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Babele Italia

Babele Italia

Dai ghetti di Campania e Puglia alle «banlieue alla francese» di Milano e Roma, dove l’integrazione è ormai impossibile tra degrado e criminalità. Al di là delle polemiche sulla «sostituzione etnica», vince la realtà. Ecco la mappa di un Paese in cui l’immigrazione disordinata o clandestina ha strappato il tessuto sociale.


Sta scritto: «Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua… Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. Per questo la si chiamò Babele» (Genesi). La migrazione – ora che dal Sudan si teme un esodo di circa 300 mila persone, che la Tunisia sta esplodendo, la Libia è fuori controllo e riparte la rotta balcanica – rischia di diventare una piaga biblica e di trasformare l’Italia in una nuova Babele. Il presidente del Consiglio Giorgia Meloni di ritorno dal vertice europeo del 23 marzo si era detta soddisfatta dell’approccio, c’era una promessa di due miliardi da investire in Africa per fermare le partenze. Un mese dopo resta solo la previsione del nostro governo: se Tunisi cede, l’ondata sarà di 900 mila persone.

Il presidente francese Emmanuel Macron – ha una sorta di guerra civile nella «sua» isola africana di Mayotte dove l’immigrazione irregolare è drammatica – schiera a Ventimiglia la Gendarmerie con 150 uomini dei reparti speciali dando ordine di «ripristinare i controlli alle frontiere con la massima urgenza». Il premier britannico Rishi Sunak impone un altro giro di vite disconoscendo la Corte europea che giudica sui decreti di espulsione. La socialista Spagna dimezza gli sbarchi e allarga i ghetti, Malta delega alla nostra Guardia costiera i salvataggi nella sua area Sar, la Grecia chiude gli alloggi per i richiedenti asilo e ricorre – denuncia Border violence monitoring – alla detenzione preventiva dei clandestini.

Il conto degli sbarchi in Italia punta verso i 40 mila in quattro mesi, quasi quattro volte quelli dello scorso anno. Il ministro dell’Interno ha passato il 25 aprile a Lampedusa. Matteo Piantedosi ha candidato l’isola al Nobel per la pace e di fronte all’ennesimo sbarco con l’hotspot al collasso – dove dovrebbero soggiornare in 400, ci sono migliaia di persone – ha detto: «Penso a soluzioni che abbiano una proiezione non dico strutturale, ma di gestione ordinata dei flussi». Si cerca di ricollocare i migranti affidando il coordinamento a un commissario straordinario. Sempre Piantedosi varando il decreto Cutro che ha inasprito le pene sui trafficanti di esseri umani ha detto: «Noi non arretreremo rispetto a un auspicio di mettere sotto controllo il fenomeno migratorio. Si rischia un incremento della criminalità non tanto per l’arrivo degli stranieri, ma per gli arrivi incontrollati, che sono il brodo di coltura in cui attecchiscono organizzazioni criminali» La prova? Alcuni giorni fa la polizia di Catania ha arrestato 25 persone che organizzavano per 1.500 euro a migrante viaggi per i subshariani arrivati a Lampedusa diretti nel resto d’Europa.

In sottofondo resta l’eco delle polemiche suscitate dalle dichiarazioni, poi corrette, del ministro per la Sovranità alimentare Francesco Lollobrigida sul rischio di «sostituzione etnica». Lollobrigida ha anche detto che l’immigrazione regolare serve, quella clandestina va contrastata, ma la segretaria del Pd Elly Schlein le ha bollate come suprematiste e disgustose. Eppure ci sono quartieri dove neppure le forze dell’ordine hanno diritto di cittadinanza, città trasfigurate. E ci sono luoghi dove il vituperato «cambio» dei residenti è compiuto. Sul sito poliziapenitenziaria.it si legge: «A San Vittore, a Rebibbia e a Regina Coeli, alle Vallette oltre il 60 per cento dei detenuti è straniero». L’associazione Antigone certifica che il 32,5 per cento della popolazione carceraria – 17 mila su 54 mila – non è italiana (il doppio della percentuale europea). Significa che c’è una maggiore propensione a delinquere? Significa che gli stranieri stanno in cella perché l’integrazione è fallita: non parlano italiano, non hanno un posto dove andare e scontano condanne anche lievi. Il Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, certifica questa situazione: il 20 per cento degli stranieri è in prigione per spaccio, il 10 per reati legati alla prostituzione, il 9 per lesioni colpose, l’8 per cento per omicidio, il 6 per furti o rapine. Ci sono pezzi di città dove la legge ha abdicato.

