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Caccia agli elisir dell’eterna giovinezza

Caccia agli elisir dell’eterna giovinezza

Nuove molecole, «farmaci-spazzino» e trasfusioni di plasma sono gli strumenti sperimentati per rallentare l’invecchiamento cellulare. Ecco le ultime scoperte per vivere fino a 100 anni. E oltre.

  • Caccia agli elisir di giovinezza
  • Belle per sempre

Se la morte è una certezza, non è detto che lo sia la vecchiaia. Una serie di ricerche promettenti fanno sperare nella possibilità di farmaci in grado di regalarci una terza età vigorosa e in salute, con il possibile effetto collaterale di un allungamento della vita. L’elisir di giovinezza oggi prende il nome di una classe di farmaci, quella dei «geroprotettori», capaci di colpire le cellule senescenti che l’organismo non riesce a eliminare e alla base di un vasto numero di problemi di salute.

I ricercatori le chiamano «cellule zombie», a indicare le nostre unità morfologiche base ormai vecchie, oppure danneggiate da malattie croniche e stress di vario tipo, che non vanno incontro a morte programmata ma restano nell’organismo a causare infiammazioni. Panorama ha chiesto a Jarod Rollins, professore di biologia rigenerativa e ricercatore al Mdi Biological Laboratory del Maine, nel Stati Uniti, autore di alcune delle più importanti ricerche sull’anti-invecchiamento, quali farmaci oggi allo studio (qualche centinaio) hanno buone possibilità di essere presto somministrate agli anziani.

«Posso affermare che la metformina, un farmaco anti-diabete in sperimentazione come anti-invecchiamento su esseri umani, ha ottime probabilità di ridurre il rischio di malattie legate all’età» afferma lo scienziato. «Si sa già con certezza che, agendo sulle vie metaboliche dell’insulina, questo farmaco allunga la vita nei vermi nematodi. Poi gli esperimenti sui topi hanno mostrato un ringiovanimento muscolare, una crescita dell’attività e perfino l’inversione dell’ingrigimento dei peli con il tempo. In questo senso, parlerei non solo di rallentamento dell’invecchiamento ma anche di inversione».

Recentemente, proprio il laboratorio di Rollins, in collaborazione con il Buck Institute for research on aging in California e la Nanjing University in Cina, è riuscito ad allungare la vita media del verme nematode C. elegans di un tempo che nella vita umana corrisponderebbe al raggiungimento di un’età tra i 400 e i 500 anni. Se qualcuno pensasse che i vermi hanno poco a che vedere con l’uomo si sbaglierebbe di grosso. Il C. elegans condivide con noi molti geni e processi metabolici, ed è il modello degli studi sull’invecchiamento par excellence per il semplice motivo che ha una vita media breve, tale da fornire risposte veloci ai trattamenti.

Quello che vari esperimenti hanno mostrato è la metformina, in sperimentazione di fase 2 su pazienti ultrasessantenni alla Mayo Clinic di Rochester negli Stati Uniti, con la sua capacità di agire sui meccanismi dell’insulina riesce a ridurre lo stress ossidativo e le infiammazioni causate delle cellule zombie. «Ma attenzione» precisa Rollins «una cosa che emerge dagli esperimenti è che terapie a base di metformina dovrebbero essere limitate agli adulti, dato il loro potenziale di produrre effetti negativi sullo sviluppo». Dietro queste parole si nasconde l’assunto principale della ricerca sui farmaci geroprotettori: piuttosto che colpire malattie specifiche si cerca di impedire il deterioramento del corpo a sviluppo già avvenuto.

L’idea che circola nei laboratori di ricerca è che curare l’invecchiamento significa trovare se non proprio il sogno degli alchimisti, quantomeno la «cura universale» contro le malattie vascolari, cancro, diabete e varie patologie neurodegenerative. A livello di conoscenze di base sulla senescenza, la via è segnata ed è splendidamente illustrata da una storica meta-ricerca sulla pubblicazione Cell del 2013, che annovera i principali meccanismi che portano alle malattie delle vecchiaia: sono tutti collegati a deterioramento e disfunzioni cellulari nei loro molteplici aspetti.

