Miele amaro
(IStock)
Inchieste

Miele amaro

Questo alimento naturale è sempre più raro. Stagioni impazzite, spazi agricoli ridotti e insetticidi abbattono la produzione fino al 95%. E il futuro è disseminato da importazioni fuori controllo e robot al posto delle api.


Ormai è sempre colpa del clima. Delle api che da almeno vent’anni combattono una battaglia per sopravvivere all’invasione della chimica nei campi, alle colture estensive e alla distruzione del loro ambiente non è importato niente a nessuno. Fin quando non sono servite da testimonial per le mobilitazioni stile Greta Thunberg.

Che forse non sa che il miele è stato il primo dolcificante, il più potente antibiotico, una consistente riserva di calorie e l’unico mezzo di perpetuazione delle colture. Le api sono le migliori amiche dell’uomo: oltre al miele danno la cera, che fu la prima luce, la propoli, la prima vitamina, e perfino un farmaco estratto dal loro veleno. Hanno poi una «società» che per molti è il modello perfetto di organizzazione produttiva.

Eppure la Commissione europea ci ha messo 15 anni a bloccare - e non del tutto - l’utilizzo degli insetticidi neonicotinoidi che distruggono questi meravigliosi insetti. Imputare solo al clima la morìa delle api è fuorviante e soprattutto evita di fare nomi e cognomi di chi produce i pesticidi. Semmai è una lotta di classe delle (api) operaie contro una concezione dell’agricoltura industriale. Le ragioni? Puramente economiche. Le stesse che hanno consentito alla Syngenta e alla Bayer di commercializzare pesticidi che avvelenano gli alveari.

Entrambi i colossi della chimica hanno presentato ricorsi - sostengono che a basso dosaggio i loro prodotti sono benefici - contro Bruxelles che peraltro consente l’uso dei pesticidi in serra. Né ha vietato l’esportazione di queste sostanze che ci tornano indietro. Ma è preferibile dire che le api si estinguono perché il clima è impazzito e non ci sono più le fioriture. In realtà non ci sono perché si sono ridotti gli spazi agricoli e delle colture tradizionali.

Ecco perché quella delle «operaie» è una lotta di classe: vogliono «bottinare», raccogliere il nettare dove l’hanno sempre fatto: negli agrumeti (il miele di zagara ha prezzi da capogiro), nelle siepi di eucalipto, nei castagneti (attaccati da un parassita di cui nessuno si cura) come nei frutteti. Ma se il paesaggio agricolo si fa monocorde, se la primavera, da quella dipinta da Sandro Botticelli diventa mera ricorrenza da calendario, le api muoiono.

Syngenta è di proprietà dei cinesi di ChemCina (fattura 12 miliardi di dollari), e Bayer per chiudere il cerchio si è comprata la Monsanto, leader di pesticidi e sementi, per 66 miliardi di dollari. Che cosa può fare un apicoltore contro tutto ciò? Secondo un’inchiesta condotta da Uneahrted - un gruppo internazionale di giornalisti che si occupa d’ambiente - nel 2020 (ultimi dati disponibili) i pesticidi vietati dall’Unione europea sono stati piazzati per 3.800 tonnellate nei Paesi più «poveri»: Senegal, Mali, Pakistan, ma anche Ucraina e Brasile dove Syngenta ha spedito via Belgio 2.200 tonnellate di pesticidi. Da quei Paesi tornano indietro prodotti agricoli e sementi che finiscono nei nostri campi.

Così, invece di eliminare la chimica, si cerca di sostituire le api con i robot. Un po’ come nelle fabbriche. Ad Harvard hanno messo a punto «robobee», un’ape elettronica, in Giappone vola un mini-drone, in Cina (primo produttore di miele e primo esportatore mondiale: ne fa 543 mila tonnellate, un terzo della produzione terrestre) impollinano a mano, in Olanda hanno inventato un drone che sbatte le ali. Matej Karasek, il creatore del robot, ha spiegato: «Le api sono in serio pericolo a causa dell’uso dei pesticidi, quest’innovazione può essere una soluzione».

Non in Italia, dove in alcune regioni come Toscana ed Emilia-Romagna, le due leader insieme a Piemonte, si è perso lo scorso anno il 95 per cento di miele. Il presidente della federazione apistica Raffaele Cirone ricorda: «La legge classifica l’apicoltura attività di interesse nazionale, finalizzata a garantire l’impollinazione naturale e la biodiversità, ma si è fatto poco per proteggere le api e gli apicoltori».

Che sono oltre 56 mila e in 1,8 milioni di alveari ospitano 2 milioni di regine e 80 miliardi di operaie. L’Italia era il quarto Paese produttore in Europa, ora siamo sesti soprattutto per la perdita di habitat naturale. Così siamo diventati una nazione importatrice: ne produciamo 23 milioni di tonnellate e ne compriamo all’estero (da Ungheria, Romania e Ucraina, ma molto arriva dalla Cina) per oltre 28 milioni di tonnellate e 85 milioni di euro.

Ismea ha fatto un’indagine: ne mangiamo mezzo chilo a testa all’anno; il resto serve per fare di tutto, dai torroni alle merendine. Gli anziani sono il 54 per cento dei consumatori di miele, che costa sempre di più: all’ingrosso oltre 8 euro al chilo, con un incremento del prezzo del 25 per cento negli ultimi 5 anni seguendo la contrazione di almeno 6 mila tonnellate della produzione (quasi un terzo). È primavera, la stagione dei fiori. Ma senza le api sarà un tempo amaro.

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Carlo Malaspina