L’Arabesque di Chichi Meroni ridisegna l'idea di concept store
Moda

L’Arabesque di Chichi Meroni ridisegna l'idea di concept store

Immersa fin dall'infanzia in mondi multipli, architettura, design e moda, che si influenzano a vicenda, la poliedrica e coraggiosa imprenditrice Chichi Meroni, appassionata artista, designer, interior decorator e stilista, rinnova e rilancia il progetto L'Arabesque, cult store della Milano bene dal 2010, trasformato in spazio multifunzione con un centrale spettacolare negozio architettonico inedito in Italia e forse in tutta Europa.

«Era da tempo che sentivo l'esigenza di rinnovare spazi e brand» afferma la proprietaria Chichi Meroni, «sono affascinata dal Giappone, dal sofisticato minimalismo dell'architettura giapponese e dalla sua capacità di dare un valore spirituale al vuoto. Dopo aver visitato la grande cupola del Teshima Art Museum di Ryue Nishizawa, le isole di Inujima con l'opera-installazione di Haruka Kojin Contact Lens e l'isola di Naoshima con le opere di Yayoi Kusama ho pensato a uno spazio che non fosse un semplice contenitore espositivo ma che potesse avere un'interazione dinamica con il visitatore».

Duecentosettanta metri quadri su un unico livello ricavati al piano terra di un palazzo con struttura in cemento armato e centoquaranta metri quadri di parete forata da bolle che sembrano galleggiare dentro l'architettura, progettati con il team di architetti Giovanni Pacciani e Claudio Bignazzi, in un'alternanza di volumi avvolgenti, sinuosi, accoglienti.

Le aperte e luminose vetrate sotto il portico di Largo Augusto 10, nel cuore di Milano, danno il suggestivo sguardo d'insieme già all'esterno dello spazio candido e lunare, dove capi e accessori sono gli altri protagonisti sinceri, insieme a pezzi di arredo degli anni Cinquanta e Sessanta, altra passione e collezionismo della Meroni.

L'esperienza fuori e, ancor più coinvolgente, dentro, si rivela onirica e al tempo stesso tecnologica, un luogo che è già punto di riferimento per la moda e il design, in continua evoluzione e in perenne trasformazione, esattamente come è diventata a livello internazionale la città meneghina che lo ospita.

Il negozio di moda non parla di avanguardia e coraggio imprenditoriale da solo, affiancato e collegato all'adiacente libreria d'arte, allo spazio nomade riservato a fragranze, Haute Parfumerie e gioielli, allo showroom di design e arredo, all'indirizzo segreto per il vintage e, infine, al cafè e ristorante ideali per la una pausa relax e per provare una cucina interessante, non così usuale in questo distretto di Milano.

Le collezioni di abbigliamento e accessori soddisfano tre mercati, Donna, Uomo e Bambino, con alcune capsule disegnate da proprio da Chichi Meroni.

Gli occhi si illuminano e scintillano a questa donna talentuosa quando racconta questa nuova avventura; abituata da sempre a rischiare e rivoluzionare tutto, dalla metà degli anni Settanta quando lasciata l'Argentina e Buenos Aires torna in Italia e crea a Milano il suo studio di design per interni e giardini, edita il libro 'C'era una volta a tavola' pubblicato da Giorgio Mondadori e fonda il suo atelier di Largo Augusto con la collezione La Rêverie, esposta anche in Brera nel suo Pois Créatif La Rêverie.

Questo luogo sorprendente, multidimensionale e fluido, senza rigidi divisioni e schemi, accoglie la distribuzione commerciale e l'ospite in un flusso e percorso libero, in cui è piacevole passeggiare, avvolti da un sapiente uso della illuminazione, altra protagonista scenografica, con 18 lampade a sospensione che rievocano i pianeti, insieme alle strutture, alle appenderie e ai portakimono ispirati ai lavori dell'architetto Giò Ponti.

Forse una galleria, una installazione, dove non esistono angoli e dove linee ondulate giocano a rincorrersi nell'emozionale monocolore bianco.

Cosa rappresenta l'architettura dello spazio?

«L'Arabesque ora si snoda intorno a sette lune bianche che ricordano e guardano a un futuro che porto nel cuore, quasi una sintesi alchemica concentrata di un concept store dal sofisticato eppur puro minimalismo di impronta giapponese, perché sono affascinata dalla loro capacità di dare un'interazione dinamica e uno scenario fluido e inaspettato. Il gioco onirico verte su sette sinuose lune e un paesaggio bianco che si intrecciano in un continuo gioco di prospettive a getto continuo».

Come si pone lo spazio multifunzione e i suoi prodotti nel panorama milanese ed internazionale?

«Le collezioni contemporanee e couture di abbigliamento e accessori uomo e donna, da me disegnate, non si basano sul concetto più consueto di moda perché le idee fonte di ispirazione nascono sempre altrove: dall'architettura, dal design, da un racconto o da un film, la moda diviene poi un approdo. Spesso il monocolore, nero, blu arabesque e tocchi di bianco, costruisce sottrazioni e va all'essenza, senza mai dimenticare il mondo dell'haute couture nei suoi volumi e nelle sue geometrie, nei tessuti prestigiosi che con la lavorazione sartoriale rendono i capi unici».

Qual è la sua visione dell'abbigliamento maschile e cosa funziona in generale e nel suo negozio?

«Per me, nella collezione uomo restano gli stessi importanti capisaldi: tessuti pregiati, volumi sartoriali e colori essenziali come nero, blu e bianco. Credo non abbia senso adesso dover distinguere nettamente le collezioni uomo o donna, tranne che per alcuni temi o dettagli che appartengono alla storia della moda classica maschile che, fra l'altro, non vede tramonti».

Ci vuole molto coraggio a essere creativi e ad investire, specialmente adesso.

«Penso che potere e avere la fortuna di applicare la creatività al lavoro, in un periodo così complesso e difficile, su un progetto così inusuale, abbia davvero un significato di forza e coraggio, per andare non solo avanti ma per credere in un futuro migliore e in quello di Milano, la mia città, dalla quale sono partita e a cui sono ritornata. Credo che Milano, la creatività, il coraggio, siano fari che non si devono spegnere mai e che ci voglia impegno costante per illuminare strade e percorsi nuovi che passino assolutamente anche attraverso le emozioni».

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Barbara Tassara