Per la prima volta nella storia della medicina, alcuni scienziati hanno registrato le attività neuronali di un uomo che stava morendo. E hanno visto che negli istanti finali si attivano le onde cerebrali legate alla concentrazione e alla memoria. Quindi è vero, forse, che in quell’attimo si ripercorre tutta la propria vita…
In La morte di Ivan Il’ic, Lev Tolstoj narrò l’agonia di un uomo la cui banale caduta da una scala si era evoluta in una malattia mortale. Le ultime pagine del racconto, tra le più belle della letteratura russa, descrivono con minuzia le sensazioni, i pensieri e le percezioni fisiche di un organismo negli ultimi istanti di vita. Per ore, Ivan Il’ic «si dibatteva nella bocca di un sacco nero in cui voleva spingerlo una invisibile e indomabile forza» ma a tratti «al fondo del buco vedeva brillare una luce». Non riusciva a parlare, ma poteva sentire quando qualcuno gli sfiorava la mano. E sul punto di morire tutta la sua vita gli passò davanti come un lampo per rivelargli che «non era stata come doveva».
Ora che, per un caso fortuito, è stato possibile registrare l’attività cerebrale di un uomo nei momenti finali della sua vita, questa descrizione appare tutt’altro che irrealistica. Mentre un gruppo di neuroscienziati dell’Università di Tartu, in Estonia, stava facendo un elettroencefalogramma a un paziente di 87 anni, quest’ultimo ha avuto un infarto ed è morto senza nemmeno dare il tempo ai medici di soccorrerlo. Senza volerlo i ricercatori hanno così acquisito, per la prima volta nella storia, la registrazione dell’attività elettrica cerebrale di un uomo che esalava l’ultimo respiro. Uno di loro, il neurochirurgo Ajmal Zemmar, racconta che la registrazione è andata avanti per circa 900 secondi considerando anche quelli successivi al momento della morte.
«Il lasso di tempo più interessante» dice Zemmar «va dai 30 secondi prima del momento in cui il cuore ha cessato di battere ai 30 dopo questo evento. Ciò che si vede in quel minuto è un repentino cambiamento della frequenza delle onde cerebrali». Queste ultime sono onde di potenziale elettrico presenti nel cervello ed espressione degli impulsi nervosi da un neurone a un altro. Ce ne sono di diverse frequenze e hanno nomi di lettere greche: alfa, beta, gamma, theta…Ognuna è associata a particolari attività cerebrali, come le diverse fasi del sonno o la memoria.
«Le caratteristiche delle onde negli istanti prima del decesso da noi misurate sono esattamente quelle tipiche delle attività cognitive complesse come concentrarsi, meditare e ricordare. È come se, negli ultimi istanti, il nostro paziente avesse richiamato alla mente tutti i momenti più importanti della sua vita e avesse fatto un bilancio della sua esistenza» dice Zemmar. Queste conclusioni, pubblicate su Frontiers in Aging Neuroscience, non sono le uniche a confermare le intuizioni del grande scrittore russo. Nel 2020, ricercatori canadesi dell’University of British Columbia si sono chiesti quali siano i sensi che restano attivi in punto di morte. Nel loro articolo su Scientific Reports si legge che, prima di una morte non imprevista, il cervello conserva quasi sino alla fine la capacità di reagire ai suoni, anche se entra in una fase di insensibilità agli altri stimoli.
I ricercatori commentano che, anche se dagli elettroencefalogrammi non si può dedurre se i moribondi comprendono le voci, «appare plausibile che siano confortati dai suoni dei loro cari sia di persona sia al telefono, come confermano le numerose testimonianze di medici e infermieri». Se nel racconto di Tolstoj il protagonista vedeva una luce in fondo a un sacco, nella vita reale alcune persone uscite da un coma dicono di aver scorto un forte chiarore alla fine di un tunnel. Di che si tratti, è una domanda che ha generato ogni tipo di speculazione. La verità è che nessuno lo sa davvero.
Ci sono tre misteri inspiegati nel nostro universo e tutti hanno a che fare con «che cosa c’è» al di là di qualcosa: il primo riguarda appunto il dopo morte; il secondo, cosa c’era prima del Big Bang; il terzo, cosa c’è oltre il cosiddetto «orizzonte degli eventi» di un buco nero, quella soglia dalla quale nulla può sfuggire. Intrigati dal primo enigma, nel 2016 neuroscienziati americani dell’Università del Michigan hanno escogitato un esperimento: dopo aver anestetizzato otto topi di laboratorio hanno provocato un infarto misurando contemporaneamente le onde elettriche cerebrali.
Ciò che hanno visto subito dopo l’arresto cardiaco è stato un aumento repentino delle onde gamma, quelle che indicano la concentrazione, accompagnato dalla cessazione di tutte le altre onde elettriche di diversa frequenza. Sembrerebbe che, appena la morte si approssima, alcune parti del cervello vengano soppresse, come se l’organismo volesse liberarsi di ciò che non può sostenere così da convogliare tutte le risorse su altre parti. Una di queste è il sistema visivo, che viene sovraeccitato. Ecco cosa spiegherebbe, secondo i ricercatori, l’improvviso lampo di luce.
Le morti lente erano molto più rare una volta, quando tante cure erano inesistenti. Una persona in fase terminale trascorre sempre meno tempo sveglia. Non è un vero sonno, ma un lento scivolare in fasi di incoscienza dove i sistemi sensoriali via via si spengono, finché solo l’udito e il tatto restano attivi. È il momento nel quale si somministrano farmaci attraverso cerotti o iniezioni, dato che il moribondo non potrebbe ingerirli. Il respiro continua a seguire gli schemi dettati dal cervello ma, siccome la persona è incosciente e inconsapevole della propria bocca, gola e saliva, il suo ritmo è pesante e rumoroso. I familiari interpretano questi suoni come sintomi di sofferenza, in realtà sono il segno di una perdita di coscienza.
A quel punto il respiro attraversa cicli di accelerazione e forte rallentamento con pause sempre più lunghe finché diviene molto sommesso per poi cessare del tutto. Dopo pochissimi minuti il cuore resta a corto di ossigeno e cessa di battere. Epicuro insegnava che non c’è niente di terribile nel non vivere più: «Quando ci siamo noi non c’è la morte e quando c’è la morte non ci siamo noi». Tanto vale vivere sereni, secondo il filosofo greco.
Di fatto, qualcosa di noi dopo la morte resterà sempre. Non sono necessariamente i geni, visto che potremmo non avere discendenti, e nemmeno la nostra eredità spirituale e culturale, visto che potremmo aver vissuto del tutto isolati. Come suggerisce la prima legge della termodinamica, l’energia non viene né creata né distrutta. Così tutta la nostra energia si trasforma, ma resta parte dell’universo. Ogni battito, ogni soffio di calore, ogni onda di ciascuna delle nostre più infinitesime particelle entra a far parte del tutto e si trasforma continuamente.
