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Pubblico ufficiale con mazzetta

Pubblico ufficiale con mazzetta

Pignoramenti, sfratti e altre esecuzioni giudiziarie… Da Catanzaro ad Alessandria, le inchieste tracciano una mappa dei funzionari che esigono vari «contributi» per svolgere le normali pratiche. E la criminalità comune ringrazia.


Le «linee guida» elaborate dal Consiglio superiore della magistratura nel 2017, che nelle intenzioni avrebbero dovuto trasformare in «buone prassi organizzative» le esecuzioni immobiliari – ovvero le procedure che consentono ai creditori di recuperare le somme di denaro che spettano loro – sono diventate presto carta straccia. Così, aste giudiziarie, sfratti e pignoramenti si sono trasformati in una giungla.

Nelle Procure italiane si sono moltiplicate quindi le inchieste per corruzione in cui sono incappati cancellieri e ufficiali giudiziari che, spesso, in cambio della classica mazzetta si sarebbero ingegnati per velocizzare le pratiche. La pandemia, poi, ha reso il tutto ancora più complicato. Soprattutto nella prima fase. Un’indagine del centro studi Ius trend che circola tra gli addetti ai lavori ha stimato che solo nel periodo di sospensione delle attività e dei termini processuali, dal 9 marzo all’11 maggio 2020, siano stati rinviati più di 30.000 «esperimenti di vendita», per un controvalore di oltre 3 miliardi di euro. Una cifra capace di scatenare fortissimi appetiti, anche nelle folte schiere della criminalità organizzata. E con la giustizia che arranca è più facile cercare scorciatoie.

I tribunali dove le pratiche di anzianità vecchie di 10 anni nel periodo clou della pandemia superavano il 30% delle pendenze totali, sempre stando a Ius trend, erano 12, quasi tutti al Sud: Potenza si era piazzata al primo posto di questa poco lusinghiera classifica, con una percentuale del 51,83%. Al secondo posto Matera, con il 43,31. Seguiva Salerno con il 40,77. E proprio in provincia di Salerno, a Nocera Inferiore, per trovare una corsia preferenziale bisognava rivolgersi a un assistente giudiziario, impiegato nella cancelleria delle esecuzioni civili. Stando all’accusa, avrebbe pilotato le assegnazioni di procedure esecutive – ovvero i pignoramenti di beni quali abitazioni, terreni, autovetture, conti correnti – sottraendo diversi fascicoli.

L’inchiesta è partita dall’arresto in flagranza per concussione di uno degli indagati, colto mentre incassava da un costruttore 2.000 euro quale sesta tranche di un importo complessivo preteso di circa 20.000. E si è arrivati al cancelliere. Insieme al funzionario pubblico sono indagati anche un ingegnere e un avvocato. Agli imprenditori avrebbero prospettato la possibilità di migliorare le loro posizioni in cambio del pagamento di somme di denaro. Con il cancelliere che sarebbe arrivato a negare l’accesso ai fascicoli ai creditori pignorati. La sottrazione di uno dei fascicoli è stata perfino documentata con un selfie inviato su una chat di WhatsApp.

Lo scopo, sostiene l’accusa, sarebbe stato «indurre i creditori a sostituire l’avvocato di fiducia con professionisti ritenuti organici al sistema». Un consulente tecnico d’ufficio, poi, durante un interrogatorio avrebbe ammesso di aver modificato il reale valore di unità immobiliari sovrastimandolo, così da liberare i beni dal pignoramento e dare la possibilità all’imprenditore di disporre, dopo la vendita, della somma di denaro che avrebbe dovuto poi consegnare agli indagati.

A Trani, invece, le mazzette si pagavano anche in natura. È finito in carcere un ufficiale giudiziario dell’Unep, l’ufficio che si occupa delle notificazioni, delle esecuzioni e dei protesti. Avrebbe costretto un debitore destinatario di un pignoramento a consegnargli 21 latte con 105 litri di olio extravergine di oliva e denaro (successivamente restituito), invitandolo a rivolgersi a un avvocato suo parente, «prefigurando» – stando alla ricostruzione degli investigatori – «conseguenze sfavorevoli nel caso non avesse aderito alle sue richieste».

