La metropoli-vetrina vagheggiata dal sindaco Giuseppe Sala risulta in contraddizione sempre più stridente con una realtà quotidiana di povertà in crescita e costi proibitivi della vita. I nuovi quartieri e i servizi sono a misura di ricchi, mentre la disgregazione sociale avanza.
Suona la fisarmonica davanti a San Vittore, la basilica manierista non il carcere. Il piccolo e stempiato Zlatko, 48 anni, non è Carlos Gardel ma si arrangia. Il problema è il risultato: in un pomeriggio di pioggia sospesa, di quelli che fanno somigliare Milano a Londra, ha portato a casa solo 12 euro. Verso sera il suono dello strumento diventa un rantolo. «L’anno è cominciato male, qui la gente non sorride più perché ha il freddo nell’anima». È l’inverno della cosiddetta capitale morale, è una scena quotidiana che smentisce la narrazione della metropoli volante cara al sindaco Giuseppe Sala. Lui spende 4 milioni all’anno in comunicazione, è bravo ad allenare i giornalisti e può pittare il volto della città con il fondotinta di Chiara Ferragni. Ma basta girare l’angolo per accorgersi che la realtà è un’altra. E che la verità non è nel Bosco Verticale o nello sfarzo della Galleria, ma in quelli che Giò Ponti definiva «i panorami di servizio».
La doppia Milano parla da sola, dopo 12 anni di cura del centrosinistra degli affari non ha bisogno di brochure illustrative. Il biscione più lungo non è quello dei Visconti ma quello che si snoda ogni mattina lungo viale Toscana e viale Monza dove un popolo dolente e dignitoso avanza un passo alla volta verso i cancelli di Pane Quotidiano, l’associazione di volontari che distribuisce pasta, sugo, frutta, anche una fetta di panettone ai poveri. Nel 2022 hanno allungato la mano 1,3 milioni di persone; tra la vigilia e Natale, 10 mila indigenti. Tra San Silvestro e Capodanno di più. E come spiega l’a.d. Luigi Rossi, «iniziamo a fare fatica a reperire gli alimenti: le aziende stanno attente ad avere pochi eccessi di produzione, ci regalano meno rispetto alla domanda che è esplosa».
Le statistiche non mentono. Ad avvicinarsi sono pochissimi clochard, molte mamme con bambini, persone che dovendo scegliere fra caro bollette, caro affitti, caro servizi, hanno deciso di risparmiare sul cibo. Nella metropoli più europea d’Italia, affetta come dal gigantismo autoreferenziale della sua classe dirigente, si tira la cinghia. Lo ha sottolineato l’arcivescovo Mario Delpini suscitando l’imbarazzo della giunta e dei vip radical del Municipio 1: «Questa è la città che corre, riqualifica quartieri e palazzi, dà spazio all’innovazione, seduce turisti e gli uomini d’affari, demolisce le case popolari e costruisce appartamenti a prezzi inaccessibili». Poiché Milano è prigioniera del marketing, basta chiamarlo housing sociale e vale tutto. Si domanda Delpini dall’altare: «Dove troveranno casa le famiglie giovani, dov’è il futuro della città? Dove troveranno casa coloro che devono lavorare, studiare, invecchiare? Come potranno vivere gli onesti lavoratori con una paga che non copre le spese che la vita urbana impone loro? Chi ha responsabilità deve guardare lontano».
«Vanity Sala» ha colto così bene il vibrante richiamo che ha aumentato a 2,20 euro il costo dei biglietti di bus e metro. Da palazzo Marino è trapelata la volontà di portare l’Area C a 7,50 (50 per cento in più), se non 10 euro, in una corsa per coprire i 100 milioni di buco di bilancio. Spiega Fabrizio De Pasquale, che per 24 anni è stato consigliere e capogruppo di Forza Italia in Comune: «Quando mancano i soldi, il riflesso dei piddini non è risparmiare o tagliare spese ma mettere le mani nelle tasche dei milanesi. Si inizia dal trasporto pubblico e si bastoneranno gli automobilisti, come da manuale dell’ideologia green». Stiamo comunque parlando della città più ricca d’Italia, che a fine anno ha incassato 670 milioni di Imu, 300 di Tari più addizionale Irpef e tassa di soggiorno. Ogni anno Milano può contare su 170 milioni di multe, 30 milioni di Area C, i dividendi milionari di A2A e Sea Aeroporti, gli affitti dagli immobili, 35 milioni solo dai negozi in Galleria. Eppure, bilancio in rosso e vai col salasso.
In ribasso per sicurezza e caro vita nelle classifiche del Sole24Ore, la Milano di plastica che si specchia nel glamour e nella prima della Scala è stata definita dall’Aci «la seconda città più maleducata d’Italia» dopo Roma (e prima di Napoli) per incidenti, ciclabili realizzate a caso, rodei con i monopattini. E non è più neppure percepita come un laboratorio politico. Lanciando la candidatura del «rosso antico» Pierfrancesco Majorino a Palazzo Lombardia, Sala ha auspicato «un esempio per tutta la Regione», come se il territorio che va da Bormio a Desenzano fosse una grande Milano da pittare e imitare, non da tenere alla larga. I primi a reagire alla minaccia sono stati curiosamente i sindaci di Bergamo e Brescia, entrambi di centrosinistra. Giorgio Gori non ha lasciato spazio alla demagogia: «La Lombardia non è Milano, scordatevelo. Ai lombardi non si può solo parlare di diritti civili ma ci si deve impegnare su lavoro e diritti sociali».
