
Mattero Renzi vuole soprattutto elezioni al più presto. Anche per questo punta sul sistema elettorale in vigore dal 1993 al 2001: il cosiddetto Mattarellum. Vale a dire, timido maggioritario corretto con un (bel) po’ di proporzionale (foto all’Assamblea nazionale del Pd a Roma, 18 dicembre 2016)

Matteo Renzi alla riunione della Direzione Pd di lunedì 12 dicembre

Matteo Renzi

Il presidente del Consiglio Matteo Renzi

Matteo Renzi durante l’incontro alla Leopolda di Firenze, 5 novembre 2016

Il presidente del Consiglio Matteo Renzi – Roma, 15 ottobre 2016

Il presidente del Consiglio Matteo Renzi – 27 settembre 2016

Matteo Renzi con Francois Hollande e Angela Merkel durante la conferenza stampa sulla nave “Garibaldi” davanti a Ventotene , 22 agosto 2016

Il presidente del Consiglio Matteo Renzi

Il premier italiano Matteo Renzi (a destra) con la nuotatrice Alessia Polieri e il Presidente del Coni Giovanni Malagò – 4 agosto 2016

Il Presidente del Consiglio Matteo Renzi con un gruppo di atleti italiani a Rio de Janeiro – 4 agosto 2016

Il premier Matteo Renzi

L’idea dello spacchettamento non convince proprio il premier Renzi

la cancelliera tedesca, Angela Merkel e il premier Matteo Renzi

Il presidente del Consiglio Matteo Renzi con il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan

Il Presidente del Consiglio Matteo Renzi in Senato durante la discussione in Aula delle mozioni di sfiducia al Governo, Roma, 19 Aprile 2016
Questo 2017 è iniziato senza i botti della propaganda, senza gli effimeri annunci di una realtà che non c’è, senza la prospettiva fallace di un tempo dorato visibile solo ai giocolieri delle parole. Il volto sereno e il tono severo di Sergio Mattarella ci hanno introdotto a un 2017 che ha azzerato a reti unificate lo storytelling renziano e cioè quella melassa indigesta declinata ossessivamente su qualsiasi mezzo di comunicazione per quasi tre anni.
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Finito il governo delle astuzie, con una velocità oggettivamente inattesa, assistiamo alla rottamazione del rottamatore. Uno dopo l’altro cadono i pilastri del renzismo, di quella narrazione che immaginava un Paese inesistente ma che pervicacemente lo voleva a immagine e somiglianza di un premier fanfarone.
Dopo la bocciatura popolare del referendum costituzionale, architrave di un’Italia che doveva garantire a Renzi il monopolio delle istituzioni, l’albero del renzismo ha iniziato a perdere i suoi frutti. Ed erano frutti avvelenati o bacati, lucidati solo da quella propaganda che conta sul quasi totale asservimento dei telegiornali nazionali e di alcuni importanti quotidiani.
Il caso Mps si è manifestato in tutta la sua tragicità ed è venuta a galla l’insipienza di un governo che non intervenne a tempo debito pur sapendo a quali rischi stava per esporre i risparmiatori e l’intero sistema del credito.
Sul fronte del lavoro il Jobs act ha improvvisamente manifestato tutti i suoi limiti: gli effetti della “droga” degli incentivi per la creazione di posti di lavoro sono stati analizzati con una serenità finora sempre assente; così come l’utilizzo dei voucher che non vanno cancellati tout-court ma riportati alla loro originaria destinazione.
La gestione dell’immigrazione unita alla lotta al terrorismo induce a pensare l’avvio di un nuovo approccio, dopo lo stupido buonismo e la negazione in radice di qualsiasi emergenza da parte del duo Renzi-Alfano: c’è voluto ancora una volta il presidente Mattarella per spiegare che “non rendersi conto dei disagi e dei problemi causati alla popolazione significa non fare un buon servizio alla causa dell’accoglienza”.
È passato meno di un mese dalla fine del governo Renzi, un tempo brevissimo ma sufficiente per sotterrare un’altra riforma che avrebbe dovuto essere epocale: la “Buona scuola”. Seppure ispirata da principi sacrosanti, l’incapacità di fermarsi e fare autocritica corre il rischio adesso di far precipitare nella confusione totale professori e alunni, con il concorso di un ministro inadeguato.
Di Italicum, poi, nessuno parla più: la riforma elettorale più bella del mondo approvata con il voto di fiducia è rimasta improvvisamente senza padri. Ecco, fatte rotolare queste pietre ditemi voi: che cosa resta del tempio del renzismo, di quella stagione che lo stesso Pd ha mandato in soffitta in meno di un mese feste comprese? Rimane giusto lui, il livoroso e vendicativo Renzi. Ovviamente non si rassegnerà, fingerà di aver capito la lezione. Sarà un’altra finzione, tanto oramai lo conosciamo.