L'intervista ad Andrea Malacrida su Panorama
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Cosa servirebbe per far ripartire il lavoro davvero

«Stiamo dialogando con la task force di Colao, ma andrebbero cambiate le regole sui contratti a tempo determinato del decreto Dignità» dice a Panorama il numero uno di Adecco Italia, Andrea Malacrida. Che indica la via per una ripresa reale: meno cassa integrazione, più formazione.


L’emergenza sanitaria sta mettendo a dura prova il mondo intero, a partire dall’equilibrio e le certezze delle persone, delle famiglie, delle imprese. Non esagero dicendo che tutte le economie ne usciranno completamente mutate. Abbiamo sentito il dovere di unire le forze per mettere a sistema la nostra expertise e guidare attivamente la transizione verso la nuova normalità». Andrea Malacrida, country manager di The Adecco Group Italia, spiega così il senso della «triplice» alleanza siglata nelle scorse settimane con gli altri due big del settore delle risorse umane, Randstad e Manpower, per tracciare la mappa del lavoro nell’era del coronavirus coinvolgendo aziende, sindacati, Ong e settore pubblico.

In un settore dove solitamente regna una concorrenza agguerrita avete deciso di ragionare con una testa sola?

Noi rappresentiamo più della metà del mercato del lavoro della somministrazione e possiamo ispirare il resto, dando un messaggio forte. Perché in questo momento, più che mai, serve attenzione alla cura delle persone, al rispetto della legge e alla continuità del business. Perché il lavoro non si è mai fermato. È vero che durante il lockdown si è congelato oltre il 50 per cento delle risorse gestite quotidianamente, ma ci sono stati anche settori che sono esplosi.

Per esempio?

Sono in continuo aumento le richieste per le professioni in ambito sanitario. Particolarmente rilevante la richiesta di infermieri: abbiamo chiuso il mese di marzo con un centinaio di posizioni, di cui la metà per la terapia intensiva. Cresce la richiesta di operai in ambito chimico e farmaceutico per la produzione di disinfettanti e mascherine con un +40 per cento rispetto a prima dell’emergenza. Crescono anche altri settori, come quelli legati ai beni di prima necessità: sale la domanda per le aziende del mondo della grande distribuzione organizzata, dai magazzinieri per preparare la spesa on line agli addetti al trasporto con un +60 per cento, della logistica e delle attività legate all’ecommerce. E aumentata anche la richiesta per addetti alle pulizie e interventi di sanificazione. Dopo l’emergenza, cresceranno anche i comparti specializzati nella digitalizzazione e nelle infrastrutture. Alcuni settori invece avranno invece più problemi nella ripartenza: trasporti, commercio al dettaglio non food, incluso il travel retail, e tutti i lavori in cui la vicinanza e il contatto fisico sono necessari.

Per gestire la ripartenza vanno considerate anche le differenze a livello geografico?

Assolutamente sì. Nelle prime tre settimane di marzo le regioni che non erano in zona rossa hanno trascinato il nostro business, poi da marzo la chiusura è stata uguale per tutti. Comprendo l’approccio seguito dal governo ma non per le attività produttive. Sarebbe stato più giusto chiudere subito Lombardia e Veneto senza stoppare territori dove l’impatto è stato più leggero. In ogni caso noi siamo organizzati territorialmente, abbiamo comitati regionali e nazionali. I dispositivi di Adecco sono uguali in tutta Italia, abbiamo fatto tanti webinar per tenere vicine le aziende.

Va poi considerato l’aspetto psicologico del ritorno al lavoro.

Sarà determinante ridisegnare certi modelli comportamentali, insistere su quelle che sono state competenze trasversali soprattutto in capo a chi deve gestire come leader. Evitare che venga lasciato spazio alla cultura del sospetto, della sorveglianza e del controllo, favorendo la cultura della fiducia e della responsabilità. Il cliente deve fidarsi prima di me stesso e delle persone che ha intorno. Una prassi che mi sembra sia stata molto seguita in ambito governativo e istituzionale.

Siete stati interpellati da Roma, vi hanno chiesto consigli sulla Fase 2?

Stiamo dialogando con la task force di Vittorio Colao. Il problema è che andrebbero cambiate le regole sui contratti a tempo determinato introdotte dal decreto Dignità che evidentemente è stato scritto senza ascoltare il parere degli addetti ai lavori creando così situazioni complicate da gestire. Manca l’umiltà di dire che le leggi erano sbagliate, speriamo ci ascoltino. Siamo l’unico osservatorio reale vicino a lavoratori e aziende, serve una rivisitazione chiara delle dinamiche dei singoli settori e una riqualificazione dei lavoratori legati a singoli settori. Piuttosto che pensare a una cassa integrazione di 18 mesi, nove più nove, che ritarda solo il problema prolungando l’agonia sarebbe stato opportuno impegnarsi anche a fare attività formativa migliorando competenze e preparando i lavoratori a misurarsi su altre competenze. Adecco lo sta facendo con un piano di formazione sulla digitalizzazione che prevede un milione di ore per 17 mila professionisti nel corso del triennio 2020-2022.

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