«Accanto alla metformina, c’è un’altra sottoclasse di geroprotettori che ritengo promettente, e sono i cosiddetti farmaci senolitici» aggiunge Rollins. «Sono farmaci che rimuovono tutte le “cellule spazzatura” che si accumulano con l’età e che, non solo causano infiammazioni, ma anche impegnano le nostre energie vitali. Quello che si è visto sui topi è letteralmente un’inversione dell’invecchiamento con un importante recupero di vigore».

Un altro rilevante esempio di geroprotettore è la rapamicina, usato come immunosoppressore per prevenire il rigetto degli organi trapiantati e ora diventato un farmaco capace di correggere i meccanismi cellulari che con l’età s’inceppano determinando danni al Dna. Gli esperimenti su anziani in fase avanzata hanno già prodotto buoni risultati: un trattamento di otto settimane con rapamicina riduceva i tassi di varie infezioni e migliorava la risposta ai vaccini anti-influenzali.

«Comunque, una cosa da tenere ben presente è che la senescenza riguarda differenti livelli in diversi tessuti» precisa Rollins. «E quindi non ci sarà mai una terapia basata su un solo farmaco, semmai su combinazioni di varie medicine che agiranno su differenti percorsi metabolici nello stesso tempo. Una cosa che abbiamo visto in C. elegans è che, agendo su due vie metaboliche insieme, ottenevamo un effetto combinato nella longevità». Ecco il motivo per il quale varie sperimentazioni in corso nel mondo si basano su più farmaci, per esempio il dasanitib (antitumorale) e la quercetina (flavonoide) alla Mayo Clinic di Rochester o un cocktail di senolitici alla Unity Biotechnology di San Francisco per impedire l’insorgenza in vecchiaia di aterosclerosi, insufficienza renale e osteoartrite.

Il ramo più affascinante di queste ricerche resta quello delle infusioni in pazienti anziani di plasma di sangue prelevato da persone più giovani. Si racconta che nel 2009 un miliardario di Hong Kong di 86 anni, malato di Alzheimer, doveva sottoporsi a trasfusioni a causa di un cancro. Suo nipote, un biologo molecolare, notò che il nonno acquistava lucidità e vigore per un certo periodo di tempo ogni volta che il sangue giovane iniziava a circolare nelle sue vene. Incuriosito, fece varie ricerche e venne a conoscenza che un neuroscienziato, Tony Wyss-Coray dell’Università di Stanford, in California, stava studiando gli effetti anti-invecchiamento ottenuti proprio iniettando una porzione del plasma di topi giovani in topi di età avanzata. Di lì a poco, grazie a un finanziamento ottenuto dalla famiglia del miliardario di Hong Kong, nel frattempo deceduto, Wyss-Coray fondò la compagnia Alkahest, una delle molte che oggi stanno effettuando questo genere di sperimentazioni sull’uomo.

Andare all’origine di queste ricerche fa comprendere la loro «ratio». Il lettore sensibile alle immagini macabre potrà saltare al paragrafo successivo senza compromettere la comprensione dell’articolo. Qui dobbiamo infatti necessariamente far cenno al fatto che nei laboratori dell’università californiana si applica la «parabiosi» che prevede, come suggerisce il greco antico, l’unione di due organismi in uno a formare un unico sistema fisiologico. I topi che zampettano nelle gabbie con doppi corpi e due teste, descritti dai reporter di Newsweek in un loro lavoro, sarebbero stati usati in esperimenti in cui sangue di roditori più giovani allungava la vita ai più anziani. Con il sangue giovane un individuo anziano acquisiva varie componenti cellulari, da cellule staminali a ormoni e proteine capaci di rileggere il Dna delle cellule in modo differente, come se un computer venisse riprogrammato per funzionare meglio.

Il mese scorso una ricerca su Plos Biology annunciava una scoperta fondamentale che Quingfen Qiang, uno dei ricercatori dello studio, spiega così: «Abbiamo dimostrato che un recettore dei globuli rossi ha un ruolo nel combattere il declino cognitivo. La sua perdita nel tempo ha un sicuro legame con la senescenza». Le infusioni di plasma da persone più giovani ormai sono una realtà, con tanto di risultati pubblicati sulla prestigiosa Nature da laboratori come Alkahest e milioni di dollari di investimenti. Se da una parte queste ricerche hanno potenzialità enormi, dall’altra aprono anche questioni etiche di non facile soluzione.

