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Le scomode verità sul nucleare

Le scomode verità sul nucleare

Mentre la Germania chiude le sue centrali, la Finlandia avvia la produzione di elettricità dal più grande reattore d’Europa. Sono i paradossi di un continente combattuto tra paure, alti costi dell’atomo e lotta al riscaldamento climatico. Intanto la Cina con 20 nuovi impianti in costruzione è destinata a diventare leader mondiale anche in questo settore strategico.


Due eventi opposti e contrari avvenuti a poche ore di distanza nell’aprile 2023 segneranno la storia dell’energia nucleare europea: il 15 aprile la Germania ha spento i suoi ultimi tre reattori (Isar 2 in Baviera, Emsland nella Bassa Sassonia e Neckarwestheim 2, nel Baden-Württemberg) chiudendo in modo definitivo un’avventura atomica durata 62 anni. E il 16 aprile il reattore finlandese Olkiluoto 3, il più grande d’Europa, ha avviato finalmente la sua attività dopo anni di ritardi (doveva partire nel 2009) e di spese enormi, 11 miliardi di euro invece dei tre previsti: è un impianto da 1,6 gigawatt, che produrrà tanta elettricità da coprire da solo quasi un terzo del fabbisogno del Paese scandinavo. Secondo la società che gestirà la centrale, la Teollisuuden Voima Oyj (Tvo), Olkiluoto 3 stabilizzerà il prezzo dell’elettricità e svolgerà un ruolo importante nella transizione verde finlandese. Ma soprattutto renderà la Finlandia indipendente dalle forniture russe.

Due scelte diametralmente differenti che rivelano le contraddizioni in cui si dibatte l’Europa: da una parte l’ostilità dei cittadini verso l’energia nucleare, accresciuta dopo il disastro di Chernobyl del 1986 e l’incidente di Fukushima del 2011, e alimentata da alcuni falsi miti. Dall’altra l’ambizione di diventare il continente più avanzato nella lotta al cambiamento climatico e alle emissioni di CO2. Così i Paesi dell’Unione procedono in ordine sparso, alcuni che puntano sull’atomo, altri restii a investire in una tecnologia non inquinante ma costosa e malvista dagli elettori. Il caso più clamoroso è proprio quello della Germania che ha detto basta a una fonte energetica che non contribuisce al riscaldamento del clima, puntando giustamente sulle fonti rinnovabili, ma dovendo anche tenere aperte le centrali a carbone. Un paradosso che le opposizioni rinfacciano al governo di Olaf Scholz. Se si consulta Electricity Maps su internet, nella cartina che mostra l’intensità di carbonio dell’elettricità consumata nei vari Paesi del mondo, la Francia appare bella verde grazie alle sue centrali nucleari, al pari dei Paesi scandinavi alimentati da fonti rinnovabili, mentre Germania e Italia che vanno a gas e carbone sono di un colore marrone.

Rinunciando all’atomo i tedeschi non tengono conto delle scomode verità ribadite dall’International energy agency (Iea) di Parigi, in prima fila nello spingere i Paesi più avanzati a ridurre l’utilizzo di fonti fossili per combattere il riscaldamento globale. La Iea sottolinea che «l’energia nucleare è stata storicamente uno dei maggiori contributori globali all’elettricità senza emissioni di carbonio e, sebbene affronti sfide significative in alcuni Paesi, ha un potenziale importante per contribuire alla decarbonizzazione del settore energetico». L’agenzia ricorda che le centrali atomiche evitano a livello globale 1,5 miliardi di tonnellate di emissioni globali e 180 miliardi di metri cubi di domanda globale di gas all’anno. In base ai dati dell’Agenzia internazionale dell’energia atomica (Iaea) di Vienna, nel mondo sono attivi 413 reattori nucleari che coprono circa il 10 per cento della produzione globale di elettricità. Gli Stati Uniti sono il Paese che ne conta di più, 93, seguiti da Francia e Cina con 56 impianti ciascuna. In Europa, oltre alla Francia, sono 13 le nazioni con centrali atomiche.

