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Il dottore non riceve

Il dottore non riceve

Medici che non curano i loro pazienti per paura del contagio, né vogliono saperne di eseguire i tamponi. Pediatri che non visitano i bambini. Atteggiamenti condannabili, certo. Ma la colpa è anche di un servizio sanitario che li ha lasciati soli di fronte all’emergenza.


«A marzo ho pensato di morire. Dopo aver visitato un mio paziente, che accusava gravi problemi respiratori, ho contratto il Covid. Sono rimasto in terapia intensiva per due settimane. Il momento più brutto della mia vita». Parla così Claudio, medico di medicina generale toscano che non vuole rivelare il cognome. Lo fa per un motivo semplice: «Da quel momento vivo nel terrore. Ho interrotto le visite domiciliari, ridotto al minimo gli appuntamenti in ambulatorio. Quasi 200 pazienti hanno cambiato medico, ma non mi interessa. La mia vita vale di più di questo virus».

Una confessione straziante, che però fa capire perfettamente lo stato emotivo di tanti dottori. C’è la paura di infettarsi, o di ricontagiarsi. Si insinua anche il dubbio di non essere all’altezza e di fare parte di un sistema prossimo al tracollo. Su tutto vince la certezza di non essere abbastanza tutelati.

Come Silvia, che fa la pediatra in Lombardia e candidamente ammette: «Nel mio poliambulatorio ormai accettiamo solo i bambini che devono fare il vaccino. Abbiamo cancellato tutti i controlli a data da destinarsi, e i bimbi che hanno febbre sono invitati a rivolgersi all’ospedale. Si tratta di una misura estrema per salvaguardare noi e il personale, ma anche gli altri pazienti».

Così – fra le drastiche misure messe autonomamente in atto da una porzione di medici refrattari alla cura degli assistiti – si snoda il dramma degli ammalati allo sbando fra ospedali, tamponi (mancanti), cure necessarie e malattie improvvise. «Mia moglie ha un tumore al seno» racconta Luca Marchi, che di anni ne ha 54 e vive a Milano, «ma da quando è arrivato il Covid è stato tutto un rimandare: non solo i controlli e la chemioterapia, anche l’assistenza più elementare del medico di famiglia che a un certo punto ha iniziato a negarsi persino al telefono. Ci siamo sentiti due volte abbandonati, come se la nostra vita non contasse niente».

Poco diversa la storia di Cecilia Malagrinò, calabrese, che dopo essere entrata in contatto con persone positive al coronavirus ha inseguito per settimane il suo medico: «Lo chiamavo ogni giorno perché mi prescrivesse un tampone. Ero tormentata dal dubbio. Alla fine mi ha detto di rivolgermi privatamente, ed è scomparso. Non una visita, non un consiglio».

Pensare che siano testimonianze isolate è un errore. Secondo Anna Lisa Mandorino, vicesegretaria generale di Cittadinanzattiva, che gestisce anche il Tribunale dei diritti per il malato, ci sono situazioni di grande difficoltà: «Dal nostro ultimo Rapporto sulle politiche della cronicità, emerge che più di due pazienti su cinque hanno visto cancellati visite, esami o interventi; più di uno su tre ha avuto difficoltà a restare in contatto con gli specialisti e i centri di riferimento per la propria patologia».

Anche per questo la ritirata dei medici di famiglia, da sempre avamposto di assistenza territoriale, si rivela allarmante. Perfino il commissario straordinario per l’emergenza Covid-19 Domenico Arcuri ha lanciato un appello «ai medici di base e ai pediatri per somministrare test molecolari rapidi antigenici ai loro assistiti». Verranno retribuiti dai 14 ai 18 euro per paziente, ma fra accese polemiche stentano a partire.

«La verità è che questa emergenza ci ha mostrato la fragilità di un sistema iperburocratizzato, dove il medico più che fare il suo lavoro viene chiamato a riempire scartoffie» riflette Pier Luigi Bartoletti, vice segretario della Federazione italiana dei medici di medicina generale (Fimmg). «Era chiaro che con l’autunno sarebbero aumentati i casi, eppure non si è dedicato tempo né alla formazione dei medici di famiglia né a rendere il loro lavoro più semplice».

Il coronavirus ha messo in evidenza la carenza di un sistema che conta 43.732 medici generici, d’esperienza (oltre 32.000 in attività da oltre 27 anni), ma anche anziani (età media 50- 60 anni) e con sovraccarichi di richieste. La media nazionale è di 1.211 mutuati per dottore, ma ben 13.000 medici superano i 1.500 pazienti. Così, se la corsa finora era ad accaparrarsi pazienti come il medico condotto di Alberto Sordi (per ogni paziente il Ssn riconosce una media annua di 86 euro lordi fra forfait, incentivi regionali e Asl), ora la prospettiva cambia. Nonostante il decreto dell’8 aprile 2020 li inviti alla «vigile attesa» per i pazienti a casa, e a occuparsi di chi è in quarantena, il libero arbitrio è imperante.

«I colleghi che si tirano indietro sono una minoranza. Ma occorre un ricambio generazionale, fare i tamponi negli ambulatori e sostenere le Usca» aggiunge Bartoletti. Create per le visite a domicilio, con medici pagati 40 euro lordi l’ora, le Usca stentano a decollare: sarebbero dovute essere 1.200 con un finanziamento di 721 milioni di euro. A oggi ne sono state realizzate meno della metà.

Nelle prossime settimane si intravede una nuova, silenziosa emergenza. Secondo stime dell’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom) in questi mesi sono state rimandate 13 milioni di visite e 500 mila interventi chirurgici. «E oggi» conclude Mandorino «con la seconda ondata della pandemia il rischio è che questi numeri crescano ancora».

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