È un artista quasi dimenticato, ma con una intensità espressiva che da inizio novecento può Dialogare tranquillamente con Picasso o Carrà. Un’esposizione sulla sua ricchissima stagione di avanguardia ce lo fa riscoprire.
Sembra incredibile essersi lasciati alle spalle, dimenticati, in tanta esaltazione delle Avanguardie, anche maestri delle prime esperienze tra astrattismo, cubismo e futurismo, che non temono il confronto con Picasso, con Boccioni, con Carrà, con Depero, con Kupka, alle stesse date, e con analoghe invenzioni. Avevamo di Roberto Iras Baldessari una conoscenza marginale per averne visto qualche opera nelle non infrequenti celebrazioni del Futurismo, tra i comprimari. Ma la gloria crescente di Fortunato Depero aveva in qualche modo ostacolato o, per meglio dire, sovrastato, l’affermazione giusta e inevitabile di Baldessari che arriva soltanto ora, non nella sua sede naturale, e più propria, il Mart di Rovereto, ma negli spazie del Museo della città, sempre nel centro trentino. La scelta, apparentemente eccentrica, ha due motivazioni. Quella più evidente che, diversamente da Depero, Baldessari non è nato a Rovereto ma a Innsbruck; quella più sotterranea, la difficoltà di rapporti con il Mart di Maurizio Scudiero, il valoroso studioso che ha fortemente contribuito a restituire dignità e riconoscimento a Depero così come sta facendo ora con Baldessari. La sua seconda impresa appare quasi una sfida al museo del futurismo che pure, con le sue collezioni, partecipa a questo importante impresa di resurrezione. Veramente importante e meritevole di riconoscenza. Sembra impensabile, se non incredibile, che opere come Scomposizione di ciclista, Figura in lettura, La giostra, Strada+tram, concepite fra 1914 e 1915, solo ora entrino fra i testi fondamentali della stagione futurista, tra Boccioni e Carrà.
Nel 1916 la cifra ritrattistica di Dafne, di Ritratto di donna e di Donna+finestra è intensa e originale quanto quella di Romolo Romani, rimanendo nei codici della rivoluzione futurista, fino all’estremo riconoscimento a Umberto Boccioni di Donna+pesci rossi. L’ansia sperimentale caratterizza questi primi anni di Baldessari con la programmatica interferenza delle scritte impresse sulle scomposizioni cubo-futuriste dello spazio, con soluzioni inedite, in cui concorrono Picasso e Soffici, come Musica futurista, Donna alla Toilette, Osteria toscana, un capolavoro, e Caffè in Romagna. Ma è già all’altezza del 1921 che Baldessari raggiunge risultati assolutamente originali in opere imprescindibili, degne di Mario Sironi o di Edward Hopper, come La gargotte du port e Giocatori di domino, dove si legge una interessante e nuova riflessione su Cézanne.
Intanto Baldessari attende intensivamente alla ricerca sulla velocità e sulla energia dinamica di tram e treni, nella rivoluzione delle città. Scrive Scudiero: «È un tema, quello della velocità, soprattutto, ma anche della simultaneità (ad essa correlata) che affascina Baldessari il quale vi si applica con intensità e studia il dinamismo e la visione simultanea a più latitudini, ma, piuttosto che l’automobile e la motocicletta, cui dedica davvero poche opere, Baldessari è particolarmente affascinato dalle “rotaie”, sia dei treni che corrono veloci tra città e città (ma in particolare quando stanno giungendo in stazione con la folla che attende), ma anche delle rotaie “cittadine” che portano il mezzo meccanico (il tram) proprio dentro la città, nelle sue strade, e molto vicino ai palazzi dei quali fa tremare i muri al suo passaggio. Dunque Baldessari cerca di rendere il senso di questo rapporto alieno tra la storicità della città e la modernità del tram, cercando di mostrare le reciproche vibrazioni dinamiche fra il tram e le strade, attraverso le quali passa.
