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Tecnologia

Privacy, Apple vuole dare il pieno controllo agli utenti

Una nuova opzione del sistema operativo consente di scegliere se essere tracciati per fini pubblicitari, concedendo il consenso alle singole app oppure negandolo. A una o a tutte in blocco

Mentre Facebook è nella tempesta per i dati sottratti ai suoi iscritti, Apple lancia un segnale doppio: da una parte ribadisce la sacralità della privacy, un «diritto fondamentale» scolpito nella sua filosofia, dall'altro lancia strumenti per tutelarla al meglio. Non con una formula, ma facendo leva sulla consapevolezza degli utenti, incitandoli ad agire. Mettendo in campo funzioni inedite per comprendere con chiarezza cosa viene fatto con le singole informazioni; agevolando la possibilità di fare un passo indietro, di fermarne la diffusione, in maniera semplice e intuitiva.

Il primo passo è stato il lancio di una sorta di etichetta nutrizionale, che spiega a quali dettagli ogni singola applicazione ha accesso, pure per verificarne la coerenza: per esempio, potrebbe suonare parecchio bizzarro che il software di una tastiera possa monitorare costantemente la nostra posizione. Di sicuro, per riconoscere accenti e vocali non è rilevante il nostro indirizzo. La prossima mossa, che verrà introdotta con l'aggiornamento imminente di iOS 14.5 e iPadOS 14.5, dunque trasversale ai principali dispositivi di Cupertino, obbligherà le app a ottenere il consenso dell'utente prima di tracciare i suoi dati, tipicamente per fini pubblicitari.

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Alla base c'è una lezione illustre, quella di Steve Jobs. Che già nel 2010 affermava: «Penso che le persone siano intelligenti e che alcune vogliano condividere più dati di altre. Quindi chiedi. Chiediglielo ogni volta. Fino a quando non ti diranno di smetterla perché si sono stancate di sentirselo chiedere. Spiega con precisione alle persone cosa farai con i loro dati». Ecco, l'aggiornamento di Apple prende alla lettera tale insegnamento. Dentro le singole applicazioni apparirà un piccolo menu, un rettangolo di testo simile a quello che chiede se un servizio può usare la propria posizione, accedere alle foto o fare le telefonate. La domanda suonerà più o meno così: «Vuoi consentire alla app x di tenere traccia delle attività che svolgi nella app e sui siti web di altre aziende?». Si potrà, di fatto, rispondere sì oppure no. «Consenti» o «Chiedi all'app di non eseguire il tracciamento». E in questo secondo caso, lo sviluppatore riceverà un messaggio chiaro. Un divieto, una sorta di «non farlo, non puoi».

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Non sarà Cupertino a chiudere i rubinetti, a bloccare la trasmissione di informazioni a terze parti, ma la volontà dell'utente «sarà un messaggio potente lanciato dal sistema operativo». Al quale converrà conformarsi, «prenderlo molto sul serio». Perché, al contrario, «l'impatto per il business potrebbe essere drammatico». A dirlo è Apple stessa: ha fatto sapere che vigilerà, tramite controlli continui e rigorosi.

Nel messaggio in cui esprimere la propria preferenza si potrà leggere che i dati saranno usati per mostrare pubblicità personalizzata; nel menu delle impostazioni del dispositivo, alla voce privacy, nella sezione «tracking», si potrà decidere se ricevere tutte le volte questa richiesta. Nel caso, cambiare idea, fare marcia indietro, revocare il consenso alle applicazioni alle quali si è già dato il permesso. O concederla a qualcuno in particolare, magari un quotidiano online o un servizio che si reputa particolarmente meritevole o virtuoso e quindi va aiutato, sostenuto.

In caso contrario, spegnendo l'opzione che invia la domanda a esprimere il consenso (sarà accesa di default), tutte le app presenti sul telefono o sul tablet riceveranno l'avviso univoco: questo utente non vuole che la sua attività sia monitorata, né trasmessa ad altri. La società californiana ha scelto questa strada pure sulla scia dei siti web che domandano costantemente se consentire i cookie oppure no. Ci sta che qualcuno non ne possa più di veder lampeggiare il medesimo quesito per ogni app installata.

Sia chiaro, Apple non vuole trasmettere un atteggiamento punitivo nei riguardi degli sviluppatori. Riserva questo trattamento anche a sé stessa, ai programmi che sviluppa internamente. Come già fatto con Safari, implica anzi afferma che un binomio sano tra la misurazione e l'efficacia dell'advertising e la privacy sia possibile. Auspicabile. Un metodo è fornire dati aggregati, non riferiti a un singolo, per mostrare quali campagne hanno più effetto e quali meno. Per saperne di più, l'azienda ha anche una pagina in italiano dedicata alle sue politiche in fatto di privacy. Qui, attraverso vari approfondimenti, si può capire nel dettaglio cosa succede ogni volta che si compiono semplici azioni come consultare il meteo, leggere le notizie o dare un'occhiata alla situazione del traffico. Quali dati che vengono condivisi senza rendersene conto.

Quella della pubblicità online è un'industria che vale 227 miliardi di dollari l'anno. Mette insieme una mole gigantesca di informazioni sulla nostra vita per venderci contenuti in linea con i nostri gusti e le nostre preferenze. Non è niente di nuovo. Che un'azienda decida di renderci consapevoli di cosa accade dietro le quinte dei banner, di darci la scelta se alimentarli come sempre oppure un po' meno, è di sicuro qualcosa di buono.

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Marco Morello

Mi occupo di tecnologia, nuovi media, viaggi, società e tendenze con qualche incursione negli spettacoli, nello sport e nell'attualità per Panorama e Panorama.it. In passato ho collaborato con il Corriere della Sera, il Giornale, Affari&Finanza di Repubblica, Il Sole 24 Ore, Corriere dello Sport, Economy, Icon, Flair, First e Lettera43. Ho pubblicato due libri: Io ti fotto e Contro i notai.

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