Le sette missioni perdute
Soldati italiani nel 2018 a Herat, in Afghanistan (GettyImages).
Inchieste

Le sette missioni perdute

Dall'Asia all'Africa, migliaia di soldati italiani sono in aree di gravi tensioni. Oltre ai costi, il problema è un mandato confuso. Che rende più debole il ruolo del nostro Paese e vulnerabili le forze sul campo.


In Iraq sono rimasti 300 soldati italiani, meno di un terzo del contingente, causa Covid e americani sotto tiro che stanno riducendo le truppe. In Afghanistan la base di Herat sembra la fortezza Bastiani del Deserto dei Tartari, dove si attende l'arrivo dei talebani. Quella in Kosovo è la missione più longeva ma «usurata», dura da 21 anni.

«Manca una visione strategica soprattutto sul dopo intervento militare. La Libia è un esempio lampante. Ci occupiamo di troppe situazioni post conflitto, dove la crisi non è mai passata e non sappiamo come uscirne» dice il generale in congedo Fabio Mini, che proprio in Kosovo è stato comandante.

Le missioni internazionali sono aumentate a 41 con un impegno di 8.613 uomini (che costano 1 miliardo e 129 milioni di euro), anche se in realtà quelle con un contingente significativo sono 17. E fra queste sette sono nuove, ma discutibili, a rischio ritiro o «usurate»: Golfo di Guinea, Task force Takuba in Mali, Afghanistan, Iraq, Libia, Niger e Kosovo.

L'asse delle missioni nel 2020 si è spostato sull'Africa comprese le novità in appoggio alla Francia. A partire dalla partecipazione alla Task force Takuba, guidata da Parigi, per contrastare la minaccia jihadista nel Sahel. «Siamo importanti per i francesi. Gli unici a garantire un supporto di elicotteri cruciale, soprattutto per l'evacuazione medica, che verrà dispiegato il prossimo anno. Altri si sono defilati» conferma a Panorama una fonte militare. La missione ci costerà 15.627.178 euro.

«Che il Pd sia il partito più "francese" in assoluto non è una novità. Il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, aveva annunciato grandi sinergie. Bisogna capire se questo impegno a fianco di Parigi riflette il nostro interesse nazionale e quali siano le contropartite» riflette Gianandrea Gaiani, direttore di Analisi Difesa.

La liberazione degli ostaggi italiani in Mali, padre Pier Luigi Maccalli e Nicola Chiacchio, è un «cadeau»: un regalo del Dsge (Direction générale de la sécurite d'Etat), i servizi d'Oltralpe che avevano avviato «un'intensa e meticolosa attività di cooperazione» con l'Aise, la nostra intelligence all'estero, come ha fatto sapere Palazzo Chigi. Assieme all'ostaggio francese Sophie Pétronin e al politico locale, Soumaila Cissé, sono stati inseriti nel pacchetto i due italiani liberati in cambio di 180 prigionieri jihadisti nelle carceri maliane.

«Si spera anche che i francesi premano sul Niger per la concessione necessaria alla nostra base che attendiamo da tempo» rivela la nostra fonte militare. Una missione «perduta» iniziata nel 2018 e solo parzialmente decollata per migliorare le capacità delle forze locali sul confine libico, porta d'ingresso dei migranti illegali.

La nuova missione anti pirateria nel Golfo di Guinea, con la fregata Martinengo, serve a «proteggere gli asset estrattivi di Eni» e nell'area «la Francia conduce la missione anti-pirateria Corymbe» si legge nella scheda dell'operazione votata dal Parlamento. È previsto l'impiego di 400 uomini, due mezzi navali e due velivoli con un costo di 9.810.838 euro. Altra convergenza con Parigi, che però non paga a Bruxelles.

Il 30 settembre è scaduto il mandato al vertice di Eubam Libia dell'italiano Vincenzo Tagliaferri. Una missione sul controllo dei confini libici, che ci interessa per i migranti. Al suo posto doveva essere nominata la connazionale Natalina Cea, ma la selezione è stata annullata e si rifarà il 2 novembre. «I francesi vogliono farla da padroni e si accaparrano gli incarichi importanti» spiega una fonte d'alto livello di Panorama. «Per Eubam Libia puntano a un loro rappresentante perché la missione potrebbe venire ampliata per monitorare il cessate il fuoco. Così la Francia, non amata da Tripoli, tornerebbe in gioco».