Da Sud risalendo la penisola, ad Alessandria è finita nei guai una funzionaria con il ruolo di ufficiale giudiziario. Per l’accusa avrebbe intascato i soldi per le procedure di pignoramento dei debitori più in difficoltà. Poi, si è scoperto, li avrebbe spesi in vacanze ai Caraibi, sedute dall’estetista e persino consulenze da una cartomante. L’accusa è di peculato. La dipendente pubblica, stando alle indagini, si sarebbe intromessa in diverse procedure di pignoramento per sollecitare accordi di pagamento del debito a rate. A quel punto avrebbe trattenuto parte di quel denaro, a volte definitivamente, a volte solo per un certo periodo di tempo, per poi consegnare le somme al legittimo creditore.

Tornando in Meridione, nelle aste per immobili pignorati a Crotone è spuntata la lunga mano dei clan. I beni dovevano necessariamente tornare nella disponibilità dei proprietari o essere attribuiti a prestanome per sfuggire a eventuali sequestri antimafia. E se qualche ignaro offerente si presentava, ha ricostruito il Quotidiano del Sud, «veniva allontanato e minacciato». A San Leonardo di Cutro, piccolo centro della provincia calabrese, uno dei malcapitati sarebbe stato avvicinato da quattro persone che l’hanno «convinto» a desistere.

La regia di questi reati, secondo il pm della Procura antimafia di Catanzaro Paolo Sirleo, era del clan Grande Aracri. Uno dei 32 indagati, interessato a una procedura per alcuni fabbricati a Isola Capo Rizzuto, grazie alle consulenze di un legale (finito anch’egli sott’accusa) sarebbe riuscito a piazzare un prestanome. Obiettivo: eludere le misure di prevenzione che rischiava in un’indagine per usura e per l’ipotizzato legame con la famiglia Turrà, ritenuta contigua ai Grande Aracri. Ma per far funzionare il meccanismo c’era sempre bisogno della compiacenza di qualcuno all’interno delle istituzioni pubbliche.

Infatti, un parente dei Mannolo (che per il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri sarebbero una «potentissima famiglia legata sin dagli anni Settanta alla mafia siciliana»), durante un sopralluogo col delegato alla vendita avrebbe allontanato un offerente per un immobile pignorato. Il pubblico ufficiale ovviamente non segnalò nulla alle autorità.

Non solo: gli uomini del clan si sarebbero inseriti pure nella procedura esecutiva per un complesso immobiliare dentro un villaggio residenziale. Durante il sopralluogo di un acquirente sarebbero state fatte esplicite minacce. E i beni sono stati aggiudicati a uno dei personaggi che ruotavano attorno al gruppo criminale, per una cifra di gran lunga inferiore a quello stimato da una perizia.

Anche in Puglia la malavita è entrata a gamba tesa nel sistema delle aste giudiziarie. «Questo si vuole prendere di nuovo l’azienda sua… Io ho detto: dai il 5 per cento della somma più un pensierino per gli amici». Parole di Giovanni Loiudice, indicato dagli investigatori come un boss pugliese particolarmente «sfacciato». Al punto da presentarsi in tribunale in occasione delle gare.
Com’è successo a Matera, proprio quando gli imprenditori interessati avrebbero dovuto formalizzare le loro offerte.

«Abbiamo parlato e risolto tutto» avevano commentato gli indagati dopo le loro pressioni per bloccare la libera partecipazione a un’asta giudiziaria. E in effetti chi era intervenuto, dopo quell’incontro, aveva revocato le offerte. Anche in questo caso una parte della narrazione giudiziaria è dedicata alla «zona grigia». Con professionisti e dipendenti pubblici «sempre pronti ad aderire a richieste, bisogni e aspettative del boss».

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