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I medici italiani sono i benvenuti a Londra

I medici italiani sono i benvenuti a Londra

Il sistema sanitario britannico, ormai segnato da inefficienze, carenza di personale e scioperi, calamita sempre più i nostri camici bianchi. Apprezzati perché ritenuti affidabili, preparati, empatici più dei colleghi inglesi. E per loro, pagati assai meglio che in patria, gli ospedali oltremanica sono un’occasione da non perdere.


Ma che aspettate a trasferirvi? Qui è tutta un’altra vita». I messaggi su Facebook dei medici specializzandi italiani che sono andati a lavorare nel Regno Unito sono tutti dello stesso tono. E menomale che ci sono gli italiani. Con la Brexit prima e la pandemia subito dopo, il servizio sanitario inglese non è mai più tornato all’efficienza di una volta. Dopo due anni di emergenza continua, turni estenuanti, assenza di sostituzioni, la macchina sanitaria a cui i cittadini del Regno Unito erano abituati continua a segnare il passo e ormai occupa le prime pagine dei giornali soltanto per i suoi record negativi, come le 18 settimane di attesa per gli interventi di semplice routine.

I medici di famiglia lamentano un sovraccarico di utenti che non riescono a seguire – analogia inquietante con l’Italia – e non sono più disposti ad aumentare il numero delle ore settimanali di apertura degli ambulatori. Il governo ha appena evitato altri scioperi di infermieri e autisti di ambulanze accettando un aumento del salario che comunque rimane al di sotto dell’inflazione galoppante. E dopo il doloroso addio all’Europa molti professionisti europei hanno deciso di lasciare il Paese verso lidi ritenuti ora più ospitali di Londra e dintorni.

Gli italiani però, a dispetto della crisi e dell’atmosfera poco brillante che si respira persino nella capitale, hanno deciso di tener duro. Probabilmente anche perché, in Italia, se la passerebbero peggio. Sono un nutrito drappello di 4.200 professionisti – secondo il censimento del 2019 effettuato dall’Italian Medical Society of Great Britain in collaborazione con il Consolato italiano a Londra – ufficialmente registrati all’Ordine dei Medici e forse anche qualcuno in più, se si contano quelli che fanno la spola come consulenti tra il Regno Unito e l’Italia. Sono bravi, affidabili, entusiasti e molto richiesti, come spiega Lorenzo Garagnani, presidente dell’Associazione. «Siamo nati nel 1997 da un’idea dell’allora addetto scientifico della nostra ambasciata e da un gruppo di medici, ricercatori e chirurghi italiani, che avevano trasferito la propria attività a Londra. Eravamo pochi, ma nel corso degli anni c’è stata una crescita continua di professionisti che operano in tutta la Gran Bretagna».

Gli obiettivi della Società non sono solo tenere i contatti con i vari soci, formando una rete di supporto, ma dare una mano agli operatori della salute che lavorano nel servizio pubblico, partecipare al loro aggiornamento con l’organizzazione di eventi scientifici e di formazione. Durante la pandemia si sono offerti volontari e ogni anno la Società organizza degli eventi di beneficenza e lancia singoli progetti filantropici. «Circa metà degli iscritti lavora a Londra dove si trova benissimo. Sebbene anche la capitale attualmente sia toccata dalla crisi internazionale, ha sempre mantenuto una grande attrattiva per i medici italiani, in particolare per i giovani» continua Gragnani «che in questo sistema riescono a farsi valere e a fare carriera. Lo studente specializzando è considerato un lavoratore a tutti gli effetti, gli viene offerto uno stipendio che aumenta progressivamente ogni anno e un inquadramento professionale che in Italia non esiste».

Ci sono, secondo Garagnani, nel sistema sanitario britannico una democraticità e una mobilità – nonché delle retribuzioni – che si contrappongono all’immobilismo di quello italiano. «Qui anche un primario non rimane primario per tutta la vita. Carriera e stipendio non sono mai assicurati, però un medico guadagna in media dalle 40 mila alle 56 mila sterline annue, ovvero circa 63 mila euro». La carta vincente della nazione che per prima ha introdotto il sistema sanitario pubblico universale, gratuito per tutti (qui il ticket non si paga) e dal quale ha preso l’ispirazione anche il nostro sistema nazionale, è la capacità di adeguarsi ai cambiamenti e di proporre nuovi progetti. Tutte abilità per le quali i medici italiani sono molto apprezzati. Anche per questo, a tornare in Italia, per ora, la maggioranza neppure ci pensa. Andrea Pucci, endocrinologo e membro di Dottore London, una delle prime cliniche private costituite da medici italiani, fondata nel 2014 da Giorgia Bacco, lavora anche nel settore pubblico. Il suo ambulatorio si trova all’University College Hospital, i turni sono ben organizzati, il salario corrisponde alle aspettative. In Italia ci torna in vacanza, ma il suo futuro lo vede a Londra.

«Al momento mi trovo perfettamente dove sto» sostiene. «Il sistema ambulatoriale inglese è gestito in modo selettivo, tutto è ordinato, le cose funzionano. E mi pagano molto più di quanto mi pagherebbero in Italia». Quindi gli scioperi a singhiozzo dei medici inglesi, la carenza di infermieri, la crisi raccontata dai media nazionali è tutta un’esagerazione? «No, ma fa parte di una crisi globale legata a fattori economici che esulano da quelli strettamente sanitari» spiega Pucci. «Sebbene i nostri stipendi siano molto più alti di quelli italiani, è chiaro che adesso, con l’inflazione in crescita, per chi vive a Londra tutto diventa più difficile. In un anno, il mio affitto ha subìto un aumento di 700 sterline…».

A pesare è dunque il carovita, che è una croce per tutti, non soltanto per i medici, che anzi, rimangono tra le categorie privilegiate di lavoratori. «Per gli infermieri la situazione è sicuramente differente» conclude Pucci, «Covid e Brexit hanno influito di più. Molti se ne sono andati e anche tante agenzie che fornivano il personale straniero agli ospedali hanno chiuso i battenti, ritrasferendo la propria sede. Ma anche in questi casi, ad andarsene sono stati altri, gli italiani hanno preferito rimanere». E la richiesta di medici europei, e in particolare dal nostro Paese, non ha mai accennato a calare negli ultimi anni. I nostri professionisti hanno colmato le carenze di un sistema che non era abituato a fare prevenzione e si sono rivelati un’ancora di salvezza per i molti connazionali espatriati.

Roberto Di Febo è un odontoiatra che nel 2013 ha fondato con un gruppo di colleghi Italian Doctors, clinica diventata uno dei punti di riferimento per i tanti italiani residenti a Londra. «Abbiamo sempre avuto molte richieste» racconta «forse perché il nostro è un approccio diverso, trattiamo i pazienti più come persone che come clienti. Eppoi sa com’è, molti preferiscono andare da un medico dove possono parlare la propria lingua, oppure ci ritengono più affidabili dei colleghi britannici, le motivazioni possono essere molteplici. Noi ci rendiamo il più possibile disponibili, durante il Covid abbiamo creato una task force informativa, siamo in costante contatto con il consolato e l’ambasciata, abbiamo in cantiere delle collaborazioni a favore di connazionali in difficoltà».

Nostalgia del Paese d’origine? «Poca. Anche se con la Brexit tutto è diventato più complicato e abbiamo perso alcuni consulenti, un rientro non è nelle nostre priorità. Almeno fino a che gli italiani non si mettono in testa che i medici, soprattutto quelli più giovani, bisogna anche pagarli oltre che usarli». Il messaggio è chiaro e semplice, speriamo che qualcuno sia in ascolto.

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