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Sempre più muri

Sempre più muri

Molti Paesi chiedono di finanziare barriere contro i migranti e la Commissione europea ha detto no. Eppure nel Vecchio continente esistono già sbarramenti per circa mille chilometri. E altri sono in costruzione in tutto il mondo, per tanti altri motivi. Servono? Forse no. Ma guadagnano crescenti consensi.


ll leggendario Kyber pass, descritto da Rudyard Kipling a cavallo fra Pakistan e Afghanistan, è un valico trasformato in fortezza lungo i 2.640 chilometri di «muro» che i militari di Islamabad hanno finito di costruire lo scorso giugno. Una barriera costata 532 milioni di dollari per fermare la fuga dei migranti afghani e le infiltrazioni dei terroristi. Il valico di confine è un corridoio bunker di reti metalliche e filo spinato presidiato da soldati con il dito sul grilletto. Dall’altra parte del budello fortificato ci sono, da agosto, i talebani, che sembrano anche loro saltati fuori da un romanzo di Kipling, non fosse per le moderne armi americane razziate con la conquista di Kabul. La barriera lungo il confine è rafforzata da 400 forti e 800 mini droni che vigilano dall’alto.

«Dai sei muri che esistevano nel 1989, quando è crollato quello di Berlino, ora ce ne sono 63 lungo frontiere o territori occupati nel mondo» denuncia un rapporto del 2020 del Centro di studi della Pace di Barcellona. Trent’anni dopo la fine della cortina di ferro viviamo in un mondo di barriere, che stanno tornando in auge pure nel Vecchio continente per fermare l’immigrazione. Il presidente del Consiglio Mario Draghi li vede come fumo negli occhi e si è battuto per non farli finanziare dall’Europa, ma quasi metà dei Paesi membri la pensano all’opposto.

«Il Muro di Berlino e quello di riflesso a Gorizia con l’ex Jugoslavia di Tito separavano due mondi, capitalismo e comunismo, Est e Ovest» dice Arduino Paniccia, docente di Geopolitica. «Quelli di oggi sono molto diversi e destinati ad avere effetti più a lungo termine. Per le disuguaglianze fra benessere e povertà e il cambiamento climatico, che provocano i flussi dei migranti, non conosciamo ancora l’impatto sulle generazioni future. Il cancelliere Helmut Kohl ha unito le due Germanie, ma nessuno riuscirà a risolvere nella stessa maniera queste sfide».

Muri e barriere hanno superato i mille chilometri nella vecchia Europa. I ministri dell’Interno di 12 Paesi dell’Unione europea (Austria, Bulgaria, Cipro, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Grecia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Polonia e Slovacchia) hanno chiesto alla Commissione di finanziare i muri anti-migranti. Anche la Slovenia, presidente di turno della Ue, è d’accordo. «Le barriere fisiche sembrano essere un’efficace misura di protezione che serve gli interessi dell’intera Unione europea, non solo dei Paesi membri di primo arrivo» si legge nella richiesta del 7 ottobre. «Questa misura legittima dovrebbe essere finanziata in modo aggiuntivo e adeguato attraverso il bilancio Ue come questione urgente».

Draghi, con l’appoggio della presidente della Commissione Ursula von der Leyen, ha bloccato la richiesta di finanziamento di quasi metà della Ue, ma in realtà i muri sono già stati eretti o in costruzione. In agosto la Polonia ha innalzato le prime barriere e steso 150 chilometri di filo spinato. Il piano è quello di erigere un muro alto 2,5 metri lungo i 400 chilometri di confine bielorusso. Costo: 350 milioni di euro. Il regime di Minsk sta usando i migranti come «arma ibrida» di rappresaglia contro le sanzioni europee.

Circa 16 mila extracomunitari hanno cercato di entrare in Polonia da agosto, 5 mila solo in ottobre. Il Parlamento lituano ha votato la costruzione di uno sbarramento metallico alto 4 metri lungo la frontiera con la Bielorussia che costerà 152 milioni di euro. Il ministro dell’Interno, Agne Bilotaite, è convinta che «senza una barriera fisica è impossibile proteggere le nostre frontiere».

Stefano Allievi, sociologo dell’università di Padova, si è occupato della «logica del muro» nel suo ultimo libro Torneremo a percorrere le strade del mondo. «L’allargamento a Est dell’Unione europea è avvenuto troppo in fretta» spiega a Panorama. «Ma proprio la Ue rappresenta la prova che fare crollare i muri è la soluzione e un vantaggio». Il paradosso è che l’Europa non paga i muri in casa propria, ma finanzia la Turchia con 6 miliardi di euro per bloccare i migranti. Ankara ha utilizzato i fondi anche per finire un muro con l’Iran, come argine all’ondata di profughi afghani, di oltre 500 chilometri con 200 torrette di sorveglianza stile Vopos ai tempi della guerra fredda.