Catania è la più pericolosa d’Italia, la terza in Europa. L’ultimo rapporto della Dia, la Direzione investigativa antimafia segnala: «Particolare attenzione merita la presenza nel territorio catanese di gruppi criminali stranieri. Si tratta di sodalizi prevalentemente dediti allo sfruttamento della prostituzione, del lavoro nero e del caporalato e allo spaccio di droga». La mafia nigeriana unitamente alla mafia tunisina e albanese tiene in ostaggio il quartiere del Librino considerato il più rischioso in Italia. Dall’estremo Sud all’estremo nord lo scenario non cambia. Il quartiere Aurora a Torino è una città nella città: il Lungodora è occupato da rivendite di kebab, macellerie halal, moschee improvvisate, porta Palazzo è la sede dello spaccio, i palazzi occupati sono segnati da scritte in arabo. I giardini intitolati a Madre Teresa di Calcutta sono il deposito della droga e il bivacco di gente senza tetto né legge, nelle baracche ci si prostituisce, spesso si muore.

Stessa situazione a Milano tra Quarto Oggiaro, dove si concentra lo spaccio e la prostituzione è interamente in mano alle mafie straniere, e San Siro dove il racket degli egiziani comanda e smista le case popolari. Piazza Selinunte è il fulcro delle occupazioni. Il capoluogo lombardo ha il record di reati – 19.374, sei ogni 100 abitanti – e ha una corona infame di sette zone infrequentabili- tra cui il Giambellino, zona di continue lotte tribali in piazza Tirana tra etnie di extracomunitari. Nulla in confronto a cosa succede tra Como e Varese. Nei boschi si è radicata un’organizzazione paramilitare composta da nigeriani, marocchini e tunisini che controlla lo spaccio. Ci sono i capi militari armati di kalashnikov, gli spalloni che portano la droga in Svizzera, gli spacciatori al minuto e i sottomessi: sono tossicodipendenti italiani disposti a tutto. Chi sgarra viene ammazzato: è successo a Lonate Pozzolo dove è stato rinvenuto un cadavere torturato, a Rescaldina hanno ucciso un pakistano e hanno lasciato per strada un marocchino.

Dalla criminalità all’identità. A Brescia pochi giorni fa si è festeggiata la fine del ramadan al Brixia Forum: erano almeno in 20 mila. A portare il saluto la sindaco «supplente» (si vota tra meno di un mese) Laura Castelletti e il vescovo monsignor Pierantonio Tremolada, che in piena sintonia con la pastorale dei migranti di papa Francesco ha detto ai mussulmani: «Vi auguro di poter essere una comunità che educa alla fraternità e ci auguriamo insieme di essere credenti che costruiscono la comunità dei Figli di Dio su questa terra». In città i musulmani sono oltre 60 mila, a Bergamo appena meno di 50 mila: in queste due città risiede l’8 per cento dei devoti ad Allah d’Italia. Sono ben 84 le lingue che si parlano a Monfalcone, in Friuli: su 27.971 abitanti 8.367 sono stranieri, di questi quasi 5 mila bengalesi. Alle elementari ci sono classi di 23 bambini con solo due italiani.

