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Effetto parabrezza

Effetto parabrezza

Una serie di studi mette in guardia su come il numero di insetti intorno a noi si sia ridotto a causa dei cambiamenti climatici e dell’inquinamento da pesticidi. Ma per provarlo non servono complicate dimostrazioni scientifiche. Basta osservare il cristallo anteriore dell’auto in estate…


Era un classico estivo. Con l’arrivo del caldo gli automobilisti dovevano fermarsi nelle aree di servizio e, muniti di secchio con acqua, sapone e tergivetro, eliminare faticosamente gli insetti spiaccicati a decine contro il cristallo anteriore (che tornava regolarmente a «impastarsi» degli sfortunati artropodi pochi minuti dopo). Come la gravità regola tutti i fenomeni celesti dell’universo conosciuto, così la legge del parabrezza, potremmo definirla in questo modo, sembrava governare l’universo delle autostrade, delle gite fuori porta e delle macchine dirette a tutta velocità verso i luoghi di vacanza.
Senonché, l’effetto è scemato nel corso del tempo: a partire dagli anni Duemila sono stati sempre meno gli insetti investiti. L’hanno notato pochi viaggiatori, ma il fatto non è sfuggito agli entomologi. Sia perché empiricamente e con una certa dose di sgomento hanno visto mancare l’oggetto dei loro studi mentre erano alla guida, sia perché a un certo punto sulla rivista Science è uscita una pubblicazione che ha fotografato il fenomeno. Un lungo studio condotto in Germania usando speciali trappole sosteneva che dal 1989 al 2013 la massa totale di insetti si era ridotta di ben il 78 per cento. Quando si obiettò che l’effetto parabrezza persistesse ma fosse meno visibile a causa dell’aerodinamica delle auto moderne, sulle stesse pagine di Science l’entomologo tedesco Martin Sorg ribatté: «Io guido una Land Rover che ha l’aerodinamica di un frigorifero e di insetti spiaccicati sul parabrezza non ne vedo quasi più». Studi successivi non fecero altro che confermare la drastica diminuzione degli insetti, dalle falene ai coleotteri, dagli anisotteri agli zigopteri, per non parlare di api, vespe e farfalle.

La novità è che adesso l’effetto parabrezza è stato misurato con tutti i crismi del metodo galileiano e della statistica da un gruppo di ricercatori inglesi del cosiddetto «Buglife project». Questi ricercatori hanno reclutato normali cittadini in un colossale esperimento dell’«effetto parabrezza» (che nel frattempo si è meritato la pagina Windshield phenomenon su Wikipedia). Per non compromettere la visione alla guida, ai partecipanti veniva chiesto di valutare la quantità degli insetti spiaccicati non tanto sul vetro dell’auto, ma sulla targa anteriore, opportunamente pulita all’inizio di una gita fuori porta. Lawrence Ball, autore dello studio e ricercatore del Kent Wildlife Trust, fornisce qualche numero: «La raccolta dei dati è avvenuta su una finestra temporale di ben 17 anni e si è giovata in tempi recenti di una app chiamata Bugs matter, che ci ha permesso di coinvolgere un numero enorme di persone. Confrontando 599 viaggi nel Kent effettuati nel 2019 con 3.348 viaggi nel 2021 in tutto il Regno Unito, e considerando anche 14.466 viaggi nel 2004, siamo giunti alla conclusione che il numero di insetti spiaccicati è diminuito del 58,5 per cento tra il 2004 e il 2021. Se poi vogliamo andare a guardare le singole regioni, direi che la decrescita dell’effetto parabrezza ha riguardato proprio l’Inghilterra con il 65 per cento di diminuzione. Naturalmente, l’esperimento ha prodotto dati molto più particolareggiati. Abbiamo condotto un’analisi statistica che ci ha permesso di valutare gli effetti contingenti sul “ritmo di impatto” dell’anno in corso, del periodo di un giorno, della temperatura media durante il viaggio, della velocità media dell’auto, delle miglia percorse e del tipo di strada».
Se si scorre la letteratura scientifica sull’argomento, questi dati sono coerenti con esperimenti analoghi effettuati con altri criteri, in particolare l’uso delle trappole, negli ultimi quarant’anni.
Per fare qualche esempio, nel 2014 un meta-studio su Science deduceva che il 33 per cento delle specie in ogni ordine era in forte declino, nel 2017 uno studio in Germania suggeriva un calo del 76 per cento in 27 anni nella biomassa degli insetti con ali, nel 2019 uno studio olandese riportava un declino dell’84 per cento nelle zone rurali e boschive.
Sulle cause del declino tutte le ricerche sono in pieno accordo: sebbene il vigore delle popolazioni di insetti sia di volta in volta influenzato dalle malattie, dal meteo, dalla predazione e dai cicli di attività, a questi fattori si aggiungono ora quelli di origine antropica, cioè legati alle attività dell’uomo: dal cambiamento climatico all’erosione del suolo, all’inquinamento da pesticidi e all’invasione di specie non native del luogo (le «specie aliene» si possono diffondere per molti motivi, il principale dei quali è il trasporto involontario come conseguenza dei turbo-commerci della globalizzazione).
Altri studi certificano nella popolazione degli insetti fenomeni quali l’accorciamento o l’atrofia delle ali e il ridimensionamento del corpo, tutti imputabili agli effetti dei cambiamenti climatici. Inutile ricordare che le conseguenze di questo fenomeno si riverberano sull’uomo. Siamo parte di una catena alimentare costituita dai rapporti tra gli organismi dell’ecosistema. Se diminuiscono gli insetti, lo stesso accade ai loro predatori. E il mondo vegetale fa parte di questo delicato meccanismo. «Non è solo un problema se spariscono le api, c’è un’ampia gamma di insetti che contribuiscono all’impollinazione: tre quarti delle piante da fiore e circa un terzo delle colture alimentari dipendono dal loro lavoro» ricorda il giornalista inglese Oliver Milman, che ha appena pubblicato il libro The Insect Crisis: the fall of the tiny empires that run the world (tradotto: «La crisi degli insetti: la caduta dei minuscoli imperi che guidano il mondo»).

La cosa curiosa è che perfino gli entomologi sono una specie in via di estinzione, come certificato da diversi studi. Per esempio, un articolo su Popular Science del 2018 racconta come viene data meno attenzione agli insetti nei corsi universitari di biologia e nei libri di testo mentre si assiste a uno spostamento dalle specializzazioni in entomologia a quelle in genetica. Stiamo parlando di quegli esseri che con le loro architetture e i loro comportamenti bizzarri, troppo spesso quasi umani, avevano affascinato personalità come Franz Kafka e Vladimir Nabokov, Jean-Henri Fabre e Italo Calvino per non parlare di grandi biologi come Edward Wilson. La fine degli insetti, come altre drammi della storia, si accompagna dunque a una sorta di rimozione dalla coscienza collettiva. Ma questa considerazione è solo frutto di un’osservazione delle cose umane, non di un brillante esperimento condotto sui parabrezza delle auto.

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