Ma un’altra scomoda verità è che sul fronte nucleare l’Occidente sta perdendo la gara con Asia e Cina. Attualmente sono in costruzione nel mondo 56 reattori di cui ben 20 in Cina, destinata a diventare il principale produttore di energia all’uranio entro il 2030. Seguono a distanza: India con otto impianti in fase di realizzazione, poi Turchia con quattro, Corea e Russia con tre. Tra le nazioni del blocco occidentale gli Stati Uniti stanno costruendo un solo reattore, così come Slovacchia e Francia, impegnata a concludere i lavori di Flamanville 3, il costoso gemello di Olkiluoto 3. Il Regno Unito ha in cantiere due impianti e così pure il Giappone, nonostante Fukushima. Come rileva la Iea, «le economie avanzate hanno perso la leadership di mercato. Sebbene esse abbiano quasi il 70 per cento della capacità nucleare globale, gli investimenti si sono bloccati e gli ultimi progetti sono ben oltre il budget e in ritardo. Dei 31 reattori che hanno iniziato la costruzione dall’inizio del 2017, tutti tranne quattro sono di design russo o cinese».

A frenare gli investimenti in Occidente sono sicuramente i costi elevati: uno studio realizzato dal Mit ha concluso che il problema sta nella perdita di know how da parte delle aziende, sostanzialmente ferme per trent’anni, che quindi hanno commesso una serie di errori nell’esecuzione dei progetti, mentre in Asia si è continuato a costruire centrali nucleari con procedure molto rigorose a costi decisamente più bassi. Ci sono poi alcuni timori che, secondo i sostenitori del nucleare, vengono ingigantiti, come il pericolo delle scorie: in un’intervista rilasciata in febbraio al giornale tedesco Handelsblatt, il fondatore di Microsoft Bill Gates ha dichiarato che «il problema dei rifiuti radioattivi non dovrebbe essere un motivo per non fare il nucleare», aggiungendo che «il volume delle scorie nucleari è molto piccolo, soprattutto se confrontato con l’energia generata».

Anche sui danni che l’energia nucleare può provocare in caso d’incidente, i freddi numeri della statistica dicono che i rischi sono estremamente bassi: secondo i dati raccolti da uno studio firmato dai ricercatori Anil Markandya e Paul Wilkinson, che tengono conto anche degli effetti dell’inquinamento, l’energia nucleare ha determinato circa 0,07 decessi per ogni terawattora (twh) prodotto mentre il carbone è responsabile per la morte di 24,6 persone per twh; il petrolio di 18,4 morti; il gas naturale di 2,8 morti. Solo le fonti rinnovabili fanno meglio dell’atomo con meno di 0,04 morti per twh. Perfino nel disastro di Chernobyl le vittime accertate sarebbero solo 65 cui si aggiungerebbero 6 mila morti presunte nell’arco di 80 anni per tumori e leucemie. Ma quello della centrale ucraina è un caso unico e, speriamo, irripetibile.

In Occidente comunque si prova a rilanciare l’energia nucleare puntando su reattori più piccoli e modulari, gli «Small modular reactors»: si tratta di impianti con una capacità inferiore a 300 megawatt, quindi meno costosi, con minori scorie, che possono sostituire vecchie centrali a combustibili fossili sfruttando le connessioni elettriche esistenti. Inoltre i reattori modulari stanno ottenendo un forte sostegno politico e istituzionale, con sovvenzioni in Stati Uniti, Canada, Regno Unito e Francia. Questo sostegno consente di attrarre investitori privati, portando altri attori nell’industria nucleare. Attualmente nel mondo ci sono circa 50 progetti di nuovi reattori modulari, quattro in fase avanzata di costruzione in Argentina, Cina e Russia: il 4 maggio la società statunitense Westinghouse ha presentato i piani per un piccolo reattore modulare da 300 megawatt da realizzare negli Usa al posto di una centrale a fonti fossili.

Anche le società energetiche italiane guardano con interesse agli sviluppi del nucleare: l’Eni di Claudio Descalzi è tra gli «azionisti strategici» della Commonwealth fusion systems (spin-off del Massachusetts Institute of technology) che sta sviluppando un prototipo di centrale atomica a fusione. Dal mese di marzo il gruppo è diventato anche partner tecnologico della società di Boston. L’obiettivo è realizzare e rendere operativo entro due anni, nel 2025, il primo impianto pilota a confinamento magnetico per la produzione netta di energia da fusione. Ed entro i primissimi anni del prossimo decennio costruire la prima centrale elettrica industriale da fusione in grado di immettere elettricità nella rete. Nel frattempo, sempre in marzo, l’Enel ha siglato un accordo con Newcleo, società piemontese che sta lavorando a nuovi reattori che sfruttano le scorie radioattive come combustibile: il gruppo pubblico metterà a disposizione le proprie competenze specialistiche e in cambio ha ottenuto una prelazione come investitore nel primo impianto nucleare che Newcleo costruirà. Naturalmente fuori dall’Italia. A meno che gli italiani non cambino idea sull’energia atomica: ma quanto ci scommettereste?

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