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Diabolik, 60 anni di politicamente scorretto

Diabolik, 60 anni di politicamente scorretto

Dal 1962 si muove controcorrente sfidando la morale e il perbenismo. Ora va oltre il fumetto e diventa una serie audio che ripercorre le sue avventure.


E’ una versione mefistofelica e stravolta di Robin Hood: ruba ai ricchi non per dare ai poveri, ma a sé stesso. Diabolik è diabolico, un cattivo vero, che all’occorrenza uccide senza tentennamenti o pietà. «Di certo non è un bravo ragazzo, però ha una sua etica, rispetta la parola data. È umano come noi, non assomiglia a un supereroe. In lui ci si riesce a immedesimare senza sensi di colpa. Con altri, per esempio Hannibal Lecter, di sicuro non avviene».

A raccontarlo in una piena d’emozioni e un puntiglio aneddotico stupefacente è la sua memoria storica, Mario Gomboli, che lo frequenta quasi dalle origini, ha scritto una cinquantina di soggetti con il bandito come protagonista, dal 1999 dirige la casa editrice Astorina che ha inaugurato un filone: ha lanciato, con Diabolik, il primo fumetto italiano dichiaratamente per adulti. È un criminale nato maturo che sta invecchiando ancora meglio, senza accusare nessun acciacco dell’età: l’1 novembre saranno trascorsi 60 anni esatti dalla sua prima apparizione nelle edicole. Più o meno in contemporanea con Panorama, che ha debuttato nell’ottobre dello stesso anno, il 1962 (vedi la nuova puntata del nostro speciale nelle ultime pagine del settimanele). «Una fratellanza tra i due giornali c’è sempre stata, insieme abbiamo creato varie collane» ricorda Gomboli, prima di avventurarsi nella risposta alla domanda più difficile: come si resiste per oltre mezzo secolo, realizzando un migliaio d’episodi, vendendo circa 3,5 milioni di copie l’anno, mantenendo una nutrita schiera di fedelissimi e attraendo un nuovo pubblico. Un quarto di lettori ha meno di 25 anni, per un terzo sono donne.

«Intanto, oggi esiste un rimpianto della creatività libera che era tipica degli Anni Sessanta e Settanta. E poi Diabolik incarna una ribellione dichiarata contro il politicamente corretto, è un fumetto di provocazione. Ribalta i valori canonici del pensiero standard». Ha ritratto, rimanendo negli argini della pudicizia, il sesso prematrimoniale; ha sfidato la morale borghese, attirandosi denunce e sequestri. Si è schierato contro l’usura, l’abbandono degli animali, la violenza sulle donne: «Ha veicolati messaggi a volte dirompenti. Non è astratto dalla realtà, non ha problemi a prendere posizione». A fianco del personaggio principale si muove la splendida Eva Kant, una spalla fondamentale, l’opposto di una comprimaria. Non la solita bellezza debole, sempre fragile, da soccorrere: è lei a salvare la pelle a Diabolik in più di un’occasione. Affascina ostentando la fierezza di un’estetica senza tempo. «Porta lo chignon. Allora l’aveva solo Nonna Papera, adesso è ancora attuale».

È lo specchio delle creatrici del fumetto, le sorelle milanesi Angela e Luciana Giussani, coraggiose e in controtendenza: all’inizio firmavano il loro lavoro con le iniziali perché un pubblico machista non avrebbe ritenuto credibile un’opera frutto di due menti femminili, poi arrivarono il successo, i tentativi d’imitazione, le molte vite di Diabolik oltre la carta stampata. Nel 1968 gli fu dedicato un film omonimo per la regia di Mario Bava, il primo di tanti, l’ultimo lo scorso anno firmato dai Manetti Bros; nel 1966 una canzone da Betty Curtis. E gadget di ogni tipo, come da prassi per le icone scolpite nella cultura pop. Oggi si adatta ai codici contemporanei diventando una serie audio in 10 episodi da 40 minuti l’uno, da poco disponibile in esclusiva su Audible.it. Si tratta di una tendenza, condivisa con la graphic novel The Sandman, la cui terza stagione è in arrivo in questi giorni. Gli effetti sonori della serie Diabolik, molto realistici, calano nelle atmosfere tetre e adrenaliniche degli albi; le voci principali sono quelle degli attori Francesco Venditti e Myriam Catania. La storia ricostruisce le origini del mito, c’è il suo antagonista, l’ispettore Ginko, che pure vanta un nutrito seguito di ammiratori: «Sono i “Ginkofili”» ricorda dentro una risata Gomboli: «Lo amano, sebbene non sia un vincente. Sanno che non gioca alla pari con Diabolik, che invece bara e infrange le regole. Diabolik è un bastardo: quando sta perdendo una partita, rovescia la scacchiera».

Eppure, il furfante impunito funziona a meraviglia, pur rimanendo agganciato a un’altra epoca. Non è diventato un pirata informatico, «perché se stesse davanti a un computer sembrerebbe un vecchio rintronato che guarda le televendite»; svaligia ancora casseforti, «quindi le sue vittime sono narcotrafficanti e strozzini. Figure disdicevoli, le uniche che conservano ancora sottochiave diamanti e lingotti d’oro». È un personaggio analogico, che si proietta nel futuro transitando fra più media («l’audio ha una fascinazione potenziata, permette all’ascoltatore di costruirsi il suo immaginario») e sperimentando con i contenuti: «Per esempio, non è vero che i protagonisti fissi non moriranno mai. Qualcuno, in passato, ha già fatto una brutta fine» dice sornione Gomboli. «Bisogna far sobbalzare il lettore, togliergli le certezze del ripetitivo. Diabolik non è imbalsamato nella sua immutabilità. Di tanto è necessario fargli vivere un’evoluzione darwiniana, sennò poi di lui mi stufo anch’io».

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