Più che la variante Omicron, sono i continui cambi di regole a incidere sulle prenotazioni invernali. Un settore che vale 12 miliardi di euro di fatturato e che spera di ripartire dopo due anni difficili. In attesa degli stranieri.
Tutti pronti? Si parte, forse. La grande macchina della neve ha acceso i motori. Sono trascorsi circa 10 giorni dalla data ufficiale di avvio della stagione sciistica – da tradizione fissata per il 4 dicembre – e la situazione è ancora di massima incertezza. A parte alcune località iconiche come Cortina, dove gli alberghi sono tutti esauriti, il resto dell’arco alpino vive con il fiato sospeso la variante Omicron.
L’impennata di contagi in Alto Adige, Friuli, Veneto e Valle d’Aosta dovuta anche alla vicinanza con Paesi quali Austria e Germania, in emergenza Covid, minaccia una ripresa che vale 60.000 posti di lavoro, 12 miliardi di fatturato e circa il 2% del Pil. Solo negli impianti lavorano oltre 15.000 persone, un terzo fissi e due terzi stagionali. Il turismo della neve è fermo da quasi due anni.
Una perdita enorme se si pensa che, in molte località, i mesi invernali rappresentano il 90-95% del fatturato totale. L’ultimo decreto in vigore fino al 15 gennaio prevede il Green pass rafforzato solo in zona arancione ma in realtà occorre anche in zona bianca o gialla, per entrare nei rifugi o nei bar sulle piste.
«Stiamo facendo il massimo per salvare la stagione, ma c’è tanta confusione sulle regole» avverte Valeria Ghezzi, presidente dell’Anef, Associazione nazionale degli esercenti delle funivie. «Lo sci è uno sport sicuro perché all’aria aperta e per sua caratteristica prevede il distanziamento» ribadisce. E ricorda che lo scorso inverno si è sciato, senza particolari limitazioni, negli Stati Uniti, in Svizzera e nei Paesi scandinavi «e non si è riscontrata un’incidenza di contagi legata allo sci, superiore a quella di altre attività».
Il campione del mondo Giorgio Rocca, ora maestro di sci, dice che sulle piste della Svizzera, dove ha una scuola oltre a quella di Livigno, «si scia con grande tranquillità anche se non è richiesto il green pass, perché c’è la consapevolezza che rispettando il distanziamento sugli impianti, il contagio è impossibile».
Manfred Pinzger, presidente di Federalberghi Alto Adige e vicepresidente di Confcommercio nazionale, dice che nella sua regione ha pesato anche la «cattiva comunicazione sulle zone rosse. Non è stato specificato che gli impianti erano aperti ugualmente e si poteva sciare, così sono piovute le disdette. Abbiamo il 30% di presenze in meno rispetto al 2019». Sul bilancio delle prenotazioni incide molto l’assenza del turismo straniero che normalmente rappresenta circa metà degli ospiti invernali. Pertanto per le feste natalizie, gli operatori contano soprattutto sul turismo nazionale.
«Ci aspettiamo una buona presenza di italiani nonostante le difficoltà» afferma ottimista il presidente di Federalberghi, Bernabò Bocca. Il problema però si pone dopo Capodanno, il tradizionale periodo delle settimane bianche del turismo d’oltralpe. «Le festività natalizie più o meno sono salve. Dal 26 dicembre al 2 gennaio il tasso di occupazione degli alberghi è del 68%. A Capodanno si arriva al 75. I mesi successivi però sono vuoti. Normalmente il mercato estero che nel Bellunese e a Cortina rappresenta il 40-46% delle presenze si muove in anticipo. Ma ora è totalmente fermo» commenta Massimiliano Schiavon, presidente di Federalberghi Veneto.
I dati che indica sono preoccupanti: dal 10 gennaio al 14 febbraio il tasso di occupazione medio è del 26%. E fa capire che il freno non è rappresentato solo dall’aumento dei contagi oltre frontiera, ma anche dalle barriere poste dalla Ue a vaccini differenti da Moderna o Pfizer. «Chi è immunizzato con Sputnik per accedere negli alberghi deve fare il tampone e numerosi clienti vengono dai Paesi dell’Est e dalla Russia. Sono filtri che ci penalizzano».
