Dal «triangolo» tra Calvisano, Goito e Treviso arriva la maggior quantità di uova di storione pregiato. Viaggio nelle storie di famiglia di chi lo produce. Con i consigli per riconoscere la qualità di quello che si sta mangiando, come servirlo e le dritte per leggere le etichette ed evitare cattive sorprese «made in China».
Quello snob di Marco Gavio Apicio (scrittore e gastronomo romano vissuto all’epoca di Cristo) preparava piatti con lo storione e buttava le uova. Dopo un paio di millenni l’Italia si è ripresa il primato: l’invenzione del caviale. Ne siamo i maggiori e migliori produttori al mondo anche se oggi il mercato è invaso da «uova» cinesi. Comprando caviale bisogna più che mai stare attenti all’etichetta. La prima indicazione sono le sigle che vanno da HUS che sta per Beluga, a TRA che è lo storione bianco al buonissimo STE che è il Servuga. Segue la lettera C che sta per allevato o W per pescato, anche se quest’ultimo dovrebbe essere proibito, visto che tutti e 26 i tipi di storione sono stati dichiarati in via d’estinzione. Si indica poi il paese di origine (IT per Italia), l’anno di produzione, lo stabilimento e il numero del lotto. È bene fare attenzione poiché stiamo parlando di un prodotto che va da mille euro al chilo in su e raggiunge cifre folli.
Il primato italiano è certificato da Leonardo da Vinci che lo donò come regalo di nozze a Beatrice d’Este, e dall’umanista Barotolomeo Sacchi, detto il Plàtina, che a fine Quattrocento descrive come nelle corti rinascimentali si consumasse «ova stirionis condito quod caviare dicunt». Perché allora il caviale fu l’ultimo pasto dello Zar nella San Pietroburgo assediata? Perché i francesi ne hanno fatto con lo champagne il cibo della seduzione? Nel Caspio e nel Volga c’era una grande quantità di storioni Beluga, bestioni da quattro metri che pesano fino a 1.500 chili che risalgono a 200 milioni di anni fa. Gli aristocratici russi ne andavano matti, così i nobili persiani.
Dopo le rivoluzioni si rifugiarono in Francia imponendolo al bel mondo. Come sempre succede, l’uomo predatore ha sterminato gli storioni e il divieto di pesca ha restituito all’Italia il caviale. Un primato che vale anche per l’abbinamento con i vini. Ecco una storia che racconta il segreto del made in Italy: gli uomini. Vittorio Moretti, geniale costruttore, appassionato vignaiolo per una promessa/scommessa fatta col suo amico Gianni Brera, è il creatore di Bellavista e poi di Terra Moretti che significa vigne in Toscana, in Sardegna e ovviamente in Franciacorta. Lì, oltre a Bellavista e Contadi Castaldi, sta ristrutturando il convento dell’Annunciata per ragioni meramente sentimentali. Infine, è suo anche l’Albereta, il più elegante resort d’Italia (fa il paio con l’Andana a Castiglione della Pescaia, Grosseto).
Ebbene, con le sue 80 primavere, Moretti si è lanciato in un’ultima sfida: fare il suo caviale. Tutto nasce dall’amore per la natura. Andando nelle campagne del Lodigiano, durante un temporale, dalle acque cristalline del Parco dell’Adda emerse una femmina di storione, uccisa da un fulmine. Aveva le uova. Vittorio pensò di farne il suo caviale, non da vendere, ma da far degustare con il rosé Vittorio Moretti Bellavista, il massimo di quanto si produca in Franciacorta. Ma non poteva fermarsi lì: così è sorto il parco ittico Paradiso Villa Pompeiana: 13 ettari di acque pure a temperatura costante di 12 gradi. Lì crescono anche gli storioni che danno il caviale Royal; le uova vengono prelevate solo a partire dal dodicesimo anno di vita del pesce e inscatolate seguendo sofisticate procedure; così acquisiscono la firma Bellavista per essere degustati esclusivamente con gli spumanti che produce Francesca Moretti, la figlia enologo a cui Vittorio ha delegato la presidenza di Terra Moretti.
