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Bbc: di tutto, di peggio

Bbc: di tutto, di peggio

L’emittente inglese non ha più il lustro e la fama di un tempo. Falcidiata dagli addii di giornalisti celebri, nel mirino dei politici e dei reali, da un decennio soffre il calo degli ascolti a fronte di costi di gestione ancora troppo alti. E la concorrenza dei colossi dello streaming come Netflix e Amazon Prime sta facendo il resto.


I migliori editorialisti se ne vanno sbattendo la porta per sentirsi liberi, i politici mandano avvertimenti sibillini ai corrispondenti, i Reali s’infuriano perché non gli viene mostrato in anticipo l’ultimo documentario che li vede protagonisti. Sembra la solita disputa sulla Rai lottizzata e invece siamo in casa Bbc, l’emittente nazionale più antica del mondo, concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo del Regno Unito.

Gli ampi spazi nella Broadcasting House, la sede storica nel centro di Londra, completamente rinnovata, risplendono di luci, ma la temperatura interna ribolle da mesi. In passato esempio incontrastato d’indipendenza e imparzialità, negli ultimi tempi la corporazione è oggetto di critiche continue. I motivi? Il calo degli ascolti (in 10 anni è andato perso il 30% dell’audience) a fronte di costi gestionali troppo alti (21.000 dipendenti dopo il taglio di 450 posti di lavoro nel 2020) e di una concorrenza spietata dei nuovi canali digitali privati, più spregiudicati nei programmi perché slegati dalle rigide linee guida governative.

Tim Davie, il direttore generale assunto lo scorso anno con uno stipendio di 450.000 sterline, aveva già ridotto a un colabrodo il settore delle news e adesso dovrà risparmiare almeno un altro miliardo entro il 2022. A imporglielo è stato il governo, in previsione della riforma del 2027, quando l’emittente non potrà più contare sul canone pubblico che ora le garantisce un introito oltre 3 miliardi annui. Era intenzione dei vertici incrementarlo di una manciata di sterline e l’accordo con l’esecutivo dovrebbe arrivare alla fine di questo mese, ma a Whitehall già si dice che la cifra verrà congelata per il prossimo biennio. «Nessuno intende far pesare anche questo sul costo della vita, già aumentato in conseguenza della pandemia» si congettura nei corridoi dell’emittente. La pandemia, già.

Negli ultimi due anni ha costretto la Bbc a gareggiare con canali come Netflix e Amazon Prime per accaparrarsi sia il pubblico sia i collaboratori migliori, utilizzando risorse sempre più risicate. Alla coperta troppo corta, Davie credeva di poter rimediare sul lungo termine; l’emorragia di direttori, analisti politici e giornalisti gli crea però seri problemi. Perché è difficile tenersi buoni i migliori professionisti, se questi si accorgono che non possono più proferir commento senza ricevere un richiamo ufficiale. E ancor di più lo è rimpiazzarli, quando le regole dell’imparzialità vengono definite dalla stessa politica da cui dovrebbero sentirsi affrancati e indipendenti.

Un cortocircuito sempre esistito, ma divenuto insopportabile sotto Boris Johnson e la sua compagine governativa. Tanto che ormai la dirigenza assiste a un continuo giro di valzer. Laura Kuenssberg, analista politica di punta da Westminster, dopo sette anni di tumultuose corrispondenze, sta trattando per cambiare settore, ma l’abbandono dell’incarico potrebbe essere collegato (oltre che a una più robusta richiesta retributiva) ai recenti dissapori con il nuovo ministro alla Cultura e i Media, Nadine Dorries.

Quest’ultima non ha mai fatto mistero della sua antipatia nei confronti della Bbc, definendola «elitista e nepotista». Commenti che suonano come una minaccia neppure troppo indiretta. «Continuate pure così» sembra dire la signora «e col binocolo sarà possibile raggiungere un accordo sui vostri fondi pubblici».

Persino Andrew Marr, carismatico presentatore dello show domenicale di Bbc one, ha sbattuto la porta, dichiarando di «voler indietro la sua voce», parlare delle questioni ambientali, scrivere altri libri. Difficile che a sostituirlo sia lo storico giornalista Huw Edwards (di cui pure si era fatto il nome), incappato anch’egli nelle ire dei talebani della «cancel culture» e ripreso dai vertici per aver detto di sentirsi a disagio di fronte a un dipinto di un eroe di Waterloo, rimosso da una galleria d’arte.

Se poi «Zietta» (il nomignolo affettuoso dell’emittente) va a toccare la famiglia Windsor, apriti cielo, salta ogni contegno reale. A Palazzo non hanno digerito la notizia del documentario sulle relazioni difficili tra William e Harry, in cui viene messa in discussione la salute mentale del principe espatriato negli States e si parla della gelosia di Kate Middleton per la cognata Meghan Markle.
La dirigenza della Bbc ha ricevuto tre lettere da Buckingham Palace, ma si è rifiutata di cedere alle pressioni e dopo le due prime puntate la Duchessa di Cambridge ha cancellato l’esclusiva del concerto di Natale della sua associazione benefica offrendola a Itv. E se si arrabbia pure la «futura Regina», il rischio è che neanche Dio basti a salvare la Bbc.

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