La sigla «Emission trading scheme» fa riferimento agli standard ambientali decisi dall’Unione europea per le compagnie aeree. Mettono però in difficoltà quelle del Vecchio continente rispetto a quelle extra-Ue non soggette alla normativa. Risultato sicuro, l’aumento nei prezzi delle tratte.
Chi ama viaggiare verso mete lontane, è bene che si affretti. A breve, prendere un aereo potrebbe diventare un lusso. In compenso ci si potrà illudere di aver contribuito a salvare il pianeta. È la motivazione che Bruxelles vuole far digerire ai cittadini dell’Unione e vorrebbe imporre a livello globale. Un passaggio, questo, che finora ha incontrato la ferma opposizione di quei Paesi e delle relative compagnie aeree che si stanno avvantaggiando delle regole stringenti imposte dalle istituzioni europee e già pregustano di diventare i padroni dei cieli, quando, alla fatidica data del 2027, chi avrà abbracciato la politica ambientalista sarà costretto a sborsare somme ingenti per continuare a emettere CO2 o ad adottare carburanti alternativi, ugualmente costosi.
Nel dicembre 2022 il Consiglio e il Parlamento europeo hanno raggiunto un accordo politico provvisorio sulla revisione delle norme relative al sistema di scambio di quote di emissione (Eu Ets), già applicato nel 2008 ad alcuni comparti industriali, per estenderlo all’aviazione civile in modo che anch’esso contribuisca a ridurre l’inquinamento, come previsto dall’accordo di Parigi sulle «emissioni climalteranti». Il sistema Ets (acronimo di Emission trading scheme), si applica ai volti intraeuropei, compresi quelli in partenza verso Regno Unito e Svizzera, e prevede il meccanismo del «cap and trade». Viene cioè stabilito un tetto massimo alla produzione gratuita di CO2. Se un operatore supera tale limite, deve acquistare le quote in eccesso; se invece resta al di sotto, può vendere a un altro le emissioni non utilizzate. Il settore manifatturiero ha reagito a questa tagliola con la delocalizzazione di molte produzioni in Paesi caratterizzati da standard ambientali meno stringenti rispetto a quelli europei. Per il trasporto aereo, però, una simile «fuga» è impossibile. Il taglio delle quote gratuite di CO2 è progressivo. Ora il tetto è all’80 per cento ma dal prossimo anno le compagnie potrebbero ricevere un terzo dei permessi gratis in meno, il 50 per cento nel 2025 e niente nel 2026. Bruxelles aveva fissato lo stop alle Ets a costo zero al 2027 ma Strasburgo ha anticipato il traguardo al 2026. Significa che fra tre anni i vettori dovranno pagare tutte le proprie emissioni inquinanti. Ce la faranno ad adottare i nuovi carburanti verdi, e con quali maggiori oneri?
Secondo le nuove norme del ReFuelEU Aviation nell’ambito del pacchetto Fit for 55 (una serie di sigle che indicano le tappe della transizione ecologica), entro il 2050 i serbatoi degli aerei dovranno contenere al 100 per cento combustibilli sostenibili. Già al 2030 questa proporzione dovrà aumentare dal 5 all’8 per cento, così come quella dei carburanti elettrici (e-fuel), che dal 28 sale al 65 per cento. Oggi, quelli sostenibili rappresentano meno dell’1 per cento del totale utilizzato nella Ue. Prodotti a partire dai rifiuti organici (biocarburanti) o dall’elettricità verde (electro-fuels), sono decisamente più costosi del kerosene: «Dalle due alle cinque volte di più» secondo Filip Cornelis, direttore del settore dell’aviazione al dipartimento dei trasporti della Commissione europea.
Cornelis stima che l’obbligo di approvvigionarsi con questi carburanti «porterà a un aumento del costo dei rifornimenti per le compagnie aeree del 3 per cento entro il 2030, con un impatto sui prezzi dei biglietti di circa l’1 per cento». Tale mix di misure vale per i voli europei. I vettori extra-Ue sono avvantaggiati perché non sottoposti al nodo scorsoio dei vincoli ambientali. Il risultato è una concorrenza sleale della quale, paradossalmente, sarebbe artefice proprio Bruxelles. Il Parlamento europeo ha tentato di riequilibrare questa distorsione del mercato introducendo il sistema «Corsia», in vigore dal 2022 fino al 2027. Ma è un pannicello caldo. Prevede che le compagnie internazionali con emissioni totali oltre l’85 per cento del livello del 2019 si limitino a investire nella ricerca di tecnologie contro l’inquinamento. Ma non ci sono particolari penalizzazioni.