È quanto accade anche a Prato, dove ormai le insegne sono in mandarino e dove il 20 per cento dei 195 mila abitanti è cinese. Qui un abitante su tre è straniero. Ci sono angoli d’Italia insospettabili: uno di questi è Termoli. Come si legge nel rapporto della Dia del 2021 lì, tra Molise e Abruzzo, si concentra la tratta delle prostitute nigeriane prelevate dai campi profughi in Libia, «addestrate» – cioè sottoposte a riti vudù e spesso a mutilazioni – in riva all’Adriatico e poi spedite in tutta Italia. Più a sud, a Foggia i ghetti – sono 35 in Puglia, 24 nel Foggiano – sono luogo di sfruttamento del caporalato e di reclutamento della malavita. Si tratta dei campi dove l’onorevole Aboubakar Soumahoro ha costruito la sua carriera, ma dove ancora la «società foggiana», la spietata quarta mafia, fa accordi con quella albanese e nigeriana per sfruttare i migranti. Lì non si entra così come a Rosarno in Calabria dove vivono migliaia di invisibili, arrivati con i barconi, ai margini dei campi di arance dove ragazzine di 15 anni pronunciano solo quattro parole d’italiano: bocca, figa, cinque euro. Monsignor Gian Carlo Perego, arcivescovo di Ferrara-Comacchio molto ascoltato da papa Bergoglio e presidente della Fondazione-Migrantes, ripete: «Di fronte ai dati veri dell’immigrazione sembra che l’unica modalità sia quella di creare muri. Ma la vera modalità è quella dell’incontro e del costruire il futuro con i migranti». Possibile? La fondazione Ismu stima che al 2022 gli stranieri in Italia siano poco più di sei milioni, 88 mila in più del 2021 con circa 506 mila irregolari.

Gran parte di questi si concentra a Roma dove interi quartieri sono «off limits». L’Esquilino attorno alla Stazione Termini è diventato emblema del degrado; ci sono strade dove non si può accedere. Tutta la zona est della Capitale è terra di nessuno: San Basilio, Corviale sono luoghi dove lo spaccio, la criminalità si somma alla presenza di rom e clandestini. Il sesto municipio – si allunga dalla Prenestina verso il Grande raccordo anulare e oltre ed è disseminato di desolati falansteri – ha il più alto numero di stranieri. Su 240 mila abitanti sono oltre 44 mila. È anche il municipio col reddito più basso: meno di 18 mila euro per gli italiani, sotto gli 11 mila per gli stranieri. All’interno della Ztl di Roma il reddito pro capite è sopra i 42 mila euro all’anno. Nel Libro sta appunto scritto: «Il Signore li disperse ed essi cessarono di costruire la città».

Il record di Castel Volturno: il 50 per cento degli abitanti è straniero

di Fabio Amendolara

Nel piccolo centro cittadino, ordinato e pavimentato a sampietrini, vive ancora una maggioranza di residenti storici: c’è uno straniero ogni cinque o sei persone. Ma basta imboccare la strada che punta alla litoranea o verso la pineta per capire subito che la percentuale, al di fuori dallo stretto nucleo di case attorno alla piazza, è invertita. Sulla carta gli stranieri residenti ufficialmente a Castel Volturno (secondo i dati dell’ultimo censimento, di gennaio 2022) risultano 4.933, ovvero il 17,7 per cento della popolazione residente. La comunità più numerosa è nigeriana (32,8 per cento), seguita dal quella ghanese (27,3). Ma ci sono cifre che non rientrano nei conteggi ufficiali: gli stranieri non censiti sarebbero circa 15 mila e portano il piatto della bilancia in pari rispetto ai 20 mila residenti italiani. Uno straniero per ogni italiano.

È una crescita continua. D’altronde Castel Volturno ha questa «vocazione» all’accoglienza – prima gestita, poi subita – fin da quando i suoi abitanti hanno scelto come patrono San Castrese, un vescovo originario dell’Africa romana e vissuto durante le persecuzioni degli ariani, che riparò sulle coste campane approdando con un barcone. La presenza straniera, è comunque silenziosa. Niente feste, niente musica tribale per strada né «street food» africano. Ogni tanto un’attività commerciale passa di mano e a gestirla c’è uno straniero, oppure apre qualche negozietto che importa cibo etnico. Qui si vive isolati in un ghetto diffuso, 25 mila edifici abusivi (su un territorio con bellezze naturali uniche) che un tempo erano le seconde case della borghesia napoletana e casertana.

