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Con ordinanza del 14 luglio 2020, la Cassazione ha stabilito spetti ai nonni provvedere a pagare il mantenimento dei nipoti se il loro figlio, su cui grava tale obbligo, non può o non vuole farlo.
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Vent'anni di euro: c'eravamo tanto illusi
La moneta unica doveva essere il primo passo per l'unificazione del continente e per dare un fortissimo impulso allo sviluppo. Ci stiamo accorgendo invece che è stata soprattutto un grosso regalo alla Germania. E ha bloccato la corsa alla ripresa economica
dei Paesi meno forti. Così ci ritroviamo con un'Italia schiacciata dalla pandemia, ultima in tutte le classifiche anche quest'anno, che
vede il nuovo premier Mario Draghi come un salvatore. Ma con un debito pubblico alle stelle e un potere d'acquisto sempre più ridotto è impossibile fare miracoli. Soprattutto per questo euro.
- Declino Italia/1 Vent'anni di euro: c'eravamo tanto illusi
- Declino Italia/2 Con la moneta unica abbiamo perso reddito, posti di lavoro e base industriale
Con la moneta unica abbiamo perso reddito, posti di lavoro e base industriale
<img type="lazy-image" data-runner-src="https://www.panorama.it/media-library/eyJhbGciOiJIUzI1NiIsInR5cCI6IkpXVCJ9.eyJpbWFnZSI6Imh0dHBzOi8vYXNzZXRzLnJibC5tcy8yNTcxNTE3MC9vcmlnaW4uanBnIiwiZXhwaXJlc19hdCI6MTY2MjQ3OTY3OX0.52kFkZMlb22iMRG6R1bZa_nTMFXWDTQ0VP19gME1Uuc/image.jpg?width=1245&coordinates=0%2C110%2C0%2C110&height=700" id="95160" class="rm-shortcode" data-rm-shortcode-id="c31f1f85517d0179717d0a2ff8c5e570" data-rm-shortcode-name="rebelmouse-image" data-width="1245" data-height="700" />(iStock).
<p><strong>Jerome Powell</strong>, governatore della Federal Reserve, la Banca centrale americana, non si sognerebbe mai di ribadire che il dollaro è irreversibile. Per il semplice fatto che il dollaro per un americano è un elemento costituente della sua identità, il dollaro esiste in quanto esistono gli Stati Uniti d'America. E l'euro? L'euro no, tant'è che il governatore della nostra ex Banca centrale<strong> Ignazio Visco</strong> ha sentito il bisogno di affermare: «Una moneta senza Stato può durare fino a un certo momento, poi c'è bisogno di uno Stato e di un'unione di bilancio». Continui richiami all'Europa, ma l'Europa non c'è. O meglio si fa viva quando deve approfittare di «svenditalia». </p><p>Sono oltre 800 i marchi italiani finiti da quando c'è l'euro in mano straniera, un trasferimento di capitali che si avvicina ai 200 miliardi: dalle banche conquistate dai francesi all'agroalimentare e alla moda che hanno attirato francesi, tedeschi e cinesi. I giapponesi si sono buttati nell'hi-tech, i cinesi ora vanno alla conquista anche del turismo, i tedeschi hanno fatto man bassa dell'industria. Così, abbiamo smontato interi comparti che erano il primato dell'Italia. L'ultima perla è la nascita di Stellantis dalla fusione (in realtà un'acquisizione di Fca, Fiat Chrysler Automobiles che è stata di fatto comprata dai francesi) con Psa. </p><p>Perfino il «principe degli svenditori» <strong>Romano Prodi</strong> ha inarcato il sopracciglio dicendo: «È completamente in mano francese, lo Stato doveva intervenire». Già lo Stato. Con <strong>Giuseppe Conte</strong> e il Pd è intervenuto firmando una garanzia da 6,5 miliardi di euro per <strong>John Elkann</strong>, che una volta sposato ai francesi ha distribuito ai familiari dell'Agnelli & c. 2,8 miliardi di dividendi straordinari. E ora i francesi dicono che vogliono produrre le automobili in Francia, un settore da cui l'Italia è di fatto uscita. <br></p><p>Ma è solo l'ultimo episodio: il declino industriale italiano è cronaca quotidiana, basta pensare all'ex Ilva. O guardare i dati della disoccupazione raddoppiata dal 2008 (il tasso era 6,7%) a oggi, con punte di disoccupazione giovanile del 35% e almeno 1,5 milioni di posti di lavoro in bilico per la pandemia. Sono 160 le crisi irrisolte dal precedente governo che <strong>Giancarlo Giorgetti</strong>, nuovo ministro dello Sviluppo economico, ha ereditato. </p><p>In quel catalogo ci sono ex campioni dell'industria italiana. Certo infettati mortalmente dal virus, ma forse accompagnati al declino dal «ce lo chiede l'Europa». Che peraltro neppure storicamente esiste, almeno per noi italiani. L'Europa erano le terre genericamente a Nord del Mediterraneo per <strong>Ecateo di Mileto</strong>, i romani non le chiamavano così e fino a <strong>Carlo Magno</strong> l'Europa di fatto non compariva. Anche oggi ha confini geografici incerti, culture diversissime. </p><p>Non si è data una costituzione condivisa per cercare