Influencer, osannato dai social, rich kid milanese, è il mattatore nella casa del Grande Fratello Vip. Panorama l’ha incontrato poco prima che partecipasse al reality, all’uscita del suo esordio letterario.
Se Borat è tornato per salvare il mondo nel 2020, Tommaso Zorzi lo sta già facendo al Grande Fratello Vip. Il mattatore è lui. Bello e intelligente. I social lo osannano: «Sono un battitore libero». Panorama l’ha intervistato prima che entrasse nella Casa, all’uscita del suo esordio letterario Siamo tutti bravi con i fidanzati degli altri (Mondadori), da subito in vetta nella classifica Amazon. Amori, sesso, amicizia, social, poke al salmone e maratone di serie tv in una festaiola Porta Venezia, che sembra il newyorchese Village. «È l’ultimo vero quartiere di Milano. È un sultanato e io sono il sultano». Venticinque anni, influencer, rich kid milanese (la sua ascesa parte con il programma Riccanza) zodiacalmente «arietissimo», come dice lui. Ma dietro a tutto questo c’è un lato fragile, nascosto, che emerge leggendo il suo romanzo. Molto autobiografico.
Filippo è il suo alter-ego. Anche lei è così ansioso?
Sì e l’idea di ritornare a chiudermi in una casa, anche se il contesto è diverso, dopo il lockdown mi preoccupa. Durante quei mesi ho dovuto affrontare la mia ansia. E mi sono calmato. Ho sempre cercato di sfuggirle. È una cosa che mi porto dentro.
Com’è riuscito a gestirla?
È così dai tempi della scuola. Quando c’erano le verifiche arrivavo bianco e tremante. Poi ho capito che c’è solo un modo: lo psicologo, che peraltro consiglio a tutti. Dovrebbe passarlo la mutua, ora più che mai. Se qualcuno dice che non gli serve è perché non si è mai guardato dentro. Anche solo due sedute, per capire come stare bene.
Alla fine è riuscito a stare bene, come si capisce dalla dedica del romanzo a tutti i casi umani che: «mi hanno reso la persona che sono oggi».
Ho pensato soprattutto agli uomini e mi metto dentro anch’io. Sono da manuale. Con la convinzione di farla sempre franca, di essere più furbi degli altri. Pensano di essere su un set e che nessuno scopra quanto sono bugiardi.
E le donne invece?
Io amo le donne, sono molto più fighe di noi. Aspettano ancora chi le corteggia. Hanno il potere di tergiversare, di decidere se concedersi o no. Il mio pubblico è al 90 per cento femminile, si identificano con le mie storie. Io sono un po’ un sottone.
Cosa vuol dire?
È una parola milanese per descrivere quello che vuole soffrire in amore, che accetta di farsi prendere a pesci in faccia e ha bisogno del bastardo.
E lei è un po’ così?
Un po’ tanto…
Come si comportano i Millennials in amore?
C’è molta confusione nella sfera sentimentale. Si cresce più velocemente, i modelli sono cambiati, così la fruibilità dei rapporti. E tutto si consuma altrettanto rapidamente. Se una volta al liceo stavi insieme tre anni, oggi sono tre mesi e mezzo.
Nel romanzo sembra che basti solo una settimana per amarsi, cornificarsi e lasciarsi.
Sì, in questo nostro tempo breve viviamo, come cantava Anna Oxa, «un’emozione da poco».
Come mai questi rapporti-sushi?
Siamo una società asettica, lontana dai sentimenti. Ogni volta che proviamo qualcosa deve essere sempre al massimo. Come se già sapessimo che ci scivolerà tra le mani. In fondo c’è una rassegnazione, un accontentarsi. Non c’è l’impegno di dirsi: «Costruiamo qualcosa». Piuttosto è: «Finché la barca va lasciala andare». E al primo problema si molla tutto.
È una prospettiva alquanto triste.
Manca la voglia di cambiare, di fare compromessi per stare insieme. Tutto è percepito come uno «sbattimento», una fatica. Viviamo in una bolla di egoismo, non si vuole rinunciare a niente.
Ora è single?
Sì, ho chiuso una relazione durata poco, ma con ripercussioni psicofisiche di due mesi. Giravo per casa in vestaglia con un bicchiere di vino rosso in mano e Whitney Houston nelle cuffie, a guardare dalla finestra la pioggia che scendeva. Sembravo una Mia Martini moderna.
Le corna sono le protagoniste di un altro recente caso editoriale di Giulia De Lellis. È l’ora dei cornuti?
Sembra che il tradimento sia la formula migliore per vendere. Ma in verità ci si cornifica tanto. Non esiste più la figura dell’amante tradizionale. Si fa fatica a mantenere un rapporto, figurarsi due. È come Beautiful, tutti vanno con tutti.
E in questa giostra frenetica il sesso che senso ha?
È ovunque: nei testi delle canzoni dei trapper, nelle foto che le ragazzine postano. La mia prima volta è stata a 18 anni, oggi a 14 hanno già fatto tutto. Ma dal punto di vista emotivo sono dei bambini. Cosa faranno dopo?
Nel libro tutti si beccano la gonorrea. È molto diffusa tra i ventenni?
Sì e non se ne parla. Però non si deve stigmatizzare chi la prende. Mi è capitato, si guarisce con un antibiotico. Bisogna stare attenti. Eppure nessuna delle mie amiche usa precauzioni.
I social hanno travolto i rapporti?
Una volta era eccitante andare a prenderla sotto casa, domandarsi: «mi risponderà al telefono?». Oggi se non risponde basta guardare Instagram: se ha messo una storia posso sapere subito dove è. Così il desiderio è calato. Tutto è terribilmente facile e scontato. Con i social sai tutto: cosa fa, che amici ha, che musica ascolta. E ti domandi se ha ancora senso scrivere un messaggio. I sentimenti si esprimono lasciando un like, facendo una reaction a una storia.
Per questo l’alcol è il migliore amico dei suoi personaggi?
La mia frase quando arriva un amico a casa a parlare d’amore è: «Apriamo una bottiglia». Tengo sempre un Traminer in frigo pronto all’uso. Non è più il bicchiere di vino ai pasti, ma quello che devi bere quando parli dei casi umani.
Davvero si beve il cartone di Tavernello, come nel libro?
Me lo porta un’amica, la tipica radical chic, figura milanese che non potevo non raccontare: l’artista incompresa.
Altra figura fondamentale è la «sciuraglam» madre del protagonista, si è ispirato alla sua?
Mia madre è una donna stupenda, chicchissima. Ma quella del protagonista incarna il sogno di ogni ragazzo omosessuale: trasformarsi a 75 anni in Marta Marzotto.
Perché un sultano scrive un libro?
Ho sempre amato scrivere. Al Collegio San Carlo, Alessandro D’Avenia è stato il mio insegnante. Dopo il primo tema mi disse che mi aveva iscritto al concorso letterario della scuola, che ho vinto. Poi ho raccontato le mie vicissitudini d’amore tragicomiche su Instagram. Da lì l’idea del libro. Ogni voltaì sono convinto di vivere la fiaba di Cenerentola, purtroppo sono solo io a crederlo. Sono destinato allo strazio amoroso, come un personaggio da romanzo d’appendice alla Carolina Invernizio.
Alla fine si salva solo il suo bassotto, Gilda, protagonista nella realtà come nel romanzo.
È tutta la mia vita. La considero umana. È intelligentissima, i bassotti fanno finta di non esserlo solo per fregarti.
Superata l’ansia grazie al lockdown, cosa l’affligge ancora?
Mi innamoro ogni cinque minuti. Alla fine i casi umani siamo noi.