Piante miracolose, agenti d’élite lasciati soli a salvare una scienziata, zone d’ombra e segreti. C’è Mark Boal, premio Oscar per The Hurt Locker, dietro la nuova serie tv d’azione Echo 3. Che dice a Panorama: «Al pubblico piacciono, in egual misura, verità e ambiguità».
«Quando si parla di vicende di politica estera per il grande o il piccolo schermo, gli Stati Uniti hanno spesso lo sguardo rivolto a Est, si tratti dell’Europa o, data la scottante attualità, della Russia. Io ho scritto tre film ambientati tutti in Medio Oriente, e stavolta ho pensato che volevo raccontare qualcosa di meno esplorato, come la relazione con i nostri vicini del Sudamerica». Mark Boal, newyorkese, 49 anni, spiega così perché, dopo aver realizzato le sceneggiature di Nella valle di Elah e The Hurt Locker, ambientati in Iraq, e di Zero Dark Thirty, sulla cattura di Osama bin Laden in Afghanistan (e dopo aver scritto Detroit), è tornato a occuparsi di una storia internazionale in Echo 3, serie tv in 10 episodi su Apple TV+, ambientandola tra Stati Uniti e Colombia.
Qualche settimana dopo essersi sposata con Prince, suo bel principe azzurro miliardario (Michiel Huisman), che appartiene alle Forze Speciali dell’esercito americano, la scienziata Amber (Jessica Ann Collins) parte per Bogotà per unirsi a una missione incaricata di studiare nella giungla alcune piante che potrebbero risolvere il problema della dipendenza da cocaina e altre droghe. Quando la donna viene rapita da un gruppo terroristico apparentemente spinto da motivazioni politiche, il fratello (Luke Evans), anche lui nel team antiterrorismo col nome di Bambi, decide di partire insieme a Prince per il Paese sudamericano, dove i due uomini si troveranno soli nel tentativo di liberarla. «Prince e Bambi sono membri di un’unità molto specializzata dell’esercito americano, che colloquialmente viene chiamata Delta ed è l’unità antiterrorismo. In quanto membri di un’élite impiegata in missioni rischiose e delicate, sono abituati a lavorare all’interno di una macchina militare altamente strutturata. Le forze armate negli Usa sono organizzate in forma piramidale e in cima ci sono proprio i team Delta. Quindi, quando agiscono hanno a supporto molte altre divisioni, come l’aeronautica, con la copertura dei suoi jet, o la marina militare. Trovavo stimolante dal punto di vista narrativo immaginare cosa succederebbe se dovessero affrontare una missione senza alcun sistema di supporto» spiega Boal, che con The Hurt Locker ha vinto il premio Oscar per sceneggiatura e produzione e ha avuto altrettante candidature per Zero Dark Thirty, ma soprattutto ha un solido passato da giornalista con testate come The Village Voice, Rolling Stone e Playboy, per i quali ha scritto pezzi dal fronte iracheno che hanno ispirato i suoi film.
Come si entra nella testa di questi soldati d’élite in modo da descriverli così accuratamente come fa lei?
La scrittura deriva da conversazioni con persone che fanno quel lavoro: come giornalista ho allacciato molte relazioni con militari che vantano una vasta esperienza in missioni di guerra o antiterrorismo. Quindi ho iniziato a creare una storia immaginaria, poi ho provato a metterla alla prova con la verifica dei fatti: cosa farebbe un membro della Delta se si trovasse nelle stesse condizioni di Bambi e Prince? Come se la caverebbe? Le risposte servono a sviluppare nuovi spunti di trama.
Può fare un esempio?
C’è una scena nel terzo episodio in cui Prince va in televisione per cercare di chiedere appoggio al governo colombiano e mandare un messaggio a quello americano. Questa lettura geopolitica mi è stata suggerita da un membro delle Forze speciali: la prima cosa che farei, mi ha detto, sarebbe provare a influenzare i media per far eseguire a qualcun altro il lavoro che devo fare io, e in contemporanea ottenere supporto dal mio governo. Al di là delle relazioni politiche, nella serie c’è un sottotesto che parla di droga e più in generale di piante rare o poco conosciute che, sempre più, gli occidentali cercano di studiare per poter scoprire nuove molecole da brevettare.
Da dove viene questa idea?
Mi sono sempre interessato alle sostanze psichedeliche, tanto è vero che da giornalista sono stato il primo negli Usa a scrivere un profilo di Alexander Shulgin, che ha sintetizzato l’Mdma, cioè l’Ecstasy. La Colombia è conosciuta principalmente per la cocaina, dato che è uno dei principali esportatori al mondo, però ci sono moltissime altre piante autoctone che ricevono meno attenzione sui media, ma a cui sono interessati tanti scienziati, anche perché la foresta amazzonica (che si estende principalmente in Brasile, ma anche in altri Paesi, Colombia compresa, ndr) è uno dei pochi posti al mondo non ancora completamente mappato in termini di biodiversità. Quando racconti qualcosa, l’importante è cercare di essere autentici, per questo sono andato in Colombia per documentarmi. Alla fine abbiamo girato la serie proprio in quello Stato.
Avete avuto difficoltà logistiche oppure con gruppi di narcotrafficanti o criminali che potevano intralciarvi, come è accaduto per esempio quando Matteo Garrone ha girato Gomorra?
Girare nella giungla non è stato per facile, ma è valsa la pena di andarci perché questo arricchisce l’esperienza visiva degli spettatori. Quanto al resto direi che i problemi che ha avuto Gomorra sono stati cento volte più seri di quelli che abbiamo dovuto affrontare noi. Ho un’enorme ammirazione per chi ha realizzato quel film. Noi abbiamo avuto il pieno appoggio del governo colombiano, quindi da questo punto di vista siamo stati fortunati.
Questo è il suo esordio da showrunner di una serie tv. Cosa offrono 10 ore di narrazione che non si possono condensare in due di film?
Si può approfondire la storia in ogni direzione. Echo 3 è anzitutto un thriller d’azione con un retroterra politico. Poi è la storia classica del salvataggio di una damigella in pericolo, solo che la damigella non è indifesa né innocente, e neanche totalmente paralizzata dalla paura. In sottofondo c’è una vicenda che riguarda la droga, e infine al cuore della storia c’è il fattore psicologico ed emotivo, con il legame di parentela dei tre protagonisti. Non è una serie in cui è facile definire il confine tra eroi e malvagi. Credo che questo debba essere uno degli obiettivi di chi oggi fa intrattenimento.
Ossia?
In un’epoca in cui la politica dipinge uomini e situazioni in bianco e nero, estremizzando tutto, la responsabilità di chi scrive è di rappresentare la realtà in modo veritiero, realizzando storie che consentono molteplici interpretazioni. Perché il pubblico apprezza l’ambiguità molto più di quanto l’industria pensi.