Tesla è un marchio dal successo ormai globale, sinonimo di veicolo elettrico. Ma la sua storia è recentissima e anche il tycoon Elon Musk con cui viene identificata è solo uno dei molti capitoli. Tra intuizioni geniali e incidenti di percorso, ecco come si è compiuta la rivoluzione delle quattro ruote.
Nel 2022 la Model Y è stata la terza auto più venduta al mondo dopo due Toyota, la Rav4 e la Corolla. Un risultato eccezionale non solo perché il Suv della Tesla è un veicolo completamente elettrico. Ma perché a costruirlo è una società che vent’anni fa neppure esisteva. E che continua a crescere a ritmi incredibili: nel primo trimestre di quest’anno le vendite di Tesla sono aumentate del 36 per cento. Oggi la casa automobilistica californiana può guardare dall’alto della sua capitalizzazione di borsa i grandi vecchi delle quattro ruote: Tesla vale circa 500 miliardi di dollari, più del doppio dell’asiatica Toyota, sette volte l’europea Volkswagen. Numeri sconvolgenti, tenendo conto che la società guidata da Elon Musk ha immatricolato lo scorso anno solo 1,3 milioni di auto contro gli oltre 10 milioni di Toyota. E ha iniziato a portare a casa i primi utili netti nel 2019.
Una storia straordinaria quella di Tesla, che deve il suo successo a un riuscito cocktail di innovazione, originalità, perseveranza. Niente concessionari, niente pubblicità. Con un approccio simile a quello adottato da Apple, Tesla ha puntato sulla clientela premium offrendo un prodotto unico, tecnologicamente avanzato, dal design minimalista. E ha raccolto intorno a sé, grazie al passaparola e a un leader carismatico quasi quanto Steve Jobs, una schiera di fan innamorati del brand che a loro volta promuovono i veicoli Tesla in tutto il mondo. Proprio come è successo con l’iPhone.
La complicità con il cliente si esprime anche con un pizzico di umorismo: le sigle dei quattro modelli Tesla S, 3, X e Y formano la parola «sexy» (la Model 3 doveva chiamarsi E ma il nome era già stato registrato dalla Ford), mentre il computer di bordo prevede la «velocità smodata», citazione del film comico Balle spaziali di Mel Brooks. Ma oltre a realizzare un prodotto che ha trasformato la vettura elettrica in un prodotto alla moda, Tesla ha preso una decisione unica tra le case automobilistiche: ha costruito una propria rete di punti ricarica veloce, una scelta geniale perché per un acquirente è molto rassicurante sapere di poter contare su una struttura proprietaria di colonnine, piazzate in luoghi sicuri come i parcheggi degli alberghi o nelle stazioni di servizio. Oggi Tesla offre ai suoi clienti una rete di oltre 45 mila «supercharger», forse il suo più significativo punto di forza.
Poco importa che il prodotto non sia perfetto: il sistema di guida autonoma ha fatto perfino qualche vittima e su YouTube sono parecchi i video che mostrano i difetti delle vetture più «cool» del pianeta. Nello scorso settembre in Norvegia, poco prima dell’arrivo di Musk a Oslo, un gruppo di proprietari scontenti ha addirittura proclamato uno sciopero della fame per segnalare i problemi riscontrati su alcune auto: dai rivestimenti dei sedili che si rovinano alle portiere che non si aprono con il freddo, dall’autonomia inferiore a quella dichiarata ai segni di ruggine. Per tutta risposta Musk ha twittato: «Su consiglio di un buon amico, ho digiunato periodicamente e mi sento più sano». Anche se l’imprenditore sudafricano ha avuto un ruolo fondamentale nell’ascesa di Tesla, la nascita della società non si deve, come molti pensano, a lui ma a due semisconosciuti ingegneri californiani: Martin Eberhard e Marc Tarpenning. Esperti di informatica, diventarono soci nel 1997 per fondare una delle prime aziende produttrici di ebook, la NuvoMedia, ceduta poi, nel 2000, alla Gemstar-Tv Guide International. Tre anni dopo i due si rimisero insieme spinti da una comune passione. Volevano realizzare un sogno apparentemente assurdo: produrre un’auto supersportiva spinta da un motore elettrico. La genialità del loro approccio stava nel rovesciare completamente la visione che tutti avevano dell’auto elettrica.
