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Piccole moschee crescono

Piccole moschee crescono

Da Milano a Firenze, dall’Emilia al Piemonte, stanno partendo una serie di progetti per la realizzazione di luoghi di culto e di aggregazione islamici. In vari casi le caratteristiche degli edifici non rispondono alle normative in vigore. Ma nelle amministrazione c’è chi accelera l’iter con regolamenti ad hoc.


Da quando è terminato il Ramadan, il mese del digiuno che quest’anno è caduto tra marzo e aprile, sulle giunte di centrosinistra sono ricominciate le pressioni provenienti da alcune comunità islamiche che hanno un obiettivo comune: costruire o ampliare moschee e scuole coraniche. L’attività di lobbying procede sottotraccia, passando spesso per gli uffici amministrativi, dove imam e costruttori di fede hanno trovato importanti alleati. E, quasi contemporaneamente, vari sindaci hanno iniziato a smorzare le polemiche, dando mandato ai propri collaboratori di sbrogliare gli iter burocratici spesso complicati. A Milano il sindaco Beppe Sala ha messo le mani avanti, mostrando una certa convinzione: «Le polemiche ci saranno, ma noi proseguiamo consapevoli del fatto che è giusto e sicuro». Sulla sicurezza nessuno aveva mostrato alcuna perplessità. Ma da quando in città si sono ripetuti episodi di stupro con immigrati di origine africana, il primo cittadino ambrosiano deve aver preso consapevolezza che la sicurezza è il nervo scoperto della sua amministrazione.

In Comune erano arrivate due offerte per un immobile di proprietà comunale in via Esterle: dalla Casa della cultura musulmana di via Padova 144 e dal Milan Muslim center di via Cavalcanti. È prevalsa la prima. Al Muslim center è stato contestato di non avere natura prevalentemente religiosa, ma di promozione sociale. La Casa della cultura musulmana, però, incontra alcuni problemi per entrare in possesso dell’edificio dai volumi rettangolari di architettura fascista. Dal 2016 il casermone da riadattare a luogo di culto non è immediatamente disponibile. Ci abitano, con frequenti cambi di inquilini, una quarantina di occupanti africani che il «buonista» Sala dovrà decidere di sfrattare. Anche a Firenze la giunta di Dario Nardella cerca di guadagnare tempo. Lo sfratto alla moschea della centrale piazza Ciompi è già stato notificato ma non eseguito. E il sindaco del capoluogo toscano la tira per le lunghe. L’ultimo rinvio è al prossimo 8 giugno.

L’imam Izzedin Elzir ha affermato chiaramente di non voler lasciare la struttura fino al 1° novembre. Intanto, però, è partita una trattativa per l’acquisto, sempre nella stessa piazza dei Ciompi, di un immobile in cui c’era una filiale di Intesa Sanpaolo. La cifra di partenza per i quasi 500 metri quadri è di 1 milione e 250 mila euro. Ma, come ricostruisce il quotidiano La Nazione, «potrebbe arrivare un acquirente-ponte che garantirebbe alla comunità i locali in affitto». Un provvedimento dell’amministrazione, il nuovo Poc, Piano operativo comunale (un tempo si chiamava regolamento urbanistico) che va verso l’approvazione, ha spianato la strada alla comunità musulmana con un «codicillo» che prevede «l’indifferenza funzionale». Per tutti i luoghi di culto, le attività delle associazioni dilettantistiche e il terzo settore non sarà necessario che i locali cambino destinazione d’uso.

Anche a Modena il sindaco di centrosinistra Gian Carlo Muzzarelli cerca di appianare il terreno per la nuova moschea. Da via delle Suore dovrebbe passare nell’ex Pro Latte, un’ampia area industriale privata che è al centro del dibattito sull’urbanistica. La giunta, per il nuovo spazio di culto destinato a diventare il luogo di aggregazione dell’intera provincia (all’interno del Centro è prevista anche una scuola coranica), ha deliberato a favore di una associazione islamica. E i consiglieri della Lega hanno annunciato un esposto alla Corte dei conti perché, spiegano, «gli oneri non sono ancora definiti, ma sicuramente rimarranno a carico della comunità modenese». I leghisti ipotizzano «una condotta gravemente colposa a carico degli amministratori e nei confronti di soggetti già beneficiari di sovvenzioni e contributi» che darebbero origine «a una presunta indebita duplicazione di vantaggi a favore dell’associazione».

A Mondovì, in provincia di Cuneo, l’opposizione di centrodestra denuncia «un’operazione per realizzare una seconda moschea». La comunità musulmana già da anni si riunisce in via Cuneo ed è pronta a trasferire la moschea in una struttura di via Trieste, zona artigianale. «La prima diventerà un magazzino», conferma alla stampa locale il presidente dell’Associazione comunità dei musulmani, Mohamed Bouzerda. Anche qui, come a Firenze, gli uffici comunali sono al lavoro per risolvere le difficoltà sulla destinazione d’uso. I leghisti in consiglio la chiamano «sanatoria». Il sindaco centrista Luca Robaldo ha spiegato così la scelta amministrativa: «La destinazione urbanistica attuale non ammette un insediamento del tipo richiesto dalla comunità, ma essendo l’associazione che la propone appartenente al terzo settore, per una determina regionale sono compatibili tutte le destinazioni d’uso, indipendentemente dalla destinazione urbanistica».

Le carte sembrano a posto, visto che l’associazione che farà della nuova sede una moschea ha comunicato che quei locali gli serviranno per «attività culturali, tutela del patrimonio del paesaggio, formazione post universitaria e attività editoriale». Ma anche per «accoglienza umanitaria migranti e cultura della legalità». Poi, però, i leader della comunità islamica non nascondono che servirà anche per matrimoni e preghiere. L’argine della burocrazia è aggirato, insomma. E su Google maps, sottolinea il sito web d’informazione Provincia Granda, «la stessa comunità ha pubblicato un aggiornamento, scrivendo che la moschea di Mondovì è in via Trieste». E, d’altra parte, l’ultima preghiera del Ramadan si è svolta già in quei locali.

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