Al confine orientale italiano cresce la pressione dei migranti che hanno attraversato Slovenia, Croazia e Bosnia. Il nuovo orientamento giudiziario e la mobilitazione delle ong rischia ora di alimentare un indiscrimato arrivo «via terra».
Il 15 febbraio sono stati intercettati 117 migranti nei dintorni di Udine, giunti dalla rotta balcanica a bordo di un tir ed entrati dalla Slovenia a Gorizia. Nel 2020, nonostante il Covid, sono arrivati dalla Bosnia in Friuli-Venezia Giulia 6.477 migranti, quasi il doppio rispetto all’anno precedente. Solo 1.301 sono stati rimandati in Slovenia, ma adesso, grazie all’ordinanza di un giudice di Roma, sarà più possibile farlo, nonostante esista un accordo con la vicina Repubblica. Un’offensiva giudiziaria, mediatica e politica delle ong ha aperto la via della rotta balcanica, che in primavera rischia di esplodere. «La notizia che non c’è più la possibilità di rimandarli in Slovenia scatenerà una partenza di massa dalla Bosnia» dichiara a Panorama l’assessore alla sicurezza e all’immigrazione del Friuli-Venezia Giulia, Pierpaolo Roberti.
Il giovane leghista della giunta Fedriga si aspetta «che il governo non rimanga alla mercé delle Ong, ma che reagisca all’attacco contro lo Stato indebolito e non più nella possibilità di difendere i propri confini». Il 18 gennaio, Silvia Albano, giudice del Tribunale di Roma, ha accolto il ricorso di un pachistano rimandato in Slovenia nell’estate 2020 e poi rispedito indietro fino in Bosnia, da dove era partito per arrivare in Italia. L’ordinanza bolla come «illegittime» le «riammissioni informali» che avvenivano con i migranti intercettati dalla polizia entro 10 chilometri dalla frontiera.
La giudice ha puntato il dito contro la decisione del Viminale di rimandare i migranti in Slovenia «qualora sia manifestata l’intenzione di richiedere protezione internazionale». Come nel caso del pachistano, che però non fugge da un Paese in guerra.
Il migrante, rintracciato a Sarajevo da una rete di ong, ha presentato ricorso con i legali Caterina Bove e Anna Brambilla, aderenti all’Asgi, un’associazione sponsorizzata da George Soros. «Le riammissioni informali sono illegali. Gli agenti rifiutando di accogliere le domande di asilo e rimandando i migranti in Slovenia hanno violato le norme» dichiara Gianfranco Schiavone, che fa parte del direttivo dell’Asgi e presiede il Consorzio italiano solidarietà con sede a Trieste.
Pochi giorni prima della sentenza la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese aveva fatto marcia indietro in Parlamento sui respingimenti. Il via libera era giunto nel maggio 2020 con una circolare dal suo capo di Gabinetto di allora, Matteo Piantedosi, che ricopriva lo stesso incarico con Matteo Salvini al Viminale.
L’ordinanza di Roma punta il dito contro la polizia slovena e soprattutto quella croata, come fossero dei torturatori. Sono soprattutto i croati a usare metodi violenti per rispedire in Bosnia i migranti, ma nel calderone delle accuse del pachistano è finita anche la polizia italiana. I nostri agenti avrebbero intimato a lui e altri migranti di tornare in Slovenia «sotto la minaccia di bastoni». Il Dipartimento di pubblica sicurezza ha seccamente smentito la ricostruzione.
Lorenzo Tamaro, segretario provinciale a Trieste del Sindacato autonomo di polizia, protesta: «I poliziotti sono i primi a dimostrarsi umani e aiutare i migranti. Gli agenti sono indignati. Le accuse di violenze non hanno alcun fondamento». Il Viminale ha deciso di presentare ricorso contro l’ordinanza. Schiavone glissa sulle accuse alla polizia italiana, ma ribadisce che «fra le 22.000 persone respinte in Bosnia fra il 2019 e il 2020, il 70% ha subìto violenza anche estrema».