Fino alla nascita della Tesla, l’auto elettrica era proposta infatti come un mezzo per acquirenti attenti al portafoglio, desiderosi di avere un mezzo economico per circolare in città senza inquinare. Quindi auto piccole e poco attraenti. Peccato che i limiti delle batterie (costo e autonomia) rendevano impraticabile la vendita di questi veicoli a prezzi accettabili, oppure avevano un’autonomia troppo ridotta, con il conseguente fallimento dei vari tentativi fatti dalle case automobilistiche. Eberhard e Tarpenning, invece, pensarono che i pregi del motore elettrico (potenza massima sempre disponibile, ripresa bruciante e inquinamento zero) potevano essere la chiave per entrare nei garage dei ricchi. L’auto elettrica doveva essere costosa e sexy. Più veloce e divertente da guidare di una a benzina. Eberhard decise che la loro compagnia doveva chiamarsi Tesla, in onore dello scienziato serbo-americano Nikola Tesla (1856-1943) a cui si devono molte invenzioni in campo elettrico.
L’azienda fu registrata nel luglio del 2003 e si stabilì in un palazzo nel centro di Menlo Park, nell’area urbana di San Francisco. Pur non avendo alcuna esperienza nella produzione di automobili, i due ingegneri sapevano che avrebbero potuto condurre in porto il loro progetto grazie a una silenziosa rivoluzione che aveva investito l’ecosistema automobilistico: negli ultimi 30 anni le aziende avevano «esternalizzato» tantissime fasi della produzione, dalla costruzione dei parabrezza a quella dei fanali fino ai componenti elettronici. Così non era difficile trovare i fornitori per creare un veicolo ex novo. Per il primo modello della Tesla, fu scelto di usare il telaio di una coupè già esistente: la Lotus Elise, una aggressiva e bassissima due posti realizzata dalla casa britannica.
Mentre i due lavoravano alla nuova auto, partì la ricerca di finanziatori. E così avvenne l’incontro con Musk che diventò il principale finanziatore della Tesla e il suo amministratore delegato. Nel 2008 la Roadster fu lanciata sul mercato. Poteva raggiungere una velocità massima di oltre 200 chilometri orari e il pacco di batterie garantiva un’autonomia di 340 chilometri. A causa del prezzo elevato (100 mila dollari) Tesla ha venduto solo 2.450 Roadster nel mondo dal 2008 al 2012, quando la produzione fu interrotta. Pur con tutti i suoi limiti, la Roadster dimostrò che si poteva produrre un’auto elettrica eccitante e costosa con un’autonomia notevole e c’era un mercato pronto ad accoglierla. Intanto la produzione fu trasferita nella fabbrica californiana di Fremont dove gli uomini della casa americana iniziarono a lavorare al nuovo progetto della Tesla: la Model S, capostipite della gamma attuale. Oggi la casa californiana ha cinque stabilimenti, tre negli Usa, uno in Cina e uno in Germania, e produce anche le batterie, sviluppando generazioni di accumulatori sempre più capienti. E sta sferrando un colpo mortale ai competitori abbassando di continuo i prezzi e preparando un nuovo modello più economico. Nonostante i successi, su Tesla aleggiano alcune ombre: i dubbi sulla qualità del prodotto e la minaccia proveniente dai concorrenti asiatici che sfornano modelli molto simili a quelli californiani. Ma come dimostra il caso Apple, lunga vita è assicurata a chi conquista il cuore del consumatore.