosa di grave. Gli americani alzano il livello di scontro, ma stanno scherzando col fuoco. Putin vuol porre un argine».

Il generale Kyrylo Budonov, a capo dell’intelligence militare ucraina, ha rivelato che le truppe di Mosca sarebbero pronte ad attaccare «fra fine gennaio e primi di febbraio su tre direzioni da Est, dalla Crimea e con incursioni minori dalla Bielorussia oltre a sbarchi anfibi a Odessa e Mariupol e lancio di paracadutisti». Se sarà guerra, l’intelligence ucraina è convinta che verrà preceduta da «operazioni psicologiche coperte» sui social e sul terreno per «fomentare proteste anti governative». Budonov denuncia di «averlo già visto con le manifestazioni no vax istigate dai russi».

Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ribadisce che «la Russia non attaccherà nessuno», ma sottolinea che l’Ucraina è una «fonte di forte preoccupazione» per le «provocazioni» dell’esercito di Kiev. Dall’annessione russa della Crimea nel 2014, gli americani hanno speso 2,5 miliardi di dollari per rafforzare gli ucraini. In settembre hanno mandato navi da guerra nel Mar Nero sotto il naso dei russi. La vera «linea rossa» inaccettabile per Mosca è l’ingresso dell’Ucraina nella Nato, mai escluso dagli Usa.

Kiev sta anche acquistando i droni d’attacco Bayraktar dalla Turchia, che hanno già dato filo da torcere agli alleati di Mosca in Libia e Nagorno-Karabakh. A fine ottobre un Bayraktar sarebbe stato utilizzato per la prima volta nel Donbass. Anche l’Italia è in prima linea sul fronte baltico, altro punto di attrito con Mosca. Il 13 ottobre due caccia bombardieri Eurofighter Typhoon della task force Aquila II hanno ricevuto uno «scramble», l’ordine Nato di intercettazione immediata di un velivolo sconosciuto entrato nello spazio aereo estone.

Il terzo allarme del genere da settembre, che di solito riguarda velivoli russi che testano la reazione dell’Alleanza atlantica. Oltre a piloti degli stormi di Grosseto, Gioia del Colle e Trapani, l’Italia schiera in Lettonia il task group «Baltico» con 238 militari e 135 mezzi compresi i carri armati Ariete. La Difesa spiega «che la Nato ha ritenuto opportuno rafforzare la propria presenza sul fianco Est dello spazio euro-atlantico» in seguito a una «specifica richiesta avanzata dai Paesi Baltici e della Polonia». Mossa che alimenta la sindrome dell’accerchiamento del Cremlino.

«Gli interventi militari russi in Ucraina, la riconquista della Crimea, la campagna di Siria e più recentemente in Libia sono la prova che Mosca vuole tornare a Yalta, riprendendo il controllo dell’area di influenza assegnata all’Urss sulle spoglie dei vinti» spiega a Panorama l’ammiraglio Giuseppe De Giorgi, ex capo di stato maggiore della Marina.

Anche il gas è terreno di scontro. Putin nella telefonata con Draghi ha assicurato l’Italia che non verranno tagliate le forniture al nostro Paese, ma i gasdotti verso Occidente passano per l’Ucraina e la Bielorussia di Alexander Lukaschenko, che il 12 novembre ha minacciato di bloccare i rifornimenti. Gli Stati Uniti hanno appena imposto sanzioni per il gasdotto russo Nord Stream 2, che deve arrivare in Germania, facendo infuriare il Cremlino.

Mosca risponde agli affondi occidentali sullo scacchiere globale: dalla Libia appoggiando tacitamente la candidatura alle presidenziali di Seif al-Islam, figlio del colonnello Muammar Gheddafi, alla Siria mediando fra i curdi, alleati abbandonati dagli americani, e il regime di Damasco fino all’Afghanistan dove strizza l’occhio ai talebani. Il 22 novembre bombardieri cinesi e russi hanno condotto il terzo pattugliamento congiunto delle aree del Mar del Giappone e Mar Cinese Orientale. Un chiaro segnale alla VII flotta Usa impegnata in un braccio di ferro militare con Pechino.

«Si rischia una nuova Guerra fredda o peggio “calda”» osserva De Giorgi. «La relativa debolezza americana, le pulsioni cinesi, la diffusione di armi nucleari e il crescente uso militare dello spazio sono ulteriori fattori di rischio, in grado di destabilizzare in modo potenzialmente irreversibile l’equilibrio internazionale».

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