Dell’attuale scempio urbanistico valga l’esempio del Villaggio Coppola, frazione Pinetamare: detiene il poco onorevole primato di quartiere abusivo più grande d’Europa. La prefettura di Caserta e il sindaco Luigi Petrella di Fratelli d’Italia da tempo sono alle prese con gli abbattimenti – la maggior parte costruzioni fatte su suolo pubblico- e il ripristino della legalità. Anche perché gli alloggi sono in mano ai «caporali» nigeriani. Per una stanza si è costretti a un affitto di 50 euro al mese, 250 per una casa. E per l’energia elettrica bisogna arrangiarsi. Di solito si rimedia con qualche allaccio abusivo. Ma il problema non è solo urbanistico. La vita sociale qui è azzerata. Si esce giusto per lavorare nei campi o nei cantieri. Gli unici momenti d’incontro sono per i matrimoni o i funerali. Mentre ci muoviamo. il bar Italia, con tanto di tricolore sull’insegna, sembra «occupato». Una cinquantina di nigeriani si sono dati appuntamento nel piazzale per ricordare un ragazzo morto sul lavoro e non vogliono parlare o essere fotografati. Ogni tanto si incrocia qualcuno in bicicletta sui vialoni che portano al mare. Perfino i cartelli pubblicitari sono rivolti alla comunità immigrata, con un’agenzia di comunicazione che invita a comprare spazi per i manifesti utilizzando l’immagine di un cittadino africano. Quella straniera è però una presenza discreta quanto ingombrante. Gli italiani si sentono sempre meno proprietari a casa loro. «Ma da anni si scaricano le colpe sempre su qualcun altro» spiega Sergio Nazzaro, saggista, reporter e documentarista che conosce a fondo il tessuto sociale di Castel Volturno. «I cittadini sul Comune, questo sulla Regione e così via. E quando si arriva all’ultimo anello della catena delle responsabilità si dà la colpa alla camorra». Che qui è stata soppiantata dalla «mala» nigeriana, che mantiene il suo primato grazie a una violenza sorda. «È una situazione ormai stabilizzata» aggiunge Nazzaro. «I clan camorristici permettono ai nigeriani di fare affari criminali in settori giudicati poco interessanti, come prostituzione e spaccio di cocaina. In ogni caso, a tutti i livelli c’è qualcuno che un simile degrado lo permette.

Qui, al di là di qualche importante iniziativa privata, che dimostra la voglia di rivincita di questo territorio, come un ospedale d’eccellenza, una scuola per infermieri, un’accademia per i marittimi, si fa ben poco». Anche i beni confiscati alle mafie, spiagge comprese, sono abbandonati. «Affidandoli e inserendoli nel circuito legale si creerebbe, oltre a una piena emersione del nero, anche un’ottima economia circolare», sostiene Nazzaro «e non basterebbero la forza lavoro presente per quanto potenzialmente c’è da fare». Invece, basta attraversare le periferie per imbattersi negli stereotipi diffusi dai film del regista Matteo Garrone, ossessionato da Castel Volturno tanto da girarci Gomorra, L’imbalsamatore e Dogman; basta per toccare con mano il grande fallimento delle politiche dell’accoglienza a tutti i costi. Quelle che dai barconi approdati in Sicilia hanno spinto per anni verso questa zona migliaia di persone senza un posto in cui nascondersi. Qua, la popolazione italiana oggi è destinata alla minoranza. L’assillo degli irregolari che hanno trovato rifugio in città e dintorni è ottenere un permesso di soggiorno. Costi quel che costi. Il resto, integrazione compresa, non conta.

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