La piccola metropoli con l’ossessione del gay pride e del plug-in somiglia a Londra solo nella pioggia sospesa e nel costo del mattone al metro quadro. Il resto è narrazione con effetti distopici. Per esempio sulla sicurezza. Sala rifiuta la parola «emergenza», liquida gli allarmi con linguaggio meteo: «È solo una realtà percepita e cavalcata dall’opposizione». Ma mentre lo dice assume 240 vigili urbani in più (i ghisa erano 2.800) per presidiare i quartieri infestati da gang multirazziali. Ogni zona ha la sua, ogni circoscrizione ha storie estreme che escono sui giornali a singhiozzo, quando c’è una maxirissa nella centralissima piazzetta Mercanti, o un regolamento di conti con le lame finisce al Pronto soccorso. O quando a essere aggredito è il figlio di Matteo Salvini. Avviene come nel fascismo: a Milano la cronaca nera non esiste.
La ragazza quasi strangolata con una catena davanti al Leone XIII, i giovani aggrediti in piazza Gae Aulenti il sabato sera, lo spaccio intensivo nelle «piazze tattiche» (nome delirante inventato da Pierfrancesco Maran, perché qui tutto è puro estetismo fashion) non hanno spazio neppure sui siti locali. La cancrena è profonda. L’esempio massimo di deriva sociale è rappresentato dal successo dei trapper e dalle bande dei loro seguaci, pseudo-cantanti alternativi che imitano le gang newyorchesi, dettano legge nei quartieri e organizzano faide facendo luccicare nei video su YouTube le cromature dei revolver. Ultimo show dieci giorni fa: Mattia Barbieri (nom de plume Rondo da Sosa), a 20 anni ras di San Siro, è stato fermato dalla polizia perché senza patente. Mai avuta. Agli agenti che gli contestavano l’infrazione ha risposto leggiadro: «Sbirri di merda, a me non mi controllate!». Arrestato. Lui e il suo sodale Baby Gang (Zaccaria Mouhib) sono sottoposti a «daspo» dal questore Giuseppe Petronzi; praticamente non potrebbero entrare nei bar e nelle discoteche della città. Altri due campioni sono Simba La Rue e l’acerrimo rivale Baby Touché, protagonisti l’estate scorsa di agguati e accoltellamenti fra Milano e Bergamo.
Al centro dei quali – cherchez la femme – c’era la pornostar Bibi Santi 91. Gotham City non è solo una provocazione iperbolica. Si chiede monsignor Delpini: «Dov’è il futuro di Milano?». Nel gioco fra realtà e narrazione crolla anche l’ultima certezza mistica, quella della città del fare. Le due più grandi opere pubbliche in essere sono ormai monumenti all’immobilismo. La metro 4 che ha sventrato il centro (già attraversato da metro 1 e 2) ha solo 6 stazioni aperte su 21 ed è in ritardo di due anni, il nuovo stadio sta diventando una seconda fabbrica del Duomo: 5 anni di dibattiti, due progetti, «San Siro va salvato o abbattuto», «il nuovo impianto è poco green», i club sull’orlo di una crisi di nervi.
È la Stalingrado del sindaco plug in, che nei convegni parla di «attrarre investimenti strategici» ma non avanza di un centimetro nel decidere. In più ha contro la sua maggioranza abbarbicata al terzo anello e rischia di passare alla storia per aver fatto scappare Inter e Milan a Sesto San Giovanni. Ora il ministero della Cultura vorrebbe mettere il vincolo architettonico al Meazza, che in ogni caso necessita di ristrutturazione pesante; se frequentato dal vivo negli spazi non vip sembra lo stadio Lenin di Mosca negli anni Ottanta. Dopo aver perso un lustro, Sala alza la voce come se parlasse da Marte: «L’unica cosa che vi chiedo è fare presto».
Immersa nelle contraddizioni, Milano è perfetta per i documentari con il violino di Alberto Angela che illustra splendori vinciani e manzoniani. Ma anche per testimoniare il lavoro degli schiavi dell’accoglienza diffusa abbandonati a sé stessi, ectoplasmi a pedali con la gobba cubica che portano le pizze al sesto piano a un’umanità digitalizzata sul divano. Come dicevano i Vanzina 30 anni fa, sotto il vestito niente. È la doppia vita di Milano, sfolgorante nei comunicati dettati dagli uffici del potere al giornalista collettivo e ruggente nelle fantasie oniriche del suo sindaco in poltrona Frau e pedalini arcobaleno. Manierista pure lui, come la chiesa che fa da poggiaschiena a Zlatko con la fisarmonica ormai muta.