I croati usano il pugno di ferro per arginare gli arrivi dalla rotta balcanica, ma i migranti sanno cosa fare quando arrivano in Italia. «In tasca hanno tutti un foglietto con l’indirizzo della questura dove chiedere asilo» racconta Vittorio Zappalorto, prefetto di Venezia, che ha ricoperto la stessa carica a Gorizia e Udine. «Dalla rotta balcanica vengono già “istruiti” e sempre meglio organizzati. Arrivano anche a Venezia a Padova, direttamente via terra o alla spicciolata nascosti nei traghetti provenienti dalla Grecia».
Il rigido inverno bosniaco ha favorito la mobilitazione mediatica e delle ong. Tutto è iniziato con l’incendio in dicembre del campo di Lipa, forse appiccato dagli stessi migranti. Poco meno di mille persone sono rimaste al freddo e al gelo in condizioni precarie fino all’allestimento di un campo provvisorio diventato subito il simbolo della rotta balcanica, come se fosse un problema nato adesso. Il Partito democratico di Bologna ha lanciato una raccolta fondi, come ai tempi della guerra nella ex Jugoslavia. Anche altre amministrazioni di centrosinistra in Emilia-Romagna e Toscana hanno risposto all’appello bolognese che «chiede l’apertura di corridoi umanitari».
Gli estremisti dell’accoglienza si erano mobilitati dallo scorso ottobre con la missione della «campagna solidale per la libertà di movimento» sul Carso triestino per accogliere i migranti all’ultima tappa del «gioco», come viene da loro definita la rotta balcanica. I militanti del centro sociale Rivolta di Marghera o di gruppi come Bozen solidale «antifascista, antirazzista, antisessista» lasciavano acqua e generi alimentari sui passaggi dei clandestini con biglietti di benvenuto e scritte del tipo «fuck the police». Hanno anche deturpato le pietre del Carso con uno slogan in inglese tracciato con vernice rossa: «Fascisti tornate a casa (o in foiba) – rifugiati benvenuti!». Un oltraggio a due passi dalla foiba di Basovizza, monumento nazionale.
In Bosnia sono attive ong italiane come l’Ipsia legata alle Acli o la Caritas, ma spuntano anche gruppi autonomi tipo Solidarity action legati a Claudio Locatelli, che si autodefinisce «giornalista combattente». In Siria ha imbracciato le armi assieme ai curdi per combattere lo Stato islamico. «Lungo la rotta balcanica» è un’altra associazione che l’11 febbraio ha organizzato i «presidi di solidarietà», un incontro in rete per i migranti che «alle porte dell’Unione europea sono bloccati in condizioni disumane e in pericolo di vita. È il momento, per tutti, di agire». Fra i partecipanti era registrato l’ambasciatore italiano a Sarajevo, Nicola Minasi. A fine gennaio una missione di eurodeputati di sinistra è stata bloccata dalla polizia croata al confine bosniaco. L’ambasciatore di Zagabria a Roma ha spiegato «che ci sono gruppi di persone che, approfittando della vostra visita, vogliono passare illegalmente in Croazia».
L’ennesima spallata per il via libera alla rotta balcanica è stata lanciata dalle ong contro due direttive della Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minori del 31 agosto e 21 dicembre 2020. In pratica, la polizia era autorizzata a rimandare in Slovenia i finti minorenni, ovvero i migranti che si dichiarano tali, ma sono senza dubbio adulti.
Il nodo del contendere è la legge della deputata Pd Sandra Zampa sui minori non accompagnati, che secondo le ong obbligherebbe ad accertamenti sanitari per certificare l’età dei migranti. «Se non ci sono dubbi che il soggetto sia maggiorenne, le mie direttive dicono che tali accertamenti non vanno fatti. E sono assolutamente conformi alla legge» spiega a Panorama Leonardo Tamborini, procuratore minorile di Trieste. Un agente in servizio nel capoluogo giuliano racconta che «lo scorso anno abbiamo intercettato persone arrivate lungo la rotta balcanica con le rughe e la barba bianca, che si spacciavano per minori».