Home » Viaggio al Polo Sud, obiettivo Marte

Viaggio al Polo Sud, obiettivo Marte

Viaggio al Polo Sud, obiettivo Marte

Due esploratori inglesi sono in viaggio, a piedi o con gli sci, verso il Polo Sud. Le conseguenze sul loro fisico di una missione così dura (lunga 80 giorni) aiuteranno a capire se uno sbarco umano sul Pianeta rosso sarà mai possibile.


I grandi esploratori dei primi del Novecento lo descrivevano come un viaggio di andata e ritorno dall’inferno più assoluto. Non c’è avventura più ardua che raggiungere a piedi o sugli sci il Polo Sud geografico affrontando le condizioni climatiche più estreme di tutto il pianeta. È a questa impresa che sono chiamati oggi due esploratori inglesi, Justin Packshaw e Jamie Facer-Childs, nell’ambito di una missione alla quale collaborano la Nasa, l’European space agency (Esa) e l’Università di Stanford. Negli oltre 80 giorni di viaggio a piedi e con gli sci a trazione con aquiloni (snowkiting) i due esploratori percorreranno 2.150 chilometri dell’Antartide da costa a costa passando per il polo sud geografico. Partiti dalla stazione base russa di Novolazarevskaya, nella cosiddetta costa della principessa Astrid, latitudine 70 gradi sud, giungeranno fino alla latitudine di 90 gradi (Polo Sud), per proseguire fino al margine meridionale della piattaforma di ghiaccio Filchner-Ronne (latitudine 79 gradi sud) e al campo del Ghiacciaio Unione nella costa di Zumberge. Il principale obiettivo della spedizione, chiamata Chasing the light («A caccia della luce») è raccogliere dati sulla resistenza e la capacità di adattamento fisica e psicologica degli esseri umani in condizioni estreme, assimilabili a quelle di altri mondi come Marte.

Di fatto, è una preparazione a un futuro sbarco sul Pianeta rosso. I due viaggiatori inglesi, che hanno finora coperto 1.479 chilometri in 44 giorni e si trovano a circa 1.300 chilometri dal polo sud geografico, potranno incontrare venti fino a 320 chilometri orari e temperature fino a – 50 gradi centigradi.n Su Marte, i futuri esploratori potrebbero sperimentare un clima simile e una forte escursione termica: la temperatura media è 63 gradi sotto zero con estremi che vanno dai -140 gradi degli inverni polari ai 20 estivi; ma nell’emisfero meridionale le temperature estive sono maggiori di quelle a nord di circa 30 gradi. Man mano che avanzeranno portando con sé slitte con carichi di 200 chili, i due preleveranno e analizzeranno con l’aiuto di sofisticate tecnologie campioni di sangue, saliva, urina e feci.

Jamie Facer-Childs, classe 1987, è un medico dell’University College Hospital di Londra che ha curato pazienti Covid ed è anche noto per avere attraversato a remi l’Oceano Indiano. Justin Packshaw invece è stato ufficiale della British army, velista, scalatore del monte Everest oltre ad aver esplorato varie zone del Polo Nord e Sud. Se prendiamo come esempio il 44° giorno di viaggio, a fronte di una temperatura di -34 gradi centigradi, una velocità del vento di 27 km orari e un’altitudine di 2.554 metri, i parametri di Packshaw erano: 93 battiti cardiaci al minuto, 8.100 calorie bruciate, livello di stress 31 per cento e 6,5 ore di sonno. I parametri di Facer-Childs: 108 battiti cardiaci al minuto, 8.352 calorie bruciate, livello di stress 40 per cento e 7,40 ore di sonno.

La Nasa valuterà molte altre reazioni dell’organismo, come la capacità di stimare le distanze con la vista: sembrerebbe che in contesti alieni questa abilità venga meno, tanto che durante la missione dell’Apollo 14 del 1971 i due astronauti Alan Shepard e Edgar Mitchell pensarono erroneamente di essere a un chilometro e mezzo dal cratere Cone quando invece quest’ultimo era solo qualche decina di metri più lontano. Dalla spedizione arriveranno anche dati climatici importanti e misure di cui l’Esa ha forte necessità perché i satelliti non orbitano sopra il Polo Sud ma arrivano al massimo a 88 gradi sud di latitudine. Grazie al lavoro di Packshaw e Facer-Childs, i prossimi modelli di esplorazioni spaziali potranno basarsi su nuovi dati di genetica, fisiologia e psicologia umana.