L’Italia (anche se tutti pensano sia la Russia) è il maggior produttore di questo cibo di lusso. Oggi in una ventina di allevamenti da Calvisano, a Treviso, passando per Goito si producono 60 tonnellate di caviale che valgono sui 200 milioni di euro. Di fatto, quattro aziende fanno il mercato e c’è un uomo che fa decide il prezzo. Si chiama Rodolfo Giaveri: è stato il primo ed è ancora l’unico ad avere 10 tipi diversi di storione in allevamento sfruttando le risorgive di San Bartolomeo di Breda, vicino a Treviso, su 10 ettari tutti biologici, al massimo grado di sostenibilità, dove alleva migliaia di storioni.
Giaveri è il solo a poter commercializzare una riserva ottenuta da uova di femmine di storione di almeno 30 anni. Tutto è iniziato con le anguille, poi a fine anni Settanta, quando è scattato il divieto di cattura, è nata la Caviar-Giaveri. Rodolfo ora fa – con un ristretto gruppo di altri imprenditori – il mercato, e vende in tutto il mondo le sue 13 tonnellate di «uova d’oro». Ha delegato molto a Jenny, Giada e Joys, le figlie. «Nostro padre» spiega Jenny «è un vulcano: pensa sempre avanti e noi abbiamo imparato tutto da lui; cerchiamo di difendere e diffondere la qualità del caviale italiano, il migliore del mondo». Così hanno messo sul mercato lo storione sott’olio, ottimo, si sono date da fare a divulgare il caviale «che certo costa» dice Jenny, «ma non è proibitivo, è come un grande vino. I Siberian hanno un gusto delicato, gli Osietra marino-croccante, il Persiano è più elegante, i Beluga hanno un sapore burroso iodato. La cosa importante è valutare la lucentezza delle uova, la loro separabilità e il colore. Il caviale non deve mai avere sentore di pesce, altrimenti vuol dire che è vecchio».
E poi attenzione alla provenienza: i cinesi vendono all’ingrosso e ci sono i riconfezionatori che spacciano questo caviale per selvaggio, persiano, del Volga. Tutte balle. «Dai russi abbiamo imparato a salare: usiamo il metodo malossol. Tre grammi di sale per chilo e due mesi perché le uova che noi selezioniamo a mano assorbano il giusto tenore salino».
Da Treviso a Calvisano per trovare l’Agroittica Lombarda, il più importante produttore di caviale del mondo. Giovanni Tolettini e Gino Ravagnan a fine anni 70 pensano di sfruttare il calore delle acciaierie per scaldare le ottime acque di Calvisano e allevare pesci. Nel 1981 incontrano Serge Doroshov, biologo marino russo che li indirizza all’allevamento degli storioni. Oggi l’Agroittica che ha diverse varie (la più famosa è Calvisius) produce 25 tonnellate all’anno di uova in un impianto che pare la Nasa: 60 ettari di vasche. È il più famoso; una latta da 1,8 chili di Ars Italica Sevruga Royal si compra a 4.800 euro.
Ma ci sono anche gli atelier del caviale. Sempre a Calvisano è nata la Royal Food Caviar, unione della competenza di Carlo Dalla Rosa, il massimo esperto di allevamento di storioni, e della intraprendenza di sua moglie Nancy D’Aiuto: un chilometro di vasche per allevare le specie più pregiate. Nancy ha aggiunto anche i cucchiaini di madreperla e i porta-caviale. Mai servirlo con posate d’acciaio o d’argento, solo madreperla oppure oro e in un contenitore di cristallo con ghiaccio sotto. Con sole quattro etichette hanno conquistato gli chef stellati.
Il primo che creò una ricetta esclusiva per il caviale all’italiana fu l’immenso Gualtiero Marchesi. Era il 1980: si fece realizzare una pentola ad hoc per cuocere gli spaghetti in orizzontale. Dopo averli raffreddati, li condiva con burro acido al limone, erba cipollina e abbondante caviale.
Il ricettario italiano oggi è amplissimo: dal filetto di salmerino al caviale di Gerhard Wieser ai ravioli di piselli e beluga di Antonello Colonna, dalla Nuvola di Caviale di Enrico Cerea al risotto al Sevruga di Alberto Riboldi fino all’omaggio che Philippe Léveillé ha fatto a Marchesi: spaghetto freddo affumicato con ostriche e caviale. Il piatto più creativo? Crostini di pane con caviale e riduzione di succo di melangole (arance amare); l’ha servita Bartolomeo Scappi. Era il 28 ottobre 1570, quando per papa Pio V approntò un pranzo solo con caviale. Italiano, ça va sans dire! n
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