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La gara si fa elettrica

La gara si fa elettrica

Anche se le vendite di auto «green» sono ancora limitate, la crescita è inarrestabile: nel 2020 ne sono state acquistate oltre 3 milioni nel mondo, con un balzo del 48 per cento. Così, in tutti i Paesi, è partita la corsa alle gigafactory, le fabbriche che forniscono batterie, le componenti chiave della mobilità del futuro. Un’occasione che l’Italia non può perdere.


Ai suoi collaboratori Carlos Tavares, a.d. di Stellantis (l’unione tra Psa e Fca), il quadro lo ha dipinto più o meno così: «Verrà il momento in cui una città europea bandirà le auto a benzina e gasolio, altre la seguiranno e a quel punto il mercato dei veicoli elettrici decollerà». Ancora più esplicito è stato Herbert Diess, numero uno della Volkswagen, durante l’evento aziendale Power day: «La mobilità elettrica ha vinto la gara, è l’unica soluzione per ridurre velocemente le emissioni dei trasporti». In effetti, anche se le vendite di auto elettriche rappresentano ancora una quota marginale del mercato, i tassi di crescita sono impressionanti: nel 2020 sono state consegnati nel mondo più di 3 milioni di veicoli a batteria con un balzo del 48 per cento. L’Europa, con un milione di mezzi elettrici venduti lo scorso anno, ha superato la Cina come primo mercato mondiale: nel continente le immatricolazioni di auto a batterie sono più che raddoppiate e anche l’Italia, nel suo piccolo, ha triplicato le vendite portandole a quota 59.902.

Ma questo impetuoso sviluppo ha un problema. Il cuore dell’auto elettrica è la batteria, che incide per oltre un terzo del prezzo finale del veicolo, e la sua produzione è per l’85 per cento in mano ai giganti asiatici: la giapponese Panasonic, la cinese Catl, la coreana Lg. «L’Asia ha sempre avuto il dominio dell’elettronica di consumo, e il mercato cinese dell’auto elettrica è stato fino al 2020 il più grande al mondo» spiega Dino Marcozzi, segretario generale di Motus-E, associazione che riunisce i principali attori italiani della mobilità elettrica. «Di conseguenza la produzione di batterie al litio si è sviluppata laggiù». Anche l’americana Tesla usa accumulatori della Panasonic, seppur sviluppati in esclusiva.

L‘Unione europea prevede che la domanda di batterie per le case continentali crescerà dai 40 gigawattora del 2020 a 170 nel 2025 per salire a oltre 400 nel 2030. Per questo si è scatenata la corsa alle «gigafactory» (copyright di Elon Musk, proprietario della Tesla), cioè le grandi fabbriche che producono accumulatori. E proprio la casa americana sta costruendo una sua gigafactory a Berlino, mentre Catl, Lg e la coreana Sk Innovation hanno già annunciato che intendono realizzare stabilimenti in Germania, Polonia e Ungheria.

Una situazione che né le aziende europee né Bruxelles possono tollerare: sarebbe letale lasciare ad altri il controllo di un componente così importante per la mobilità del futuro. Bruxelles perciò sta contrattaccando con il progetto dell’Airbus delle batterie, un piano da 2,9 miliardi di euro di sostegno pubblico da parte di dodici Stati membri per sostenere la ricerca e l’innovazione in tutti i segmenti della catena del valore delle batterie. Il vicepresidente della Commissione europea Maroš Šefcovic ha annunciato che l’Europa è destinata a diventare, entro il 2025, il secondo più grande produttore di celle per batterie al mondo, dietro la Cina.

«In Europa sono in progetto 14 fabbriche» dice Francesco Naso, responsabile dell’area Technology, market and environment di Motus-E, «e non si limiteranno ad assemblare la batterie, ma produrranno tutto, anche le celle». I piani più ambiziosi sono quelli della Volkswagen, primo gruppo europeo e secondo al mondo dopo Toyota. Entro il 2030 il colosso tedesco costruirà sei gigafactory in Europa, per una capacità produttiva totale di batterie pari a 240 gigawattora.

L’obiettivo è garantirsi l’indipendenza dai produttori asiatici dopo il 2025, quando scadranno una serie di contratti di fornitura. Delle sei gigafactory, le prime due saranno in Germania e Svezia, le altre 4 dovrebbero essere costruite tra Spagna, Francia, Portogallo e Paesi dell’Europa dellEst. «Puntiamo a ridurre il costo e la complessità della batteria e allo stesso tempo aumentarne autonomia e prestazioni» sottolinea Thomas Schmall, responsabile tecnologie della Volkswagen.

La casa automobilistica di Wolfsburg non è sola nella realizzazione delle gigafactory. Nel 2020 le francesi Psa (ora Stellantis) e Total hanno creato la Acc (Automotive cells company) decollo previsto nel 2023, con una prima fabbrica a Douvrin, in Francia. Entro il 2025 dovrebbe iniziare la produzione un secondo stabilimento in Germania. Questi due impianti dovrebbero rifornire di batterie un milione di veicoli elettrici all’anno.

Né Tesla, né Volkswagen, né i produttori asiatici hanno citato l’Italia come possibile sede per le loro gigafactory. L’impressione è che il nostro Paese stia per perdere un treno fondamentale per il futuro dell’automotive: l’Italia sconta il fatto che la sua unica industria automobilistica, cioè l’ex-Fca, ha perso tempo sull’elettrificazione. «Ma non è troppo tardi» sostiene Marcozzi di Motus-E. «Possiamo ancora attirare investimenti per costruire una gigafactory in Italia e una grande occasione è fornita dal Piano nazionale di ripresa e resilienza». Nel nostro Paese alcune imprese sono coinvolte nello sviluppo di batterie. La Faam sta realizzando a Teverola in Campania, in un ex stabilimento Whirlpool, una fabbrica di batterie, dalla cella fino al recupero di materiali. La ex Fca, ora Stellantis, ha creato a Mirafiori un polo di sviluppo di celle e di assemblaggio di batterie. E poi c’è Italvolt, il progetto dell’imprenditore svedese Lars Carlstrom che è a caccia di 4 miliardi per costruire nell’area ex Olivetti di Scarmagno una gigafactory con una capacità iniziale di 45 gigawattora, capace di produrre quasi mezzo milione di pacchi batteria all’anno e di dare lavoro diretto a circa 4 mila persone. Forte della collaborazione di Comau e Pininfarina, Carlstrom è però privo di un proprio brevetto e utilizzerà tecnologia coreana, sempre che riesca a mettere insieme i fondi necessari.

Oltre a portare in Europa la produzione di un pezzo importante delle auto elettriche, la corsa alla gigafactory contribuirà alla diffusione dei veicoli a batteria grazie alla riduzione dei costi. «L’evoluzione della tecnologia è molto rapida» afferma Naso di Motus-E. «Il prezzo di una batteria agli ioni di litio nel giro di tre-quattro anni dovrebbe scendere del 30 per cento. Per quanto riguarda invece l’aumento dell’autonomia, i nuovi processi industriali stanno migliorando le prestazioni degli accumulatori in termini di densità energetica e di peso. Inoltre nelle batterie di nuova generazione si fa sempre meno uso di cobalto», costoso e difficile da estrarre. La Panasonic ha annunciato che potrà rendere disponibili accumulatori privi di cobalto entro i prossimi due o tre anni. All’orizzonte poi ci sono le batterie allo stato solido, più leggere, più piccole e più sicure di quelle agli ioni di litio. La gara è solo all’inizio.

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