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L’altra metà del crimine

L’altra metà del crimine

Trafficanti d’armi e di esseri umani. Uxoricide e femme fatale della «mala». Dal nuovo rapporto di Europol emergono le storie delle latitanti alle quali danno la caccia le forze dell’ordine di tutta la Ue. Personalità appena meno sadiche di serial killer e banditi: ma dove non arrivano con la violenza, compensano con l’astuzia.


Anche le donne, nel loro genere, hanno un’indole criminale. A certificarlo è l’Europol, l’agenzia che coordina le forze dell’ordine degli Stati membri dell’Ue. Che ha fatto un primo bilancio a un anno dalla campagna lanciata lo scorso ottobre dal titolo Crime has no gender («Il crimine non ha genere»). A dire il vero, non molto lusinghiero.

All’epoca, infatti, Europol aveva pubblicato i profili delle 18 donne più ricercate d’Europa. Criminali latitanti, recidive e a piede libero, che si erano macchiate di reati gravi: omicidio, traffico di stupefacenti, frode, furto, tratta di esseri umani in 21 Paesi membri. Alcune di loro erano addirittura a capo di organizzazioni criminali. Di queste, tuttavia, solo una è stata catturata. Le altre restano in libertà.

Come la croata Zorka Rocig, in fuga dal 2015 dopo essere arrivata a un ruolo cruciale della mafia slava. Ancora oggi rappresenta per i Balcani un punto di riferimento nel mercato del traffico di armi, munizioni e sostanze stupefacenti. Secondo fonti investigative di Zagabria, continuerebbe a gestire quei traffici milionari, seppure da una località sconosciuta.

Un’altra indomita che ha preso il largo è Iveta Tancošová: cittadina della Repubblica Ceca, 53 anni, deve scontare una condanna a sette anni e mezzo per aver gestito un giro di prostituzione e traffico di esseri umani in Inghilterra, a partire dal 2010. Di lei si raccontano violenze e soprusi sulle ragazze che si rifiutavano di vendersi, e la detenzione in cella per chi non si piegava al suo volere.

Per lo stesso reato è ricercata la quarantenne Ildiko Enderle, di origine rumena. Enderle è stata a capo di un’organizzazione da una decina di persone, che tra il 2003 e il 2011 erano riuscite a reclutare moltissime ragazze, soprattutto minorenni, in tutta la Romania: adescate per lo più dietro la promessa di un lavoro sicuro in Germania, venivano invece condotte nei bordelli della Repubblica Ceca, e qui costrette ad avere rapporti sessuali con i clienti dei locali a luci rosse, soprattutto a Praga. Enderle è sospettata anche di legami con la compravendita di bambini sotto i 10 anni d’età.

Non meno crudele delle sue colleghe è la nigeriana Jessica Edosomwan, ricercata dalle autorità giudiziarie francesi nel contesto di un caso internazionale di tratta di esseri umani. Durante le indagini, è emerso che la donna ha fatto parte della mafia nigeriana, specializzata nella tratta di quelle che sono comunemente definite «schiave sessuali». A inquietare in questa personalità criminale, in particolare, è la pratica dei riti vodoo, attraverso cui ha soggiogato innumerevoli giovanissime Edosomwan è esperta nei rituali della religione tradizionale «juju» sulle vittime, un sistema molto efficace per constringere le donne a prostituirsi dietro la minaccia di subire maledizioni e disonorare così la famiglia.

Secondo Chiara Camerani, psicologa esperta in criminologia e autrice del saggio Sesso e violenza (Paesi Edizioni 2020), le donne tendono in ogni caso a delinquere in misura notevolmente inferiore rispetto agli uomini, e a compiere reati meno gravi. «Sono meno coinvolte in attività delinquenziali comuni e nei crimini sessuali, e manifestano meno sadismo e perversioni degli uomini. Per esempio, tendono a uccidere soprattutto nell’ambito familiare e nel contesto di persone a loro vicine. Nei casi di omicidio, il movente è prevalentemente il profitto o la vendetta. Anche le cosiddette “vedove nere”, cioè le assassine seriali, uccidono per denaro e non per il piacere di farlo. È molto raro riscontrare il tratto della psicopatia, che caratterizza la tipologia più pericolosa delle menti criminali. Nelle donne questa percentuale è bassa anche se, quando si manifesta, accade in maniera molto spiccata, perché deve superare la soglia imposta dal genere maschile».

Ciò nonostante, per molte di loro si parla di «marcata indole violenta» e di «alta pericolosità». L’elenco è lungo e variegato: percosse e omicidio (la lettone Angelina Sacjuka); uxoricidio (la polacca Dorota Kazmierska); traffico internazionale di stupefacenti (l’ungherese Ildikó Dudás e l’estone Kristi Amberg). C’è anche Slobodanka Boba Tošic´, femme fatale del crimine e ricercata numero uno nei Balcani. Nata a Sarajevo ma con passaporto serbo, è accusata di concorso in omicidio di un capo clan della mala bosniaca. Dal 2006 ha fatto perdere le proprie tracce.

L’osservazione e lo studio di fenomeni criminali commessi da donne è comunque molto recente. Aggiunge Camerani: «Nelle società fortemente patriarcali, si è sempre teso a considerare la donna inferiore anche nell’ambito criminale. Si pensi a un approccio positivistico come quello di Cesare Lombroso, per il quale le donne che mettono in atto comportamenti antigiuridici appaiono come soggetti deboli, manipolate dagli uomini ed essenzialmente da loro indotte a compiere reati. All’epoca era assolutamente normale un atteggiamento paternalistico, che non ha giovato allo studio della materia».

L’approccio cambia solo dagli anni Sessanta, quando si iniziano a osservare e studiare condotte femminili genuinamente criminali. «Ma la loro frequenza è stata comunque limitata nel tempo, e i crimini violenti sono rimasti generalmente confinati a infanticidi, neonaticidi, uxoricidi. Mentre nell’ambito dello sfruttamento della prostituzione, spesso per le donne divenire carnefici è il solo modo per uscire da una pregressa condizione di vittime e da traumi subiti in precedenza nello stesso contesto di vita».

Le donne assumono un simile ruolo in base a ciò che la famiglia o il gruppo di riferimento si aspetta da loro, in base cioè all’educazione e alla cultura dominanti. Lo ha reso evidente per la prima volta una statistica Istat del 2000, dove i dati indicavano numerosi omicidi e altri crimini gravi correlati alla voce «associazione di stampo mafioso».

Era stato così per Rosetta Cutolo, che guidò l’impero della Nuova camorra dopo l’arresto del più celebre fratello, «Don Raffaè». E per Cristina Pinto, uno dei più spietati killer della camorra napoletana di sempre.

Da allora a oggi, il numero di donne impegnate in attività criminali è aumentato in modo significativo, con figure femminili che, addirittura, sono arrivate a sostituire gli uomini nella richiesta del pizzo. Come ha fatto per anni Raffaella d’Alterio fino a che, dopo la morte del marito Nicola Pianese nel 2006, è divenuta boss incontrastato del clan camorristico Fortuna Iovinello, e ha ordinato omicidi sino all’arresto nel 2012. E come continuano a fare molte altre mogli e «donne di».

Su tutte Anna Maria Licciardi, sfuggita alla cattura durante un blitz del Ros dei carabinieri nel febbraio 2019 e ancora oggi al vertice della potente cupola ascesa agli onori della cronaca nera come Alleanza di Secondigliano.

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