Home » Ma adesso nel caffé che zucchero ci metto?

Ma adesso nel caffé che zucchero ci metto?

Ma adesso nel caffé che zucchero ci metto?

I dolcificanti artificiali sono sempre più diffusi e ne continuano ad arrivare di nuovi. Assicurano sapori gradevoli senza intaccare peso e glicemia. Tutto vero? Due studi in realtà dimostrano che, a lungo andare, gli effetti sulla salute non sono affatto positivi.


Una volta a rendere più dolce la nostra vita, per lo meno a tavola, c’era solo un tipo di zucchero: bianco, industriale – ma nessuno ci trovava niente da ridire – spesso in forma di zollette (che per farle sciogliere occorreva martellarle a cucchiaiate). Poi arrivò quello di canna, più austero ma tanto chic. Infine le alternative di sintesi, felicemente prive di calorie: saccarina, aspartame – oggi poco diffuso perché sospettato di essere vagamente cancerogeno, ma forse no -, acesulfame K, ciclamato, sucralosio, stevia. In pastigliette o polverine, con un potere dolcificante 200-300 volte superiore rispetto al glucosio, ma con la promessa di non dar fastidio né alla linea né alla glicemia.

Un «curriculum» su cui oggi gettano qualche dubbio un paio di studi, condotti sia sui sostituti dello zucchero sia su quelli utilizzati nelle bevande light. Nel primo caso, ricercatori israeliani dell’Istituto Weizmann per le Scienze, uno dei centri di ricerca più importanti al mondo (lo studio si può leggere su Cell), hanno selezionato 120 volontari, dividendoli in sei gruppi, quattro «veri» e due di controllo. I primi quattro hanno seguito una dieta i cui dolcificanti erano, rispettivamente, saccarina, sucralosio, aspartame o stevia. Gli altri due gruppi usavano normale zucchero.

Le conclusioni? Nel giro di due settimane tutti i dolcificanti avevano, ognuno a modo suo, alterato la composizione del microbiota (l’insieme dei batteri benefici che ospitiamo nel nostro intestino). E due dei dolcificanti, saccarina e sucralosio, avevano anche inciso sul corretto metabolismo del glucosio: il che, potenzialmente, può contribuire a malattie metaboliche. Niente di tutto ciò nei due gruppi di controllo. «Il che non significa affatto incoraggiare il consumo di zucchero, ma le implicazioni per la salute dei sostituti meritano studi approfonditi» ha commentato Eran Elinav, lo scienziato che ha coordinato lo studio.

Neppure le bevande «diet», dolcificate con alternative artificiali, passano l’esame: studi condotti su ampie fasce di popolazione (6.814 americani fra 45 e 84 anni, seguiti per 5 anni) suggeriscono che il loro consumo frequente può avere conseguenze sgradite, compreso un inaspettato aumento di peso. Nei dettagli: un rischio aumentato del 67 per cento di diabete di tipo 2, e del 36 di sindrome metabolica (fattore predisponente a guai di tipo cardiaco). Un’altra indagine su residenti della città di San Antonio, nel Texas, monitorati per 10 anni non aggiunge niente di buono: il consumo elevato di drink dietetici raddoppia l’eventualità di ritrovarsi sovrappeso od obesi.

Fin qui la scienza. E noi, nel concreto, come ci regoliamo? Si torna al vecchio zucchero da tavola? Rinunciamo a pastigliette e polverine dolcificanti, e optiamo per quello di canna, che ci ispira più fiducia? O magari è meglio il fruttosio? Chiarisce dubbi e falsi miti Elena Dogliotti, biologa nutrizionista e supervisore scientifico alla Fondazione Veronesi. «La frutta consumata per intero, oltre al fruttosio si porta dietro vitamine, sali minerali, fibre e polifenoli. Invece, il fruttosio come molecola inserita nei prodotti industriali è un’altra cosa: come dolcificante non è migliore rispetto ad altri. Anche se non aumenta direttamente la glicemia e non stimola l’insulina, il suo uso eccessivo porta a lungo andare a un aumento di grassi nel fegato». Sistemato il fruttosio, anche lo zucchero di canna va ridimensionato. Non è di per sé più «sano» rispetto a quello bianco: si tratta sempre di saccarosio, ossia della combinazione glucosio e fruttosio; semplicemente viene dalla canna da zucchero piuttosto che dalla barbaietola, ma sono prodotti equiparabili.

Quanto ai dolcificanti artificiali, succede un po’ oggi ciò che si era verificato anni fa con la diatriba burro/margarina: quest’ultima a un certo punto fu preferita perché considerata migliore per la salute, salvo poi rendersi conto che, ricca com’era di grassi trans idrogenati, alla fin fine era meglio il burro (che oltretutto è un prodotto naturale). «Sostituire un alimento con un altro per risolvere un apparente problema all’inizio sembra una soluzione geniale poi, andando più a fondo nei meccanismi biologici coinvolti, si aggiusta il tiro, come nel caso dei dolcificanti di sintesi» riflette Dogliotti.

Non solo. «Percependone il sapore dolce senza il conseguente apporto calorico, l’organismo è spinto a cercare l’energia negata altrove, aumentando il senso della fame: riceviamo cibo dolce senza picco energetico, per cui scatta un meccanismo di compensazione. Certo, se una persona ha estrema difficoltà a rinunciare ai cibi dolci, i dolcificanti all’inizio possono aiutare. Poi però deve subentrare una diversa educazione nel nutrirsi». Ma almeno fanno dimagrire, o magari evitano le carie, al contrario dello zucchero? Mica tanto: a quanto pare non ci sono evidenze scientifiche di un loro ruolo nella perdita di peso né nella protezione dei denti, fatta eccezione per lo xilitolo, poco calorico, estratto dalle piante, con un sapore dolce ma non cariogeno.

L’unico dolcificante che si salva, tutto sommato, è la stevia, l’ultima arrivata. Derivata da una pianta originaria del Sudamerica, «è un dolcificante abbastanza inerte» spiega Dogliotti «con il vantaggio che a differenza di altri analoghi artificiali, non si altera con il calore ma resta stabile, e può essere usato anche in cottura. Privo di calorie, ha un potere dolcificante molto superiore al saccarosio quindi ce ne va assai meno, e non influisce sulla glicemia». Difetti? Effettivamente non ha un sapore buonissimo. O almeno non piace a tutti.

Insomma, un cucchiaino di zucchero (bianco o di canna, poco cambia) non è un gesto meno «virtuoso» che far scivolare nel caffè un’alternativa che non fa la differenza. Meglio, ripetono i nutrizionisti, disabituare il palato ai cibi dolci, riservandone una piccola quantità nella prima parte della giornata, preferendo la frutta fresca e magari un po’ di miele: un po’ meno calorico a parità di peso, vanta blande proprietà antibatteriche e piccole quantità di vitamine. Evitando di farne, come al solito, «la soluzione ideale». Anche per non rischiare di essere smentiti, in futuro, da qualche dispettoso studio scientifico.

© Riproduzione Riservata