Giuseppe Cuc, presidente del Collegio nazionale dei maestri di sci, non vuole dare per perso l’arrivo degli stranieri. «Le misure di sicurezza adottate sulle piste italiane e i minori contagi potrebbero rappresentare un’attrattiva per il turismo internazionale. L’Italia è percepita come un Paese in cui la pandemia è sotto controllo con una percentuale di vaccinati tra le più alte d’Europa. Quindi può diventare una meta ideale. Certo non mi aspetto grandi numeri ma chissà che dal nord Europa non arrivino più prenotazioni del previsto».
Fare stime a pochi giorni da Natale, quando il quadro dovrebbe essere definito da tempo, sembra assurdo. Ma ormai gran parte delle prenotazioni sono «last minute». La situazione può capovolgersi nel giro di pochissimo tempo. La stagione deve fare i conti anche con il problema del fabbisogno di personale. Il Covid ha creato uno smottamento nell’industria alpina. I due terzi dei 15.000 addetti agli impianti sono stagionali e molti di loro, dopo oltre un anno di blocco dell’attività, si sono riciclati altrove.
«La maggior parte ha trovato un impiego nell’edilizia. La pandemia ha mostrato la fragilità di un sistema che prima era considerato una fonte di reddito sicura. Numerosi impianti hanno carenza di personale» commenta ancora Valeria Ghezzi. Un problema che riguarda anche le scuole di sci, come evidenzia Cuc. «Tanti maestri sono migrati verso attività percepite come più stabili». La difficoltà a reperire personale, oltre alle misure previste dai protocolli di difesa dalla pandemia, uniti al caro energia, incidono sui costi.
Le associazioni dei consumatori lamentano rincari, nei maggiori impianti, di circa il 4,3%. «Non più di altri settori» commenta Ghezzi. «Anche le strutture di risalita subiscono gli aumenti energetici. La neve programmata richiede 600 gigawattora l’anno e 95 milioni di metri cubi d’acqua. Innevare un ettaro di terra costa 15 mila euro e per l’intera stagione invernale se ne vanno circa 100 milioni. Cifre che stanno lievitando».
La pandemia ha anche portato una maggiore attenzione a nuove soluzioni tecnologiche e più sensibilità al green. Per evitare file e assembramenti, si sono diffusi i biglietti online. In Valle d’Aosta e Friuli-Venezia Giulia c’è un ticket unico per tutta la regione. A Madonna di Campiglio e nella Skiarea Campiglio Dolomiti di Brenta, lo Starpass si acquista digitalmente. La formula «paghi quanto scii» consente di evitare la coda in biglietteria. E c’è pure uno sconto. Superata la prima soglia di spesa di 600 euro, sciare costa l’80% in meno e, raggiunto il tetto di 800 euro, gli impianti sono gratuiti.
Poi c’è l’App Qoda per un aggiornamento in tempo reale dell’andamento dei flussi agli impianti, nei rifugi e nei noleggi che aderiscono al comprensorio. Per essere più competitive, le strutture sciistiche hanno accentuato l’attenzione alla sostenibilità ambientale. Nei 12 comprensori di Canazei, Selva di Val Gardena, Cortina d’Ampezzo, Marmolada e Plan De Corones, lungo il Dolomiti Superski, si fa uso di energia solare. A Madonna di Campiglio, la nuova cabinovia Fortini-Pradalago a 10 posti è all’insegna di un modo rispettoso di vivere la montagna.
Il Paradiso per i fanatici della sostenibilità è la Valle del Primiero, dove fino a San Martino di Castrozza gli impianti funzionano a energia idroelettrica. Strutture green anche in Val di Sole e nel Consorzio Pontedilegno-Tonale. Nei rifugi solo energia da fonti rinnovabili, niente plastica e in cucina prodotti certificati a ridotto impatto ambientale e menu con ingredienti biologici a chilometro zero.
La stagione riserva novità anche per le piste. Come «la nera», La Ria in Val Gardena, che dalla cabinovia di Dantercepies a Selva di Val Gardena si snoda per oltre un chilometro su 310 metri di dislivello, con una pendenza massima del 52%; adrenalina pura per gli sciatori. Chi osa meno, può cimentarsi con la nuova rossa Pilat, dall’Alpe di Siusi a Ortisei. Appena inaugurato anche il circuito che collega Belvedere, sopra Canazei, a Col dei Rossi. Il vero slalom però quest’anno si farà tra restrizioni e norme dell’ultimo minuto. Oltre il meteo neve, bisogna tenere d’occhio il bollettino dei contagi.