Androidi e umanoidi che assistono gli anziani, a casa o nelle Rsa. In futuro sarà sempre più così. E i primi modelli sono già tra noi.
Buddy veglia sugli anziani e li libera dall’isolamento. R1 ne monitora lo stato di salute e interagisce con loro. Pepper offre compagnia e aiuta i soggetti con neuro-fragilità. Mentre Abel sostiene chi ha problemi di demenza o Alzheimer. Benvenuti nell’era in cui la robotica entra nella vita quotidiana, fino a diventare una presenza costante per gli anziani, fornendo supporto emotivo e fisico e consentendo l’accesso remoto a medici e infermieri. Nelle case di riposo, potrebbero intrattenere i residenti. Mentre negli ospedali stanno già aiutando gli infermieri.
Ma perché affidare gli anziani ai robot? La risposta è nella demografia e nell’invecchiamento della popolazione, con sempre meno giovani e persone specializzate per prendersi cura di chi è in là con gli anni. In Italia, l’aspettativa media globale di vita supera già gli 84 anni. Secondo l’Oms, nel mondo ci sono più di 1 miliardo di over 60, e saranno 1,4 miliardi entro il 2030: ovvero una persona su sei, che richiederà altri 6 milioni di infermieri. Senza parlare del problema della demenza senile: entro il 2050 colpirà, globalmente, oltre 130 milioni di persone.
La robotica può quindi venire in aiuto. Secondo un rapporto di MarketsandMarkets, il mercato globale dei robot sanitari raggiungerà i 12,6 miliardi di dollari nel giro di un paio d’anni. Alcuni modelli sono già sul mercato, altri in fase sperimentale. Sono già ampiamente utilizzati, per esempio, in Giappone, dove un terzo del budget del governo è destinato allo sviluppo di «carebot»: dagli esoscheletri che supportano il personale nel sollevare i pazienti ai cuccioli di foca robotici (come Paro, compagno quotidiano nei casi di Alzheimer).
Rodolphe Hasselvander, ingegnere e imprenditore, appassionato di robotica, ha fondato a Parigi la Blue Frog Robotics. «La nostra startup sviluppa “Robots for Good”» dice. Abbiamo creato Buddy, l’Emotional Companion Robot, per l’assistenza agli anziani, l’educazione e sostegno ai bambini con bisogni speciali». Hasselvander spiega a Panorama come funziona Buddy, costo dai 2 mila euro: «Grazie alla comunicazione video preserva il legame sociale con l’ambiente familiare e soddisfa il bisogno di stimolazione cognitiva. L’obiettivo è far nascere una connessione emotiva con le persone».
R1 è invece il robot ideato, in Italia, dall’ITT, l’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova: sul volto ha uno schermo che gli permette di comunicare con il linguaggio visivo e interagire con il paziente. «Abbiamo fatto dei test, uno anche con la Fondazione Don Gnocchi, per valutare i parametri relativi all’equilibrio delle persone e alla loro capacità di camminare, utilizzandolo per la riabilitazione. Che normalmente viene fatta da terapisti, ma noi la stiamo sperimentando con R1» racconta Lorenzo Natale, senior researcher all’IIT. Sempre nel nostro Paese è poi «nato» Abel, androide con viso da adolescente in grado di «ragionare» e capire le emozioni. Il progetto, realizzato grazie agli studi del Centro di ricerca Enrico Piaggio dell’Università di Pisa, ha come scopo quello di assistere chi soffre di demenza e Alzheimer, in modo che possa continuare a vivere il più possibile nella propria casa.
«Il settore è in evoluzione continua, con progressi nell’intelligenza artificiale, nell’apprendimento automatico e nella tecnologia dei sensori. In ambito sanitario i robot sono sempre più utilizzati per il monitoraggio dei pazienti, la gestione dei farmaci e la riabilitazione» dice Sunny Chen, direttore marketing della United Robotics Group, una delle principali aziende di questo tipo in Europa. «Sono in fase di sviluppo modelli come Pepper e Nao, in grado di fornire compagnia agli anziani e impegnarli in conversazioni e attività. Ci sono ancora molte sfide da affrontare, problemi normativi e di sicurezza, e anche preoccupazioni circa le implicazioni etiche. Ma è un mercato destinato a espandersi in modo rapido».
A Catania, Behaviour Labs è una piccola-media impresa che «dona un’anima» ai robot umanoidi: «Nel 2014 abbiamo creato e brevettato con la partecipazione scientifica dello IESCUM il software RoboMate» spiega il co-fondatore Daniele Lombardo. «È il primo dispositivo medico europeo per la robot assisted therapy, che applichiamo a Pepper e Nao per la riabilitazione di soggetti con neuro fragilità, autismo, o demenza senile. Non c’è un’interazione fisica, tutto avviene tramite stimolazione cognitivo-comportamentale; il software consente al medico di pianificare la terapia e di impostare gli esercizi riabilitativi che il robot dovrà eseguire con il paziente». La piattaforma acquisisce i dati, li elabora e li restituisce al medico monitorando l’andamento della malattia. È un sistema già applicato in oltre cento realtà italiane, tra cui l’Ospedale Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo e l’IRCSS Istituto Neurolesi di Messina.
RoboMate sarà impiegato con altri «umanoidi» come Grace della Awakening Health: il primo assistente medico robotico al mondo simile all’uomo. «Il modello umanoide risulta più facile da decodificare da un paziente con deficit neurologici, e con il software specifico diventa un dispositivo che affianca lo specialista, provvedendo ad attività abilitative e riabilitative» prosegue Lombardo (co-inventore di RoboMate insieme al fratello Marco). In un futuro assai vicino, il caregiving robotico ci travolgerà, insieme a una serie di questioni sociali, emotive, e morali così come era stato l’impatto di smartphone, social media e intelligenza artificiale. L’idea di ospitare davvero badanti robot nelle nostre case può sembrare, oggi, piuttosto aliena. Ma non è escluso che l’assistente «artificiale» alla fine non si riveli più affidabile, disponibile e premuroso nei confronti degli anziani, in una parola più professionale, di un analogo e imperfetto «modello» umano.