Uno dei fatti interessanti della spedizione è che i due inglesi sfrutteranno al massimo la capacità del vento di trascinarli sugli sci. Le spedizioni in Antartide dei primi del Novecento sfruttavano i cani o le motoslitte, ma mai lo snowkiting: un modo di spostarsi nella neve, paragonabile al kitesurfing in acqua, nato negli anni Sessanta e che in Italia è diffuso in zone come la Val d’Aosta, il lago Resia o Roccaraso. Per comprendere quanto il vento sia cruciale in questa spedizione basta leggere i diari giornalieri dei due viaggiatori: «Ci siamo svegliati nella calma della tenda» hanno scritto il 24 dicembre scorso «e questa calma era per noi motivo di preoccupazione: voleva dire che il vento si era preso un giorno di riposo, cosa molto rara da queste parti! A un esame più accurato, ci siamo accorti che in effetti soffiava a 11 km orari e così abbiamo smontato le tende e abbiamo provato ad andare. Niente da fare, non c’era abbastanza vento, era terribile dover perdere un giorno prezioso».

La scelta dei mezzi di trasporto era stata cruciale nelle celebre corsa alla conquista del Polo Sud tra l’esploratore norvegese Roald Amundsen e l’inglese Robert Falcon Scott. I due rivali si prepararono in modi differenti. Amundsen decise di puntare sui cani, Scott anche su 19 pony della Manciuria e slitte a motore. Nella sua mente, i cani non avrebbero mai retto per i 2.600 chilometri di andata e ritorno. Eppure, potevano essere nutriti con le foche che affollavano le coste, mentre i cavalli si cibavano solo di alimenti vegetali che dovevano essere trasportati e soffrivano già a -20 gradi. Il 20 novembre 1911 Amundsen e compagni raggiunsero l’altopiano antartico e il 17 dicembre alle 11 e 30, con il sole alto, prepararono il sestante per scoprire che avevano conquistato il Polo.

Nel piano di Scott, 16 uomini con slitte a motore, pony e cani avrebbero dovuto raggiungere il ghiacciaio di Beardmore. Poi, solo lui e altri quattro, Edward Wilson, Henry Bowers, Lawrence Oates ed Edgar Evans, avrebbero proseguito, il resto del gruppo sarebbe tornato indietro. Il 17 gennaio 1912 quei cinque giunsero al Polo per scoprire che erano stati preceduti dai norvegesi. Dai diari ritrovati sappiamo che il 21 gennaio Evans rimase indietro; Scott e gli altri, vedendolo lontano, si accamparono. A un certo punto Evans non fu più in vista. Montarono sugli sci e Scott fu il primo ad avvistarlo: sulle ginocchia, i vestiti in disordine, mani congelate. Qualche ora dopo morì. Già l’8 marzo i piedi di Oates erano in condizioni terribili. Il 16 marzo si trascinò per qualche chilometro finché il gruppo si accampò. Nella tenda, si alzò a fatica in piedi e disse: «Esco, potrei stare via per un po’». Andava volontariamente a morire nella tempesta. Il 25 marzo Scott scriveva nel diario: «Non possiamo sperare niente di meglio adesso. Terremo duro ma diventiamo sempre più deboli, la fine non può essere lontana». Erano le sue ultime parole. Il suo corpo e quello dei compagni furono scoperti il 12 novembre 1912 dai soccorritori. Come per Amundsen e Scott, contare solo sulla propria forza fisica e mentale sarà cruciale per Packshaw e Facer-Childs. Ma l’impresa di questi ultimi differirà dalle precedenti non solo per la capacità di spostarsi ma anche per quella di essere controllati a distanza.La Nasa sta osservando due organismi che cercano di adattarsi a condizioni estreme, ma che nel loro profondo sanno di non correre più i rischi dei grandi esploratori del passato.

© Riproduzione Riservata