In seguito, al suo rientro nel Futurismo dopo la pausa figurativa dal 1925 al 1933, Baldessari si allineerà al nuovo corso del Futurismo, cioè all’Aeropittura che dal 1929 si occuperà della velocità e del dinamismo aerei, soppiantando treni, tram ed automobili». Notevoli anche i suoi compatti Assemblati, diversi e più strutturati di quelli di Boccioni e di Depero. All’altezza del 1924 Baldessari arriva a una sintesi astratta degna di Ben Nicholson, come in Composizione (rosso Venezia); e proprio Scudiero potrebbe verificarne le aperture e le tangenze su Giovanni Korompay, altro maestro sommerso, cui dovremo restituire il valore che gli compete nelle avanguardie attive negli anni Venti, verso il secondo futurismo (vedi Rumore di locomotiva del 1922, tema, abbiamo visto, caro a Baldessari). Significativa, nella mostra di Trento, anche la sezione sulle incisioni di Baldessari. Puntualizza Scudiero: «Così, una volta aderito al Futurismo la sua cifra pittorica fu la prima matrice di quella che potremmo definire una “morfologia” incisoria, come la definì Tullio Fait. La sua prima incisione fu un bulino su rame, realizzato nel 1916. A questo seguirono, l’anno seguente, due punte secche, e, poi, sempre nel 1917, Baldessari passò all’acquaforte, tecnica con la quale eseguì tutta la rimanente produzione per un totale di 14 incisioni, dal 1916 al 1924».
Lo studioso, in una sintesi sulla incerta fortuna del pittore, ci racconta l’alterno destino delle sue opere, e il loro riemergere in una storia parallela, che fa comprendere la sua presenza-assenza nella storia delle avanguardie di inizio secolo: «Scrive Baldessari, in un suo breve racconto autobiografico a prefazione della piccola monografia pubblicata da Maroni nel 1962, che “nell’ottobre del 1918 organizzammo a Milano la Prima Mostra Nazionale Futurista alla quale partecipai con una decina di opere. Vi erano presenti tutti i futuristi di allora… Alla mostra vendetti tutti i miei dipinti esposti ad un amatore svizzero, Alfredo Hess, al quale rimasi poi legato da lunga e affettuosa amicizia”… Di fatto, per vari anni, Hess versò a Baldessari un mensile e, in cambio, aveva diritto al prelevare gran parte delle opere che l’artista via via dipingeva. Ma, giunti verso il 1924/25, Hess comunicò a Baldessari che ormai la quantità dei suoi dipinti, pastelli, carboni e disegni vari che possedeva era divenuta tale che non sapeva più dove collocarli, e quindi aveva deciso di sospendere l’accordo. La data non è casuale perché corrisponde grossomodo con quella che solitamente è considerata la data della chiusura della sua stagione futurista e quindi del rientro nel figurativo, ed il motivo a questo punto è chiaro. Una volta mancato il sostegno economico dell’amico e mecenate, Baldessari scoprì che con il Futurismo non si campava – perlomeno lui – perché, per esempio a Depero andava benissimo. Ed il motivo era perché, di fatto, lui era scomparso dalle mostre e dal mercato dell’arte e dunque non aveva clienti, non lo conoscevano più come futurista. Baldessari si dedicò all’incisione soprattutto ed iniziò a girare l’Europa, e, nonostante la chiusura del contratto, Hess gli fu sempre vicino, aiutandolo per l’organizzazione di mostre e comunque acquistando spesso altre opere, sia figurative ma anche futuriste che Baldessari realizzava appositamente per lui… retrodatandole. E questo spiega il perché, a volte, di quegli scarti di stile che possono creare perplessità nella scaletta cronologica delle sue opere.
Hess era un collezionista compulsivo ben oltre Baldessari, ed aveva sigillato la maggior parte della sua collezione in decine di casse stipate in cantina (un vero e proprio caveau) nella sua grande villa di Zurigo, anche all’insaputa della famiglia che le scoprì solo dopo la sua morte, avvenuta nel 1956. La vedova, poco dopo (nel 1957), per cercare di sfoltire le raccolte, propose a Baldessari di “ricomprare” un gruppo dei suoi vecchi dipinti, specie quelli più grandi e su tela. In totale si parla di circa 45/50 opere. Cosa che avvenne, non senza qualche difficoltà con i pagamenti, visto che (come racconta la nipote Alida) la vedova non li vendette a buon prezzo. Ma perlomeno, di lì a pochi anni le opere futuriste di Baldessari, che erano scomparse dalla circolazione appunto perché “nascoste” nella collezione Hess, iniziarono a ricomparire nelle mostre e soprattutto Baldessari fu incluso negli Archivi del Futurismo e così anche la critica “riscoprì” la qualificata militanza futurista di quello che, invece, avevano ritenuto essere solo un bravo pittore figurativo».
Tutto è finalmente chiaro, e la mostra Baldessari futurista al Museo della città di Rovereto, con il coordinamento generale della soddisfatta direttora Alessandra Cattoi, è un contributo importante al risarcimento di una pagina essenziale delle Avanguardie italiane. Le quali hanno nel Trentino radici profonde, da Belli a Melotti, da Depero a Baldessari, e a Rovereto collezioni e archivi imprescindibili.