In Europa i muri anti-migranti sono spuntati come funghi nell’ultimo decennio. La prima è stata la Grecia, nel 2012, con due barriere metalliche al confine con la Turchia alte 4 metri lungo il poroso confine segnato dal fiume Evros. Due anni dopo ci ha pensato la Bulgaria con la «grande cancellata» sulla frontiera turca, che negli anni ha superato i 270 chilometri. L’Ungheria di Viktor Orbán ha fatto scalpore nel 2015 per la costruzione di un argine contro il milione di migranti giunti in Europa attraverso la rotta balcanica. Oggi il confine magiaro con Serbia e Croazia è stato potenziato con sensori termici, che rivelano il calore del corpo umano, telecamere a infrarossi, oltre ad altoparlanti che ripetono come entrare illegalmente nel paese sia «un crimine».

Anche la piccola Slovenia ha dispiegato un reticolato lungo 179 chilometri di confine con la Croazia per ostacolare l’immigrazione illegale. Pure Macedonia e Austria hanno innalzato barriere anti-migranti con scarsi risultati. Il primo muro europeo anti migranti è quello che chiude le enclave spagnole in Nord Africa di Ceuta e Melilla, iniziato nel 1998. «Mi trincero dietro un muro. In Occidente abbiamo coltivato negli ultimi decenni il valore della multietnicità, ma non è così in tutta l’Europa» afferma l’ex generale Vincenzo Camporini. «Basta vedere i Balcani ancora oggi. L’idea di un muro che separi la mia etnia da quella altrui guadagna consensi».

Non solo in Europa: l’Asia è il continente con il più alto numero di «divisori», il 56 per cento a livello mondiale. L’India è una super «fortezza» con 6.450 chilometri di barriere che coprono il 43 per cento dei confini. A parte i muri storici con Pakistan e Bangladesh per bloccare gli immigrati musulmani, il governo di New Delhi ha costruito nel 2003 una barriera con il Myanmar, da dove arriva anche la droga.

Gli attuali muri nel mondo sono stati costruiti soprattutto per fermare l’immigrazione (32 per cento), come la barriera di 1.200 chilometri con il Messico iniziata dal presidente George Bush senior, poi proseguita da Bill Clinton, votata al Senato da Barack Obama e potenziata da Donald Trump. «I confini identitari sono in aumento nonostante la globalizzazione. La tendenza storica è il comportamento settario di chiusura, difensivo» dice Allievi. «Il muro è la risposta facile per evitare un problema e uno strumento dal punto di vista politico. Però è come i dazi: tiro su una barriera e penso di stare meglio, poi lo fanno anche gli altri e stiamo peggio».

Il 18 per cento dei muri è stato costruito per fermare il terrorismo, il 16 per cento per arginare traffici illeciti e l’11 per dispute militari. Il Paese con più barriere al mondo (6) è Israele a causa dell’eterno conflitto con i palestinesi. La Siria è circondata da 4 muri su 5 confini. Il Marocco ha eretto «the Wall» per isolare il Sahara occidentale dopo un’aspra guerra. Oltre 2 mila chilometri è la barriera più possente al mondo, rafforzata da 9 milioni di mine. Ancora: la guerra civile nello Yemen e l’intervento dell’Arabia Saudita erano prevedibili dopo la costruzione della barriera nel deserto di 1.800 chilometri, che divide il Paese della regina di Saba dalla monarchia del Golfo. «La politica dei muri è una politica a somma zero in cui gli Stati competono tra loro per divergere i flussi sgraditi verso altre rotte» osserva Paolo Quercia, coautore di Naufragio Mediterraneo sulla geopolitica del bacino europeo. «Normalmente funzionano finché anche il tuo vicino non alza un muro».

Il 21 ottobre il capo dello Stato Sergio Mattarella e il presidente sloveno Borut Pahor si sono incontrati a Gorizia che, assieme alla parte slovena di Nova Gorica, sarà Capitale della cultura europea nel 2025. La città è stata tagliata in due alla fine della Seconda guerra mondiale, dopo la sanguinosa occupazione delle truppe di Tito. Una vergognosa rete verde nella piazza Transalpina suggellava la divisione fra il mondo libero e quello socialista, poi diventata luogo della memoria e di unione con l’ingresso della Slovenia nella Ue.

Però Aldo Ferrari, esperto di Eurasia all’Università Ca’ Foscari di Venezia, mette in guardia su una nuova separazione invisibile in Europa. «Critichiamo la barriera fra Messico e Usa, ma non ci rendiamo conto che l’Occidente sta erigendo un nuovo “muro” attorno a sé, avendo stabilito che Russia e Cina hanno valori diversi e parametri politici lontani dai nostri» avverte il docente. «Non è fisico come quello di Berlino, ma si basa sulla diffidenza militare, culturale, politica e fa anche più paura». n

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