Dalla Libia al Mali, fino al Sudan. Il gruppo paramilitare vicino a Vladimir Putin – che ora è in azione anche in Ucraina – ha rafforzato il proprio potere, supportando golpe e repressioni in quel continente.
I paramilitari del gruppo Wagner si sarebbero infiltrati a Kiev, allo scopo di eliminare fisicamente il presidente Volodymyr Zelensky e il governo ucraino nella sua interezza. Un’azione di Mosca volta a sostituire con un suo uomo di fiducia la guida dell’Ucraina. Wagner è la compagnia privata di contractor che agisce nei teatri di guerra dove il Cremlino non impiega direttamente le proprie truppe.
Ormai famoso per la sua spietatezza, ha dato grande prova di sé in tutt’altro quadrante, l’Africa. Qui, infatti, l’espansionismo russo ha trovato da quasi un decennio terreno fertile e governi fragilissimi. Ragion per cui, in assenza di rivali strategici, Mosca può fare la voce del padrone e ottenere vantaggi economici e strategici evidenti.
In cambio del sostegno (armato) a gruppi di potere che si vogliono elevare a referenti istituzionali e insediarsi al governo, la Russia ottiene così in questa parte di mondo un ritorno vantaggioso: sotto forma di concessioni per lo sfruttamento delle risorse naturali con contratti commerciali pluridecennali, e con la garanzia di un accesso sicuro a posizioni strategiche, quali basi aeree o porti, per posizionare «sine die» le sue flotte sia commerciali sia militari.
È la stessa strategia già vista e applicata in Siria dove, in cambio del sostegno al presidente Bashar al-Assad, il Cremlino ha ottenuto «l’accesso ai mari caldi», ovvero l’intera provincia di Tartous, con il suo cruciale porto nel Mediterraneo e uno scalo aereo militare. Operando attraverso il gruppo mercenario, Mosca ha potuto condizionare la transizione democratica del Sudan; ha mantenuto al potere il generale Khalifa Haftar in una porzione rilevante della Libia; ha sostituito del tutto i soldati francesi in Mali; ha puntellato il debole governo centrafricano del presidente Faustin-Archange Touadéra e, in Mozambico, ha rallentato l’ascesa degli Al-Shabaab.
In Sudan, nel 2017 circa 500 uomini del gruppo Wagner hanno contribuito fattivamente alla repressione delle rivolte contro il governo del dittatore sudanese Omar al-Bashir, ottenendo così i diritti esclusivi di estrazione dell’oro attraverso la società M-Invest l’accesso al terminale di Port Sudan, garantendosi così un approdo nel Mar Rosso (Bashir è poi stato destituito nel 2019).
Senza contare l’apertura di un corridoio con la vicina Repubblica Centrafricana.
Anche qui Mosca si è inserita nello sfruttamento delle miniere di diamanti e oro, offrendo i servigi dei suoi contractor d’élite al governo del presidente Touadéra, minacciato da gruppi ribelli a partire. La compagnia russa ha aiutato così il governo nel sabotaggio delle Ong, nel cacciare le forze di peacekeeping dell’Ue e gli operatori umanitari che denunciavano sfruttamenti e traffici illegali; per non parlare della presenza dei media, ormai ridotta all’irrilevanza.
Quanto alla Libia, la Russia ha sempre avuto le idee chiare sul Paese: i suoi idrocarburi e la posizione strategica nel Mediterraneo ne hanno fatto una preda desiderabile sin dalla destituzione di Muammar Gheddafi, nel 2011. Divisa da allora in Tripolitania e Cirenaica, il Paese è precipitato in una guerra civile cui almeno mille uomini del gruppo Wagner hanno partecipato, combattendo tra 2019 e 2020 al fianco di Haftar, signore appunto della Cirenaica. I mercenari russi gli hanno fornito consulenza e addestramento, e come gruppo di fuoco hanno permesso al generale di Bengasi di mantenere il controllo di giacimenti petroliferi nel golfo della Sirte.
