Chissà perché nelle famiglie il fare cucina è saldamente in mani femminili – mamme, nonne, perfino suocere – mentre nei ristoranti dominano i maschi. Numerose le eccezioni, ma la regola è questa. Tuttavia la musica sta cambiando, si può parlare di una «carica delle donne», nella ristorazione. Professioniste non unite dal femminismo, né agevolate da quote rosa, che non avrebbero senso, ma in carriera grazie alla preparazione, alla tenacia, alla voglia di dare sostanza a un sogno. Abbiamo individuato, da viaggiatori tentati dalla buona cucina, le «magnifiche sette». Una rosa ristretta: le ottime chef si contano a decine, ma come scrive Jorge Luis Borges in un mirabile racconto, quando la mappa dell’Impero ha le stesse dimensioni di ciò che descrive, sarà sì vicina al vero, però inutile. Rischio che non corriamo, con la nostra mappa ragionata.
Cominciamo dall’Italia centrale, Umbria e Lazio. A Foligno, città umbra che vide gli esordi rivoluzionari di Francesco d’Assisi (e la prima edizione a stampa della Divina Commedia), opera Nicoletta Franceschini, sorta di fata che nel suo Silene Piccolo Ristorante propone un menu con le erbe spontanee protagoniste. Nicoletta ha studiato architettura per ubbidire ai genitori, ma la passione predominante l’ha portata in cucina, anche se il rigore e l’eleganza dei piatti (e del locale) tanto devono alla laurea. Ex allieva di Niko Romito, Franceschini è entrata nelle guide. Sul Gambero Rosso 2024, presentato pochi giorni fa a Roma, la fata di Foligno ha ottenuto una forchetta e il premio Tradizione Futura. Da ordinare, il suo risotto con lumache e fondo di radici.
A poca distanza, in provincia di Rieti, ecco a Contigliano, minuscolo borgo a guardia della Valle Cupa (quanto è evocativa l’Italia frettolosamente detta minore), il ristorante di chef Carlotta Delicato e del marito Gabriele Tarquini, maestro di accoglienza in sala. Si chiama proprio Delicato, come la cuoca; mai aggettivo – in apparente contrasto con la forza dei piatti – fu più calzante. Carlotta, giovanissima ma con esperienza in Spagna, è mamma; concilia orari del ristorante (non comodi) e famiglia grazie ai nonni e al fatto di aver rinunciato alla ribalta delle grandi città per far nido nei luoghi d’origine. Da ordinare: quaglia con maiale, funghi, uva e pane.






Bisogna fare un salto a Salina, nelle isole Eolie dall’infinita energia, per provare la cucina di Martina Caruso, al Signum, hotel di famiglia: qui ha conquistato una stella Michelin (già dal 2016) e continua a portare riconoscimenti, come le tre forchette del Gambero Rosso. Martina, tenace come le rocce vulcaniche delle sue isole, è due volte mamma, ma non ha mai pensato di rinunciare a un lavoro per lei affascinante: le dona calma di pensieri, lucidità di visione. Mediterraneo è la sua parola-mantra. Da ordinare: bagna cauda con ricci di mare crudi (fa parte degli amuse-bouche) e linguine con latte di mandorla e vongole. Il Signum è aperto da metà aprile a metà ottobre.
A Milano, terra di battaglia per ogni avanguardia culinaria, si è fatta onore Viviana Varese, con una carta di impostazione marittima tra le migliori in città. Al suo ristorante all’interno di Eataly, Viva, la salernitana chef stellata ne ha da poco aggiunto uno in via Melzo, Polpo, evoluzione di Spica, locale aperto con la collega indiana Ritu Dalmia. Ai fornelli c’è Valentina Gaeta, in sala Davide Gianni, Valeria Lorusso, Martina Guercia. Atmosfera anni Ottanta, ritmo sostenuto da movida milanese. Da ordinare: polpo al vapore alla gallega e tapas ittiche a piacere. Sempre a Milano opera Sara Preceruti, che ha trasferito in città, dal 2016, il ristorante Acquada di Porlezza. Dal piccolo mondo antico dove Fogazzaro ambientò i suoi romanzi, alla metropoli, lo stile di Sara non è cambiato. Cucina elegante, dal tocco femminile nella sapienza degli accostamenti e nei voluti contrasti. Meritevole di stella. Da ordinare: risotto affumicato al petto d’oca.
A Brescia c’è Arianna Gatti, per il Gambero Rosso cuoco emergente 2024. Abruzzese di nascita, per anni sous-chef al Miramonti l’Altro, ha dato vita a Forme, ristorante in una corte rurale. Attenta all’attualità, ha creato un dolce dedicato alla Vittoria Alata, per Brescia Capitale italiana della cultura. Da ordinare: Saint Honoré di storione e caviale. Terminiamo la rosa in Piemonte, a Tortona, al cospetto di Anna Ghisolfi, nel ristorante omonimo situato dentro la navata dell’Oratorio del Crocifisso. Un luogo di armonia, dove i piatti di chef Ghisolfi si impongono comunicando l’amore per il fare, con la concretezza lontana da ogni ampollosità. In sala, a condurre le danze, il marito di Anna, Enrico Merli, una vita passata a far l’avvocato, esperto di vino, formaggi – potrebbe scrivere un romanzo sul Montebore – e rituali da gourmet. Dietro una grande donna, Anna Ghisolfi, c’è un grande uomo, potremmo dire, adattando una celebre vulgata. Da ordinare: riso con zucca, nocciole e gocce di passito Castello di Tagliolo, Ovada.
Le magnifiche sette non potrebbero esistere se la strada non fosse stata aperta da donne come Annie Féolde, la regina del tristellato Enoteca Pinchiorri di Firenze, e poche altre antesignane, quali Luisa Valazza (Al Sorriso di Soriso, Novara), Nadia Santini (Dal Pescatore, Canneto sull’Oglio, Mantova), Nadia Moroni (Aimo e Nadia, Milano). Donne che in tempi più difficili dei nostri hanno preso il comando nelle cucine dei ristoranti. Osare si deve, era il loro motto non espresso. Hanno avuto ragione.