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Oltre il miraggio elettrico c’è la realtà dei biocarburanti

Oltre il miraggio elettrico c’è la realtà dei biocarburanti

Una decarbonizzazione dei trasporti senza passaggi intermedi non è fattibile. E una diffusione globale di veicoli con batterie ricaricabili è utopia. Ecco che oggi diventa cruciale il ruolo delle raffinazioni vegetali.


I giochi parevano fatti. La votazione finale quasi un «pro forma». Poi il colpo di scena. La scadenza del 2035 che dovrebbe segnare il de profundis del motore a benzina e diesel non è più così scontata. La decisione del governo italiano di votare contro e l’opposizione della Germania hanno messo tutto in stand by. L’approccio ideologico al percorso di decarbonizzazione e transizione ecologica che punti esclusivamente sull’elettrico è una ghigliottina per l’automotive. Per questo Roma e Berlino ritengono più utile un percorso che, basandosi sul principio della neutralità tecnologica, combini tutte le soluzioni in maniera complementare per ottenere l’abbattimento delle emissioni nel settore dei trasporti anche nell’ambito «hard to abate», difficili da contenere, come la trazione pesante.

Quindi non solo l’elettrico ma anche i biocarburanti e l’e-fuel. Italia e Germania puntano alla presentazione di una proposta comunitaria che preveda l’immatricolazione di auto e veicoli commerciali leggeri con motori a combustione anche dopo il 2035, a condizione che possano essere alimentati da carburanti ecologici. I biocarburanti servirebbero dunque ad accompagnare la transizione verso l’auto elettrica, che tutti ritengono inevitabile, tagliando le emissioni inquinanti di auto e camion e mantenendo l’attuale parco di veicoli a benzina e diesel. I veicoli a combustione interna potrebbero continuare a circolare senza emissioni nette di CO2, concedendo più tempo alle aziende per riconvertirsi all’elettrico, e ai consumatori per sostituire le vecchie auto.

Ma davvero i biocarburanti sarebbero in grado di salvare il comparto dei motori endodermici? I numeri inducono a qualche perplessità. L’Eni, la società italiana dell’energia, conta di produrre 3 milioni di tonnellate l’anno di biocarburanti entro il 2025 e di oltre 5 milioni entro il 2030. In Italia, però, secondo i dati del 2021 del ministero delle Imprese, si consumano ogni anno 7 milioni di tonnellate di benzina per le auto, 23 milioni di gasolio per i motori diesel e 4,5 milioni per il cherosene degli aeroplani.

Facciamo un passo indietro. Bisogna distinguere tra biocarburanti ed e-fuel. Per i primi l’Italia, con l’Eni, è campione assoluto nella ricerca. I biocarburanti sono combustibili che vengono prodotti per mezzo di processi chimico-fisici da sostanze di origine vegetale o animale o dalla scomposizione di acqua. I più utilizzati, al momento, in particolare nel mondo del trasporto pesante e sui veicoli commerciali, sono il biodiesel, l’Hvo, il biometano e l’idrogeno.

Il biodiesel, molto simile al gasolio, viene prodotto da oli vegetali come colza, girasole e olio da cucina usato, e utilizzato miscelato in quantità variabili con il diesel tradizionale prodotto dalla raffinazione del petrolio. Il secondo, l’Hidrogenated vegetable oil come olio vegetale idrotrattato, è un biodiesel di qualità più alta proveniente sempre da oli vegetali. Nel nostro Paese è già disponibile in 50 stazioni di servizio della compagnia energetica italiana, che entro marzo diventeranno 150. Le auto compatibili per ora sono di ultima generazione. Prima di tutto ci sono quelle diesel del gruppo Volkswagen, poi tutti i Tdi, diversi diesel Toyota e Stellantis, in particolare quelli di Peugeot e Citroën.

Il biogas si ricava da biomasse, ossia dalla fermentazione di rifiuti biologici e vegetali. L’idrogeno invece si divide in verde o blu in base al processo di produzione. Il primo viene estratto dall’acqua mediante elettrolisi con l’energia che viene generata da fonti rinnovabili; il secondo dagli idrocarburi fossili con conseguente stoccaggio della CO2 prodotta.

Gli e-fuels sono invece carburanti sintetici, ottenuti utilizzando l’anidride carbonica catturata nell’aria e l’idrogeno. Su questi punta molto la Germania. La Porsche, per esempio, ha fatto un grosso investimento insieme alla Siemens per un impianto sperimentale in Cile, cui partecipa come partner anche l’italiana Enel. La fornitura prevista a regime però, mezzo miliardo di litri di carburante, potrebbe equivalere ad appena un centesimo di quanto l’Italia consuma da sola.

