Per far ripartire consumi e investimenti servono politiche a sostegno di imprese e lavoratori. Ma Bruxelles non riesce a mettere in piedi strumenti di intervento rapido. Ecco perché dobbiamo sperare nella Banca Centrale Europea.
La rapidità di reazione alla grande crisi Covid-19 è la chiave di volta per rimbalzare dagli abissi in cui sono sprofondate le nostre economie. La capacità dei governi di sostenere imprese e lavoratori è la strategia per fare ripartire le dinamiche virtuose dei consumi e degli investimenti. Tutto è legato, così come strettamente interrelate sono le nostre economie. Queste facili e quasi banali osservazioni sono condivise da tutti. Ne discende che semplice dovrebbe essere il dispiegarsi delle politiche di intervento.
Purtroppo, per alcuni Paesi sembra esattamente il contrario. E l’Italia tra questi. Il peccato inizia però a Bruxelles. Le decisioni assunte nelle ultime settimane a livello europeo hanno generato molte aspettative e sono stati quantificati interventi possibili in oltre 400 miliardi di euro. Sicuramente corretto, ma tutto è ancora allo stato potenziale. Tra Mes, Sure e fondo Bei ancora nessuno strumento è operativo e non lo potrà essere prima di altre tre/quattro settimane o forse qualche mese. I processi decisionali comunitari – che devono tenere conto certamente delle istituzioni di 27 Paesi – anche in questa crisi sono troppo bizantini per essere immediatamente agibili.
La Commissione europea non riesce a mettere in piedi strumenti di intervento rapido, capaci di iniettare nelle economie nazionali risorse per imprese e persone. Un serio problema che dovrà essere presto risolto, se qualcuno vorrà mettere mano all’architettura istituzionale dell’Unione Europea. Così, non resta che confidare nella Banca Centrale Europea e nella sua capacità di intervenire, a qualsiasi costo, sui mercati per acquistare titoli e sostenere la liquidità e la solidità finanziaria dei Paesi. Ed è proprio quello che sta accadendo.
In Italia la situazione rischia di essere anche peggio. Un’eccessiva prudenza, dettata sicuramente da un forte principio di precauzione, sta limitando la capacità delle politiche di sostenere imprese e famiglie. Procedere gradualmente per piccoli passi non aiuta gli imprenditori a riprogrammare la propria attività e genera insicurezza tra i lavoratori e le lavoratici e nelle famiglie. I foschi scenari tracciati da tutti i previsori descrivono una caduta del Pil tra 8% e 15% e un aumento della disoccupazione di circa tre punti. Nel frattempo, però, la cassa integrazione è esplosa, passando da circa un milione di lavoratori a quasi 7 milioni, gli indici di attività evidenziano un significativo rallentamento delle produzioni, interi settori sono oggetto di una crisi che ne mette in discussione la prossima esistenza.
Sarebbe necessaria una più rapida capacità di risposta e anche il varo di strumenti nuovi e più trasparenti. Non si tratta solo del volume di risorse messo a disposizione (che si dimostra purtroppo insufficiente), quanto della strumentazione amministrativa predisposta. In questo momento, la sopravvivenza del nostro tessuto economico e sociale dovrebbe fare premio sulle supposte questioni di equità. Per quelle ci sarà tempo quando saremo sopravvissuti. Per questo è importante che i pagamenti della cassa integrazione vengano rapidamente erogati, coinvolgendo quanti più soggetti possibili sia nella fase di presentazione sia nella fase di erogazione; che le imprese possano beneficiare delle risorse finanziarie messe a disposizione attraverso pochi passaggi amministrativi; che i Comuni possano intervenire nelle situazioni di povertà con azioni discrezionali quanto più semplici possibili.
Si devono evitare errori da matita bleu, che sarebbero facilmente evitabili solo con l’assunzione di responsabilità personali oppure con l’immissione delle dovute competenze tecniche. Troppe volte in queste settimane è sembrato che le azioni intraprese fossero affidate a novelli apprendisti stregoni, piuttosto che a competenti figure dell’Amministrazione, ovvero a tecnici che conoscono il mondo delle imprese e le dinamiche dell’economia. In questa prossima fase si tratta di riaccendere i motori e ricominciare a camminare. Dopo discuteremo, con grande attenzione ed interesse, delle nuove strutture dell’economia e del ruolo dello Stato.
Nell’immediato si tratta di erogare risorse a fondo perduto alle imprese, adottare un principio di zero burocrazia, sostenere il reddito di tutti i lavoratori, strutturando ammortizzatori sociali che possano offrire maggiore copertura e per un periodo più lungo, sorreggere settori delicati dell’economia italiana quali turismo, commercio, edilizia e immobiliare. Per sopravvivere dobbiamo evitare l’economia dell’assistenza e la scomparsa del ceto produttivo medio, quella che potremmo definire la classe media. È su questi obiettivi che si misurerà il successo del governo.