Bisognerebbe stabilire nuovi criteri di approvazione dei farmaci, dato che al momento questi ultimi valutano il successo nella cura di malattie specifiche. Inoltre, le infusioni di plasma sarebbero accessibili solo a una fascia della popolazione, finendo per aumentare le diseguaglianze sociali e causare lo sfruttamento di popolazioni giovani e bisognose. Tutto ciò mentre ci si trova ad affrontare il problema del sovrasfruttamento della Terra, destinato ad aggravarsi con individui capaci di «divorare» più risorse nell’arco della propria vita. Va bene allora la ricerca su elisir di giovinezza, ma ancora una volta dovremmo fermarci a riflettere su dove stiamo andando.

Belle per sempre

Entrerà anche tra i sette peccati capitali. È «l’invidia da Zoom». Voi pensate che durante le riunioni sul web donne (e uomini) siano sul pezzo. E invece sono lì a sbirciare il doppio mento del collega, le borse sotto gli occhi, la palpebra calante, il décolleté risicato. Così fan tutti. E la telecamera del pc è ancora più crudele dello specchio dell’ascensore. A questo punto, siccome di Zoom dovremo nutrirci per qualche tempo, le soluzioni possibili paiono essere limitate. O apparire velate come la Contessa di Castiglione, la donna più bella dell’Europa risorgimentale, che sconfisse la decadenza fisica girando velata e coprendo gli specchi. O affidarsi al chirurgo plastico, rincorrendo il tempo perduto nell’ultimo anno e mezzo. Alla ricerca dell’eterna giovinezza.

Mentre la scienza fa importanti passi avanti nella lotta all’invecchiamento, noi non siamo da meno. Ed è stata una sorpresa per gli stessi medici estetici, che con la pandemia pensavano di aver chiuso i battenti, e invece nel 2021 hanno visto crescere gli interventi di medicina e chirurgia estetica del 25-30% in Italia. Mentre la American Society of plastic surgeons ha riportato addirittura un aumento del 64% nei mesi di lockdown, soltanto per sedute valutative. «Non è solo bisogno di giovinezza, ma il Covid è stata un’occasione per prendersi cura di sé, per non abbruttirsi. Ho visitato molte pazienti sul limite della depressione», racconta Emanuele Bartoletti, presidente della Sime, la Società italiana di medicina estetica. Perché se il virus ci ha costretti in casa, almeno qualcosa ci ha lasciato: dalla mastoplastica alla blefaro, per non tacere dell’addominoplastica, per cui molti uomini sono in attesa. In percentuale, gli interventi si possono dividere in un 70% quelli fatti da donne e in un 30% da uomini.

A Roma si sussurra il nome di un chirurgo specializzato in pance piatte. Ha una lista d’attesa di un anno e moltissimi sono gli uomini che aspettano. Ma se ci tolgono anche le maniglie dell’amore, a cosa ci aggrapperemo nella vita? In questo momento ci aggrappiamo all’idea di essere giovani a tutti i costi, il virus ha scatenato la voglia di sentirsi nuovi, diversi. E così il professor Carlo Tremolada, noto chirurgo plastico, nell’ultimo anno ha visto arrivare pazienti da tutto il mondo, molti con aerei privati anche da Los Angeles: «Paradossalmente il Covid ha aperto il mercato. C’è stato sicuramente l’interesse a cercare un po’ di benessere. Un modo per alleggerire il peso della pandemia. E poi abbiamo avuto più tempo per pensare a noi». Anche il modo di approccio è cambiato, spiega il luminare: «Sono aumentate le video-consulenze: fanno perdere meno tempo e la visita dal vivo è più consapevole. Il cliente capisce subito cosa è possibile fare, i tempi, i costi. In questo la tecnologia ci ha aiutati».

Sandra Milo confessa di aver rincorso la giovinezza: «L’ho inseguita soprattutto intorno ai 50, quando invecchiare è un trauma. Ho fatto anche diversi interventi estetici, poi con gli anni ho perso interesse alla fisicità. Non era poi così importante essere bella, avevo trovato un benessere interiore. Due anni fa ho smesso anche con le punturine. Oggi sono una donna vecchia e su questo non ci piove, ma il mio fisico porta il ricordo della giovinezza». L’attrice racconta di come fu una delle prime ad ammettere pubblicamente di aver fatto ricorso al chirurgo: «Tutte lo negavano, io lo dissi anche per aiutare le altre donne. E poi c’è più merito nella bellezza che ti dai da sola, che in quella che ti regala madre natura. È voluta, conquistata, sofferta. Non mi sono mai pentita, mi sentivo bene, certo non è che succedeva nessun miracolo».