«Il sistema Ets non risolve affatto il problema della CO2 poiché copre solo il 43 per cento delle emissioni del traffico aereo. È un sacrificio che produce scarsi risultati» afferma Giacomo Di Foggia, docente di Economia applicata all’Università di Milano-Bicocca ed esperto di questioni ambientali. «Rischia inoltre di danneggiare il mercato aereo europeo. Tant’è che la Iata – l’organizzazione internazionale delle compagnie aeree cui aderisce il 93 per cento del traffico aereo mondiale – si oppone all’estensione di tali vincoli a livello globale. Già nel 2012 si era mostrata contraria contribuendo a fermare le intenzioni delle istituzioni europee, e tutto lascia intendere che non mollerà facilmente la presa». Il sistema Ets pone anche un problema di concorrenza per i voli «intra-europei». «Quei vettori che operano quasi essenzialmente sulle tratte dentro la Ue sono più penalizzati rispetto a quelli con destinazioni nel resto del mondo» spiega di Foggia. «Il “lungo raggio” è tradizionalmente più remunerativo e come tale in grado di compensare il maggior onere derivante dai vincoli ambientali. Analizzando i vettori europei, a risentire di tali norme sarà soprattutto la nostra Ita che, negli ultimi vent’anni, rispetto ad altri si è molto focalizzata sul mercato del Vecchio continente».
Se continuerà questa alterazione della concorrenza, secondo la Iata citata dall’economista, «è molto probabile che alcuni vettori globali ridurranno gli scali in Europa, privilegiando altre destinazioni». A queste criticità si aggiunge l’impatto sull’utenza. «Il taglio delle quote gratuite di emissioni di CO2 provocherà a cascata molti rincari. Inoltre il ricorso a carburanti ecologici sarà, almeno nei primi anni, più oneroso di quelli tradizionali. Le compagnie scaricheranno i maggiori costi sui biglietti. E non le si può nemmeno criticare. Non fanno altro che seguire la politica della transizione ecologica, secondo la quale chi inquina paga. Siccome chi viaggia inquina, allora deve farsi carico dei danni all’ambiente, accollandosi questa sorta di tassa. Il colpevole dell’emissione è l’utente del volo. D’altronde già alcune compagnie inseriscono nel biglietto la quantità di CO2 prodotta dal passeggero».
A questo punto, dice Di Foggia, si aprono due scenari: se il sistema Ets diventa globale, allora tutti pagheranno più tasse legate all’inquinamento e si avranno maggiori risorse da impiegare nella ricerca di carburanti a minor impatto ambientale. «Ma se la situazione dovesse restare quella attuale, ci sarà un’importante perdita di competitività della Ue che, sebbene nota e allo studio dei decisori politici, finora non ha certamente giovato a molti settori. Gli Stati Uniti stanno andando nella direzione di un contenimento delle emissioni dei loro vettori ma in modo meno drastico. E alcuni vettori non intendono aderire alle regole europee ritenendole distorsive. Quindi chi parte da altri hub globali, pagherà la tassa ambientale solo all’arrivo in Europa». Facendo qualche calcolo su quanto potrebbero aumentare i biglietti, aggiunge Di Foggia: «Supponiamo che già non ci siano quote di emissioni gratuite. Nel 2019 una tonnellata di CO2 costava 24,84 euro e ora è arrivata a 87,47. Si stima che nei prossimi 4 anni il punto di equilibrio sarà intorno a 100 euro. Nel 2019 per un volo Milano-Londra di solo andata, un viaggiatore emetteva un quinto di tonnellata di emissioni inquinanti e pagava 1 euro in più di biglietto. Ora ne paga 5. Per un Milano-Los Angeles, solo di tassa ambientale ora spende 43 euro mentre nel 2019 l’onere era di circa 8 euro». Con questo meccanismo saranno favorite le compagnie low cost che hanno una struttura di tariffe più flessibile. Tanti vettori, magari di piccole dimensioni, con bilanci più rigidi e più in difficoltà a orientarsi verso carburanti ecologici, rischiano il fallimento. In compenso continueremo a illuderci di aver salvato il pianeta.