Oggi, quegli stessi contractor sono dispiegati in Mali come forza d’interposizione contro i jihadisti del Sahel, a seguito del disimpegno dei soldati francesi. Anticipati da campagne di disinformazione che minavano l’autorità del presidente Ibrahim Boubacar Keïta, a seguito del colpo di Stato dell’agosto 2020 la compagnia Wagner si è infiltrata e ha conquistato la fiducia dei golpisti. Al punto che oggi sono i referenti unici delle politiche di sicurezza maliane in funzione anti-jihadista.
Si occupano anche di addestramento di forze regolari, ma la loro forza principale consiste nella velocità del dispiegamento armato in aree di crisi dove un tradizionale esercito non potrebbe arrivare senza scatenare reazioni ostili o subire attentati. In Mozambico, invece, l’impiego dei mercenari russi non ha permesso al governo di fare passi avanti significativi nel contenere la parcellizzazione del potere, distribuito secondo logiche di clan e aree di influenza difficili da eradicare.
Ma come agisce il gruppo Wagner? Dato che un governo non vuole che «certe azioni» siano direttamente riconducibili a esso, sempre più spesso preferisce agire senza regole né riconoscimenti ufficiali, utilizzando uomini che agiscono nel completo anonimato. Specie se tali interventi comportano sabotaggi, delitti, rovesciamenti del potere. Il vantaggio è evidente: nessuno chiederà la restituzione del corpo di un paramilitare ucciso sul campo, non una polemica verrà fatta sul loro impiego né un nome sarà diffuso sui giornali.
Peraltro, nessuno saprà mai che tipo di azione sarà intrapresa nel teatro di guerra dove quei mercenari hanno operato, anche perché sicuramente negheranno di esserci stati. Inoltre, per un governo il costo di un contractor non è paragonabile a quello di un soldato, che deve muoversi all’interno di regole d’ingaggio e precise cornici del diritto internazionale, ed è ovviamente soggetto ai tribunali militari.
Invece gli appartenenti al gruppo Wagner hanno licenza di uccidere e di procurare i maggiori danni al nemico senza alcuna restrizione legale, etica o d’altra sorta. Per questo sono i preferiti di Putin, l’uomo che non disdegna di avvelenare i propri avversari politici come di cancellare intere città dalla cartina geografica (vedi Grozny, in Cecenia).
L’organizzazione è dunque il braccio armato delle operazioni sporche della Russia nel mondo, massimamente esperto nel condurre le cosiddette «guerre ibride»: conflitti combattuti con mezzi non convenzionali, che vanno dalle cyber incursioni alla propaganda, dai sabotaggi elettorali al sobillare le rivolte fino alle operazioni «false flag» (attacchi contro le proprie forze o provocazioni volte ad addossarne la colpa al nemico) e agli omicidi politici mirati.
I paramilitari di Wagner sarebbero coordinati dalla struttura del ministero della Difesa russa nei pressi del villaggio di Molkino, nell’area di Krasnodar, Russia meridionale. Anche se la compagnia privata ufficialmente è registrata in Argentina, dispone di uffici a San Pietroburgo e Hong Kong, mentre in Africa i terminali della Wagner sono in Lesotho, Botswana e Swaziland.
Creata nel 2014 per permettere al Cremlino di intervenire in via non ufficiale nel Donbass, all’indomani dell’autoproclamata indipendenza delle repubbliche filorusse dell’Est ucraino, l’organizzazione è nei fatti un’invenzione di Yevgeny Prigozhin. Conosciuto come «lo chef di Putin» per i lucrosi contratti di catering col Cremlino, in realtà è un alto ufficiale tra i più fedeli al presidente.
A comandare operativamente è invece Dmitri Utkin, spietato ex-membro del servizio segreto Gru di origine ucraina. Sotto di lui, circa 6.000 uomini di cui la maggior parte militari russi in pensione, di età compresa tra 30 e 60 anni. Molti di loro erano in prima linea nell’annessione della Crimea. Molti di loro oggi danno la caccia a Volodymyr Zelensky, nemico pubblico numero uno di Mosca.