Le donne restano la fetta più cospicua della clientela e sono sempre più giovani (e insicure). Proprio loro che hanno attraversato il #MeToo, cavalcato l’onda del body positive, del femminismo revanchista fino al ritorno della libera ascella irsuta. E ora, ultima frontiera, anche del baffetto sottolineato dal rimmel, lanciato dalla visagista inglese Joanna Kenny, celebrità sui social. Roba da far impallidire Frida Kahlo.

La realtà però è molto diversa: «Il Covid ha messo in ginocchio soprattutto le donne. Così l’estetica è diventata anche un modo per allontanarsi dal dolore. Sembra che questo tempo ci abbia portato ancora di più a concentrarci sulla nostra esteriorità, mentre per restare giovani corpo e mente devono essere allineati. Si possono fare tutti i filler del mondo, ma se si è infelici non servirà a nulla», osserva Maria Cassano, nutrizionista, psicologa e coach. Forse si ha paura a guardarsi dentro, a tuffarsi in un buco nero da cui risalire non è facile. La grande Franca Valeri alle amiche agée diceva: «Cosa vi rifate il seno, che poi non ve lo tocca più nessuno?». Pazienza, intanto si va a farsi dare un’aggiustatina. Spiega Antonino Di Pietro, dermatologo plastico, fondatore dell’Istituto Dermoclinico Vita Cutis a Milano: «Il virus ci ha mostrato un po’ peggio di quello che siamo. Stando molto a casa siamo quasi obbligati a osservarci spesso allo specchio e notare così mille difetti. Poi le telecamere sono impietose e hanno contribuito a farci vedere più brutti. Abbiamo scoperto di essere diversi da come pensavamo. E tutti, uomini compresi, vogliamo sentirci un po’ meglio. Vogliamo restare più giovani, ma questo lo trovo un bisogno corretto».

Viviamo una giovinezza perenne, una continua età dell’innocenza. La parola «anziano» è quasi sparita. Resiste talvolta accostata a qualche vetusto Centro ricreativo. Si è «giovani scrittori» praticamente fino al pannolone. Racconta il noto dermatologo che nei suoi 35 anni di carriera ha passato ore e ore con pazienti letteralmente terrorizzate dall’idea di invecchiare: «Quando a 50 anni vuoi tornare indietro, il risultato è devastante. Il segreto della giovinezza è l’elasticità del corpo e del viso. Se deformarsi è sbagliato, non fare nulla è fuorviante». Justine Mattera, 50 anni, showgirl e ora scrittrice con Just me (Cairo), dalle mani di un chirurgo non è mai passata, ma sul profilo Instagram sfoggia un corpo da fare invidia alle ventenni. «Forse la gente ha risparmiato durante le chiusure e ha deciso di farsi un regalo», riflette. «Ma l’unico modo per sentirsi giovani è vivere la propria età al meglio, amandosi, mangiando bene, facendo sport. Raramente le donne sportive si rifanno». E così, mentre noi eravamo buttati sul divano a boccheggiare con il barattolino del gelato in mano, lei si è fatta lo Stelvio in bici: tre ore tra salita e discesa. «A una certa età arriva la consapevolezza. Io voglio provare a invecchiare bene, ma non cerco di tornare indietro. Ci pensano i figli a ricordarmi che sono una cinquantenne. Piuttosto cerco di portare i miei anni con fierezza».

Sandra Monteleoni, gran dama del wellness, insegnante di yoga e blogger i suoi anni li ha portati sempre con fierezza: «Se un aumento della chirurgia c’è stato, per strada non vedo questo gran miglioramento. La gente non ha ancora capito che i denti gialli invecchiano più che una ruga in fronte». E allora qual è il segreto dell’eterna giovinezza? «Sorridere. Come diceva lo psichiatra Roberto Assagioli: “Agire come se”. Nascondere il dolore aiuta ad avere un viso disteso. Pretendere di essere felici è un gran trucco per battere la vecchiaia. La rincorsa a essere giovani è sempre perdente».

Terry Marocco

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