di evitare la babele di 28 Stati, parla una lingua non sua (l'inglese, ora che la Brexit si è compiuta, è una lingua straniera), ha diversi bilanci, diverse tasse, diversi debiti. Già, i debiti sono quelli che condannano noi italiani, che dobbiamo dirci europei senza poterlo o saperlo essere. </p><p>Anzi, per agganciare il carro dell'euro ci siamo svenati. Lo dice uno studio tedesco pubblicato due anni fa dal Cep (think tank di politica economica di Friburgo) secondo cui in vent'anni ogni italiano ha perso 74 .000 euro e ogni tedesco ne ha guadagnati 23.000, colpa delle differenti competitività e del fatto che con l'euro non si svaluta più. Lo hanno molto contestato, ma c'è un grafico - contenuto della Nota aggiuntiva al documento di economia e finanza firmato dall'ex ministro dell'Economia del Pd <strong>Roberto Gualtieri</strong> - che racconta un'amara verità: dal 2000 a oggi gli italiani hanno perso circa 1000 euro di reddito pro capite l'anno e ora ci ritroviamo in tasca 1.800 euro in meno della media europea e addirittura 4.000 euro meno della media dei Paesi che adottano l'euro. </p><p>Uno studio di <em>Bloomberg </em>ha illustrato che l'Italia dal 1985 al 2001 ha incrementato il suo Pil di 482 miliardi (+44%) e nei 15 anni successivi, vigente l'euro, lo ha accresciuto di appena 31 miliardi (un 2% risicato dice che in realtà ci siamo impoveriti); e lo stesso vale per il nostro export, contratto di un terzo a vantaggio della Germania, il Paese che dall'entrata in vigore dell'euro ha maggiormente incrementato il suo fatturato esterno. Ma la colpa, dicono i cultori della moneta unica, non è dell'euro, bensì dell'Italia che è in declino dagli anni Ottanta. Se si guarda l'indice di produttività si scopre che dal 1978 al 1998 ogni ora lavorata aveva un indice di produzione di Pil del 145 (10 punti sotto la Germania, 14 sotto la Francia). Nei 10 anni successivi l'indice si è ridotto a 105 per l'Italia, a 120,6 per la Francia e a 124,4 per la Germania. <br></p><p>Ma il vero fattore di perdita di competitività è stato che, mentre la Germania ha riformato la macchina statale, l'Italia è rimasta al palo e ha perso base produttiva, oltre a dover fare i conti col debito pubblico. È interessante mettere a confronto l'andamento della curva del debito con quella del Pil. La curva debito-Pil si incrocia per la prima volta nel 1992, direttore generale del Tesoro è <strong>Mario Draghi</strong>, al governo c'è <strong>Giuliano Amato</strong>, <strong>Romano Prodi</strong> dà il via alle grandi privatizzazioni. </p><p>Racconta <strong>Fabiano Fabiani</strong>, allora il capo di Finmeccanica: «Quando <strong>Draghi </strong>mi incontrava mi chiedeva: che hai venduto? L'imperativo era vendere tutto perché i Paesi europei - per far entrare l'Italia nell'unione monetaria - avevano chiesto di mettere sotto controllo la spesa pubblica e di cedere i pezzi buoni dell'Iri». E così è avvenuto. La curva ci racconta che dal '96 al '98, primo governo <strong>Prodi</strong>, il debito corre e il Pil frena. Succederà di nuovo con il governo <strong>Monti</strong> e dal 2013 in poi, con i tre governi a guida Pd (<strong>Enrico Letta</strong>,<strong> Matteo Renzi</strong>, <strong>Paolo Gentiloni</strong>), il debito esplode fino a 2.400 miliardi, il Pil si ferma a 1.780 miliardi. </p><p>È il segno del declino dell'Italia. Ma anche il segno che l'euro non è servito ad ammortizzare la crisi del 2008-2011, ancor più aggravato dalle politiche rigoriste, né che l'Italia ha recuperato competitività. Ma c'è un altro dato che va preso in considerazione nel tormentato rapporto tra gli italiani e l'euro. È la grande illusione dei mutui. I tassi bassi hanno fatto comprare casa fino al 2011, poi la grande crisi ha ridotto il valore degli immobili del 30%. Gli italiani si sono indebitati a tassi moderati ma hanno comprato a prezzi alti, si sono ritrovati con valori svalutati e una costante erosione del potere d'acquisto. </p>In vent'anni il reddito disponibile delle famiglie nell'area euro è aumentato dell'11,3% con punte del 21,2% in Francia, del 15,7 in Spagna, dell'11,8 in Germania. A rimetterci sono stati soltanto gli italiani: -3,8%. In vent'anni di euro, si è passati da una quota di debiti privati del 36% rispetto al reddito disponibile all'83% di un anno fa. A guadagnare dall'euro è stato solo lo Stato che ha piazzato il debito a tassi sempre più bassi. La spesa per interessi è passata dal 20% prima della moneta unica all'attuale quota del 9% sulla spesa pubblica. Ma anziché risparmiare, quello stesso Stato ha continuato a indebitarsi. Ed è questa la vera incognita sul futuro.