Home » Attualità » Opinioni » Aspettando il ritorno a casa della Pietà Rondanini

Aspettando il ritorno a casa della Pietà Rondanini

Aspettando il ritorno a casa della Pietà Rondanini

Un gallerista propone alternative spiazzanti per riempire lo spazio un tempo abitato dall’ultimo capolavoro di Michelangelo. L’operazione ha un senso. E serve come denuncia, ancora una volta, di un vuoto da colmare.


Mi scrive, turbato e preoccupato, Corrado Beldì, trovando provocatoria e ingiustificata la proposta di un gallerista di Milano, generalmente avveduto, Massimo De Carlo, apparsa sull’inserto ViviMilano del Corriere della sera, lo scorso 10 marzo: «Scusa, ma Massimo De Carlo che vorrebbe mettere una scultura contemporanea dove c’era la Pietà Rondanini nello splendido allestimento dei BBPR? Se fossi in te pianterei giù un altro bel casino».

Probabilmente Corrado ricorda le mie proteste quando Ministero, Comune, Sovrintendenza legittimarono Michele De Lucchi a spostare la Pietà Rondanini dall’allestimento storico al tristo accampamento da lui predisposto per l’accoglienza dal lato B dell’opera negli anonimi ambienti dell’antico Ospedale spagnolo, nel Cortile delle armi. Una dissacrazione. Non irreparabile, ma voluta da un uomo senza rispetto, che ha persuaso menti deboli.

Non capendo nulla della poesia dell’allestimento originale, i burocrati hanno privilegiato le esigenze pratiche di accogliere più persone, perdendo l’aura di una visione privilegiata. E insultando Michelangelo Buonarroti. Sciocchezze di pseudo architetti per la modica e inutile spesa di quattro milioni e 600 mila euro: una vergogna. E, si badi, anche un delitto, cui nessun pubblico ministero si è applicato, contro il patrimonio artistico, contro il diritto d’autore, con evidenti danni per l’erario.

Ma oggi, nella desolazione dello spazio disertato, la questione è un’altra. Il giornalista chiede, astrattamente, a Massimo De Carlo: «Che luogo di Milano sceglierebbe per esporre un’opera?». E lui risponde: «Metterei una scultura monumentale in Piazza Duomo, circondata com’è da palazzi. Sembra un’enorme stanza a cielo aperto. E poi piazzerei un’installazione nella Sala degli Scarlioni al Castello, dove prima c’era la Pietà Rondanini. Sarebbero due esperienze da non perdere».

Il pensiero di De Carlo non ha nulla di provocatorio, neppure di iconoclastico. Semplicemente indica una lacuna. Egli sentiva e sente un vuoto. E finché non sarà possibile riportare Michelangelo al suo posto, quel vuoto attende di essere colmato. E, intanto, grida, grida la sua oscena nudità. Tante sono le opere sottratte alla loro sede originale, ma questa l’aveva invece trovata.

Acquistata dal Comune di Milano nel 1952, la Pietà Rondanini, scolpita quattro secoli prima, era stata collocata in quell’area del Castello, nell’allestimento dedicato dagli architetti del gruppo BBPR – Gian Luigi Banfi, Lodovico Barbiano di Belgiojoso, Enrico Peressutti, Ernesto Nathan Roger – che crearono una nicchia numinosa. Era il punto d’arrivo per l’ultima scultura di Michelangelo, rimodellata per stare sulla sua tomba: dal corpo di Maria aveva ricavato una nuova figura di Cristo (della concezione precedente mantenne solo le gambe piegate), mentre dalla spalla sinistra e dal petto dell’iniziale corpo di Cristo trovò lo spazio per ricavare un nuovo corpo per Maria.

A questa Pietà Michelangelo lavorò fino a pochi giorni prima di morire, come testimoniano due lettere di Daniele da Volterra scritte rispettivamente a Giorgio Vasari e a Leonardo Buonarroti. L’opera era infatti nello studio di Michelangelo alla sua morte, già inventariata così: «Statua principiata per un Cristo et un’altra figura di sopra, attaccate insieme, sbozzate e non finite». A Milano trovò la sua sede naturale grazie all’intuizione mistica dei BBPR.

Nella stagione dei grandi rinnovamenti dei musei italiani, quell’intervento fu e resta memorabile, prima che i vandali decidessero, con la mano armata della legge, l’attuale scempio. La mediocrità dell’intervento di De Lucchi non sta solo in ciò che ha fatto, ma nella mancanza di rispetto, oltre che per Michelangelo, per i suoi maggiori, per gli architetti che hanno contribuito a rendere viva e nuova l’immagine di Milano. Mi è sempre sembrato indecoroso questo atteggiamento di mancanza di rispetto, di supponenza nei confronti dei BBPR, architetti tanto valorosi, e del loro gesto forse più alto.

Io li avrei venerati. Dimostra di comprenderlo proprio Massimo De Carlo che, intercettando quel grido, vuole rispondere, vuole riparare al vuoto, che è anche dentro di lui, dentro di noi. Oltre ogni nostra idea del contemporaneo. Oltre il gusto di De Carlo. La sua risposta indica una sensibilità e una cultura notevole. E non è, come pensa Beldì, una irruzione indebita, un approfittare del vuoto, una proposta dissacratoria. È una necessità e, anche, una denuncia. Verrà il giorno, sono certo, che la Pietà Rondanini sarà ricollocata nello spazio che le tocca, indicando la modernità, l’attualità di quel «non finito» che, già nel 1956, la rendeva contemporanea di un Alberto Giacometti o di un Marino. Ma quel posto è il suo. E la sostituzione è semplicemente un modo per ricordare e per colmare l’attesa.

De Carlo immagina una supplenza che potrebbe esser anche di sola luce, come le opere di Ettore Spalletti o qualunque illuminata alternativa. Una proposta. De Carlo ha la sensibilità per indicarla. Temporanea. Ma per far ricordare. Dopo la Pietà, una Resurrezione. L’intuizione di De Carlo mi ricorda una singolare fotografia di piazza del Duomo a Milano, una veduta di Robert Gligorov che poteva fare pensare a un dipinto di Bernardo Bellotto a Varsavia, una piazza del Duomo senza Duomo, dominata da un vuoto incolmabile che faceva vedere l’edificio anche se non c’era. L’inquietante immagine dominò per qualche tempo nel mio ufficio di assessore. Ecco, questo deve aver pensato De Carlo, sentendo la vertigine del vuoto.

Non bisogna temere quello che egli desidera (interrogato, il gallerista mi suggerisce il nome dell’artista vietnamita Dahn Vo) e che si potrà realizzare, ma l’ignoranza di chi ha sconvolto il significato di quello spazio, e fatto evaporare Michelangelo in un fantasma di se stesso.

© Riproduzione Riservata