Joe Brainard, 'Mi ricordo' - La recensione
© Chris Felver / Getty Images
Lifestyle

Joe Brainard, 'Mi ricordo' - La recensione

Il libro che tutti siamo tentati di scrivere lo pubblicò quarant'anni fa un artista americano, attingendo al suo privato per creare un'opera che parla a tutti

Pittore, poeta, scenografo, grafico e scrittore, Joe Brainard era fra gli artisti emergenti della scena gay del Lower East Side newyorkese nel fulgido periodo a cavallo fra Sessanta e Settanta. Intorno al 1978 si ritirò dal mondo dell'arte, misteriosamente ma definitivamente e senza rimpianti, passando il resto della vita (fino alla morte per Aids nel 1994) a leggere e socializzare con le tante persone che amava, ricambiato.

Nella sua biografia è contenuto forse il seme di questa folle, geniale opera scritta a 28 anni: Mi ricordo, un "turbinoso collage" fatto di circa 1500 rimembranze tutte con il medesimo incipit del titolo, alcune di una riga appena, altre di mezza pagina al massimo. Divenuto un cult nella New York di metà anni Settanta e pubblicato per la prima volta in Italia quest'anno, è un libro che vanta, come si suol dire, innumerevoli imitazioni. Nessuna delle quali ha però saputo eguagliare l'originale, come spiega Paul Auster nell'introduzione: "Ogni volta che apro il piccolo capolavoro di Joe Brainard ho la sensazione di leggerlo per la prima volta".

Il mix dei ricordi attinge tanto all'autobiografia quanto alla cultura iconoclasta dell'America pop e dei baby boomers, di cui Brainard smaschera le sacche di oscurantismo specie in campo sessuale. Auster si è divertito a raggruppare le tematiche più rappresentative: la famiglia, il cibo, i vestiti, il cinema, la Tv e la musica, la scuola e la chiesa, il corpo, i sogni notturni a occhi aperti, le festività, gli oggetti e i prodotti di consumo, il sesso, le riflessioni e divagazioni sul senso delle cose, le domande bizzarre che tutti prima o poi finiamo per porci. In altre parole, la vita nel suo ampio, articolato e disarticolato spettro.

È disarmante come Brainard riesca a parlare della corporeità - affettiva, simbolica, erotica - in maniera così spontanea, ironica, giocosa, a volte malinconica. Da cosa si prova a girare su se stessi finché si perde l'equilibrio alla paura che ti si rizzi davanti a tutti, il coraggio di rivelare le proprie esperienze e fantasie sessuali (erezioni, pompini, uccelli enormi, scoregge, masturbazioni sono ricordi piuttosto ricorrenti) fa semplicemente parte del suo "imperturbabile interesse per tutto ciò che il mondo gli offre".

"Mi ricordo il modo in cui la mano di un bambino ti stringe un dito, come fosse per sempre". C'è della poesia nel mazzo di folgoranti verità che ti agguantano d'improvviso. Il flusso di coscienza procede come l'acqua di un fiume quando incontra un mulino. Elevandosi con un moto (apparentemente) casuale, alcune riminiscenze affluiscono a coppie, a terzetti, a gruppi combinando sorprendenti leit motiv esistenziali, spesso dotati di intrinseca musicalità.

Mi ricordo di essermi guardato allo specchio e di aver visto un perfetto estraneo

Microverità, connessioni, illuminazioni, dettagli catturati con sguardo da pittore. Frammenti di pensieri che sicuramente, qualche volta, avevamo già pensato. Oppure no ma non è detto che un deja vu debba poggiare su un fatto realmente accaduto. La mia coppia preferita è questa:

"Mi ricordo che dopo che qualcuno se n'era andato pensavo alle cose che avrei voluto dire e non avevo detto".

"Mi ricordo quanto può farti male il rock'n'roll. Sa essere sexy e sfrenato anche se tu non lo sei affatto".

Joe Brainard
Mi ricordo
Lindau
pp. 170, 14 euro

I più letti

avatar-icon

Michele Lauro