Siamo insomma ancora all’anno zero degli e-fuels, per i quali servono investimenti e una pianificazione a medio-lungo termine. Hanno poi un difetto: la loro produzione assorbe molta più energia di quella che si può recuperare bruciandoli.

Wolfgang Wernecke, che si occupa di ricerca per la Shell, ha chiarito che i processi produttivi di un litro di e-fuel assorbono dai 24,4 ai 29,8 kWh. Ma il potere calorico di un litro di carburante sintetico è di soli 9,5 kWh. Inoltre i biocarburanti, se vengono prodotti con determinate specie vegetali che devono essere coltivate, sottraggono spazio a coltivazioni a uso alimentare.

Ma la svolta positiva arriva dalle nuove tecnologie, che permetteranno di ricavare i biocarburanti da scarti agricoli o forestali, e dai rifiuti. L’Italia è molto avanti nella ricerca grazie agli investimenti dell’Eni. La raffineria di Porto Marghera è stata riconvertita al bio nel 2014, quella di Gela nel 2019. Gli impianti trasformano in carburante verde di alta qualità, l’Hvo (Hydrotreated vegetable oil) gli oli vegetali usati e di frittura, i grassi animali, gli oli estratti da colture dedicate e non in competizione con la produzione agricola.

Nella raffineria di Livorno, Eni produce biocarburante per gli aerei, il Saf (Sustainable aviation fuel). Al momento viene miscelato al 20 per cento con combustibile fossile, per ridurre la sua impronta carbonica.

Il Cane a sei zampe sta investendo in vari Stati africani per creare grandi piantagioni di colture «oleaginose», in particolare il ricino, che necessitano di poca acqua e non sono in competizione con coltivazioni alimentari. Un «agrihub» è stato inaugurato l’anno scorso in Kenya, un secondo seguirà nello stesso Paese, un terzo aprirà quest’anno nella Repubblica del Congo. Il business è estremamente promettente per il settore dell’aviazione, dove l’elettrificazione è impossibile e l’unico sistema per «decarbonizzare» i jet sono i biocarburanti. Per rendere l’idea, l’Italia consuma circa 4,5 milioni di tonnellate all’anno di cherosene «avio». L’impiego naturale è quindi per aviazione, settore marittimo e trasporto pesante.

Più difficile, invece, soddisfare il comparto «automotive», visti i grandi numeri del consumo dei veicoli per il trasporto di persone o merci. Non a caso, interpellato alcuni mesi fa dall’Ansa sulla proposta europea di stop ai motori endotermici al 2035, l’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, non si era mostrato preoccupato: «Per i biocarburanti ci sono l’aviazione e il marittimo. Anche senza l’auto, il mercato c’è».

«Bisognerebbe avere il coraggio di dire che la scadenza del 2035 è una follia. Non si può abbandonare la benzina e il diesel a livello globale» commenta Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia. «La produzione di biocarburanti di seconda generazione dagli scarti, quelli che non competono con gli alimenti, è in quantità insufficiente a coprire il fabbisogno del parco veicoli mondiale, che arriverà presto a un miliardo e mezzo di auto».

All’esperto dell’energia fa eco Andrea Cardinali, direttore generale dell’Unrae che rappresenta le case di autoveicoli stranieri: «L’automobilista è in uno stato confusionale. E senza una linea chiara si rischia di paralizzare il mercato. Il passaggio all’elettrico è stato definito ma ha ancora impedimenti a livello pratico in termini di infrastrutture di ricarica. Il biocarburante è disponibile solo per i mezzi pesanti. L’efficacia per le auto è possibile solo se è compatibile con le vetture già circolanti di ultima generazione e allora sarebbe un modo per andare incontro a chi non può cambiare l’auto». E rilancia: «Stiamo facendo una verifica sulla compatibilità relativamente all’utilizzo di Hvo per i mezzi commerciali, ed è positiva».

Secondo Lisa Orlandi, economista e analista petrolifera dell’istituto Rie, Ricerche industriali e energetiche, occorre chiarire un concetto: «Non si può dichiarare che il biocarburante possa sostituire l’elettrico, esattamente come non si può affermare il contrario. Il processo non è di sostituzione; sono due alternative valide e perseguibili per la decarbonizzazione della mobilità. Non si tratta quindi di rimpiazzare ma di affiancare, di complementarità o ancora meglio di varietà di soluzioni in grado di ridurre fortemente le emissioni di anidride carbonica, calcolate sull’intero ciclo di vita, generate dal settore trasporti».

I sostenitori «senza se e senza ma» dell’elettrico sono avvisati. n

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