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Regno Unito, laurea a ostacoli

Regno Unito, laurea a ostacoli

Per i giovani inglesi, accedere alle università è sempre più complicato. Anche con un’ottima maturità, molti vengono rifiutati. I motivi? Dopo il lockdown, le richieste di iscrizione sono raddoppiate, ma intanto gli atenei hanno dovuto tagliare le risorse. E anche per gli stranieri l’ingresso ormai diventa difficile…


I 164 atenei inglesi non hanno mai avuto tanti iscritti eppure molti rischiano la bancarotta. Intanto gli studenti degli ultimi due anni hanno ottenuto le votazioni migliori, ma in troppi non sono riusciti a entrare nell’università dei sogni. Si fa presto a dire laurea; nel Regno Unito il tanto agognato diploma è ormai una corsa tra mille cortocircuiti. A crearli sono stati un insieme di fattori che vanno dalla Brexit alla pandemia, passando per l’incremento della popolazione diciottenne dovuto al baby boom del 2000, un trend destinato a continuare anche nel prossimo decennio.

Josh,17 anni, alunno modello in una scuola pubblica londinese, quest’anno ha ricevuto il massimo dei voti nelle materie scientifiche prescelte agli esami di A level, il corrispondente della nostra maturità, ma si è visto rifiutare da tutte e quattro le università che aveva scelto, tra cui le prestigiose Oxford e Warwick. Piuttosto che optare per un ateneo «di riserva» ha preferito saltare il turno e attendere un anno, per poi ripresentare la domanda, sperando di avere maggiore fortuna. Prima della pandemia, non sarebbe mai accaduto. Due anni di virus hanno scardinato il sistema educativo anglosassone, lasciando indietro una generazione e mettendo in ginocchio le sue università. Poiché per un biennio il ministero dell’Istruzione ha cancellato gli esami di maturità – riconoscendo come validi per i criteri di ammissione i giudizi degli insegnanti – tra il 2019 e il 2020 quest’ultimi si sono rivelati più alti della media. I ragazzi si sono visti benedetti da una pioggia di buoni valutazione, tradotti in immediati aumenti nelle ammissioni alle centinaia di corsi di laurea esistenti.

«Durante la pandemia il numero degli studenti ammessi è passato dai 154 mila del 2019 ai 177 mila del 2021, un aumento del 5 per cento» fa notare il portavoce dell’Ucas, l’organismo britannico che gestisce il sistema di iscrizione gli atenei. I rettori inizialmente si sono fregati le mani, ma quando sono stati costretti a chiudere le aule per un anno e mezzo, si sono accorti che, una volta finito il lockdown, si sarebbero ritrovati con il doppio degli studenti. Tutti quelli che avevano deciso di rimandare l’iscrizione, piuttosto che pagare la retta per frequentare le lezioni da casa anziché nel campus, e quelli dell’anno dopo. Ora tutte le università più importanti vogliono ritornare ai numeri del periodo pre-Covid e, di fatto, applicano criteri selettivi molto più rigidi che in passato. Uno schiaffo per molti studenti, come afferma Larissa Kennedy, presidente del Sindacato nazionale studentesco inglese. «Tutto questo è sconcertante» dice. «Gli studenti hanno l’impressione che i loro voti contino meno e quello che viene chiamato accesso allo studio è in realtà una porta sbattuta in faccia».

Sull’altro lato della barricata molte università, che nel Regno Unito sono private, faticano ad andare avanti, schiacciate dalle conseguenze della Brexit, che ha tagliato loro molte risorse, e minacciate dagli scioperi del personale sottopagato, chiedono a gran voce di aumentare le 9.250 sterline annue (circa 10.740 euro) di retta richieste agli studenti nazionali per allinearle all’inflazione galoppante. «Non ci si può aspettare di gestire gli atenei mantenendo una retta di 9 mila sterline che nel 2025 in termini reali equivarrà a circa 6 mila» ha spiegato al quotidiano Sunday Times Sir David Bell, vice tesoriere dell’Università di Sunderland, nonché ex ministro del ministero dell’Istruzione. «Se si vorrà mantenere un buon livello qualitativo, a un certo punto bisognerà aumentare le rette».

Intanto però, tutte le università tentano di rimpolpare le proprie casse, accettando sempre più studenti da oltreoceano, che di tasse pagano 24 mila sterline (circa 28 mila euro). Quest’anno, storiche istituzioni come Oxford, Cambridge e Bristol hanno rifiutato le domande di 4 studenti britannici su 10, la percentuale più alta mai registrata. Il numero degli iscritti stranieri è invece aumentato del 7 per cento. E le facoltà come Medicina stanno accogliendo più stranieri che candidati di casa propria, a dispetto dell’enorme richiesta di medici di famiglia e infermieri nel servizio sanitario britannico.

Si tratta perlopiù di cinesi e indiani, non certo europei, per i quali le rette imposte dopo l’uscita del Regno Unito dall’Europa risultano proibitive. Sono ormai pochi i diplomati italiani che possono permettersi di studiare a Londra. E del resto è un’esclusione che il governo britannico ha deciso di riprodurre anche per la maggior parte dei laureati negli atenei continentali che aspirano a trovare un lavoro in Inghilterra. Dal 30 maggio scorso, infatti, il Paese ha aperto le porte ai laureati «ad alto potenziale», usciti dalle università più prestigiose del pianeta. Un visto speciale consente loro di venire a lavorare nel Paese senza avere già un’offerta di impiego o uno sponsor, come prevedono le regole Brexit. Peccato che nella lista degli atenei «ammessi» figurino solo 5 università europee e nessuna italiana. Nemmeno la «Bocconi» di Milano o la «Normale» di Pisa, il cui valore è riconosciuto a livello mondiale, soddisfano i requisiti richiesti. Non è però un ingiusto atteggiamento snob, bensì una decisione dettata da motivi concreti. Gli inglesi preferiscono rivolgersi all’America e all’Asia piuttosto che alla Ue. Una scelta in parte derivante dalla differenza con il sistema educativo anglosassone, più pragmatico di quello europeo anche se sempre più criticato, persino da ex primi ministri come Tony Blair. L’ex leader laburista chiede da tempo una riforma che sostituisca gli esami obsoleti della scuola secondaria con prove più numerose e frequenti, per sviluppare le potenzialità dei ragazzi e trasformarli in candidati migliori per i corsi di laurea.

Ma è proprio su questi che si sofferma l’interrogativo finale di molti esperti nazionali. Quanto valgono, oggi, le lauree conseguite nel Regno Unito per il mondo del lavoro? Dipende. Secondo i dati pubblicati dal Daily Telegraph un neolaureato in Economia porta a casa un salario medio di 36 mila sterline annue (circa 42 mila euro) e per un eventuale progressione di carriera varrà anche il voto finale conseguito. Diversa la situazione di un laureato in Cinematografia o nel settore moda che potrebbe guadagnare 25 mila sterline scarse (circa 29 mila euro) e a conti fatti, avrebbe fatto meglio a trovarsi un’occupazione con tre anni d’anticipo, risparmiando le spese della retta. Per non parlare degli studenti che hanno scelto materie come Letteratura inglese, i quali spesso si ritrovano a lavorare in ambiti del tutto diversi da quelli di loro competenza. Fin qui gli aridi numeri; per fortuna però il futuro di ognuno è fatto di infinite possibilità, soprattutto se non si rinuncia ai propri sogni. In Inghilterra, almeno, ancora ci credono.

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