Il generale Claudio Graziano, presidente del Comitato militare dell'Unione europea, propone, al contrario, di allargare i compiti dell'asfittica missione Irini sul controllo dell'embargo sulle armi alla Libia guidata dall'ammiraglio Fabio Agostini. «Irini, potenziata con mezzi e uomini a terra, può monitorare il cessate il fuoco» rivela la nostra fonte.

Altre missioni «perdute» sono quelle in Libia, Afghanistan e Iraq. Nell'ex regno di Muammar Gheddafi, sprofondato nel caos, spendiamo 48 milioni di euro l'anno. L'ospedale da campo di Misurata si sposterà trasformandosi in una missione sanitaria dai contorni incerti. La nave della Marina che appoggia la Guardia costiera nel contrasto all'immigrazione è l'unico punto fermo. E aumenteremo l'addestramento delle forze libiche, oltre a sminare aree di Tripoli. «Il ruolo dell'Italia, rispetto al passato, è di comparsa» sottolinea Gaiani. «I veri attori sono turchi, russi, egiziani, emiratini, e ha un ruolo anche il Qatar».

Lo dimostra l'umiliazione inflitta al governo italiano da Khalifa Haftar, il generale della Cirenaica, con il sequestro dei 18 pescatori di Mazara del Vallo. «Per ridimensionare Haftar dovremmo inviare un gruppo navale davanti a Bengasi. Non per bombardare la Libia, ma come forza di deterrenza in aggiunta alla diplomazia. E come segnale non solo per il generale, ma pure per suoi padrini» aggiunge Gaiani.

Sull'Afghanistan il capo di Stato maggiore, Enzo Vecciarelli, ha già annunciato il ritiro a giugno 2021, ma manca la decisione politica definitiva. La missione continua a costare 159,7 milioni di euro l'anno con 800 uomini in gran parte asserragliati, appunto, nella «Fortezza Bastiani» di Herat. I talebani, che non hanno diminuito gli attacchi, continuano a negoziare con Kabul e sfilano impunemente nella provincia di Logar in una specie di parata della vittoria. Nei primi mesi del prossimo anno le truppe Usa saranno ridotte a soli 2.500 uomini.

In Iraq la situazione è paradossale. Dei 1.100 uomini previsti dal decreto missioni ne sono rimasti appena 300 a Erbil, nel nord del Paese. Il grosso degli addestratori è rientrato in patria causa Covid. Non solo: il comandante americano della missione contro l'Isis ha cancellato il programma lo scorso giugno. Assieme allo schieramento aereo in Kuwait, stiamo parlando dell'intervento più costoso: 263 milioni di euro. Washington fra attacchi delle milizie sciite e richieste del governo iracheno ridurrà il contingente da 5.200 a 3 mila uomini.

Dopo gli inglesi, è l'Eni ad avere la fetta più ampia delle concessioni irachene con il giacimento di Zubair, che punta a produrre 700 mila barili di petrolio al giorno. La presenza militare italiana sarebbe strategica. «In Afghanistan siamo arrivati con gli americani dopo l'11 settembre e ce ne andiamo con loro» osserva Gaiani. «In Iraq sarà lo stesso. La riduzione delle nostre forze va di pari passo con quelle Usa. Ritiri che non sono missioni compiute, ma dimostrano l'incapacità dell'Occidente di gestire operazioni a lungo termine».

E si arriva al Kosovo. Qui, dopo 21 anni, manteniamo ancora 682 uomini che assorbono 80,8 milioni di euro. «Con gli equilibri cristallizzati fra serbi e albanesi non si va né avanti né indietro» è l'analisi dell'ex generale Mini. «Bisognerebbe avere il coraggio di andarsene o di cambiare scopo e struttura alla missione». Un ufficiale in servizio fa notare, però, che «i Balcani sono un'area di interesse strategico primario, come la Libia, non solo per la stabilità alle porte di casa, ma per i flussi dei migranti della rotta balcanica e il contrasto all'egemonia turca».

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Fausto Biloslavo