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Perché i batteri resistenti sono peggio del Covid

Perché i batteri resistenti sono peggio del Covid

Se ne parla molto meno, ma i microrganismi che ormai non rispondono più alle terapie uccidono ogni anno più del coronavirus (e più di patologie come Tbc e Aids messe insieme). Per fermarli, una strada è quella di creare – con tecnologie tradizionali – vaccini contro i ceppi più temibili. Come racconta il microbiologo Rino Rappuoli.


Dovremmo averne paura, ma è come se la pandemia (e lo sfinimento che ha provocato in tutti noi) avesse cannibalizzato ogni altra «catastrofe» sanitaria: perché quella dei batteri che non rispondono più agli antibiotici è esattamente questo, un disastro mondiale che cresce ogni anno e sembra ormai impossibile da arginare. Se gli antibiotici non funzionano più, e di nuovi non se ne trovano, perché non puntare su altre armi, per esempio vaccini contro quei ceppi resistenti a quasi tutto? È la sfida lanciata da Rino Rappuoli, direttore scientifico del Biotecnopolo di Siena e coordinatore del MAD – Lab Monoclonal Antibody Discovery – di Fondazione Toscana Life Sciences (e honorary professor of Vaccinology all’Imperial College di Londra).

Abbiamo passato tre anni con il panico da Covid, ma delle infezioni che non si riescono più a curare si parla molto meno, come mai?

Tra gli scienziati è una cosa nota da anni ma, è vero, non guadagna così tanto l’attenzione generale. Eppure anche l’Organizzazione mondiale della sanità, e le Nazioni Unite riconoscono che è un enorme problema. Ogni anno, nel mondo, le infezioni dovute a batteri resistenti agli antibiotici uccidono più della Tbc e dell’Aids messi insieme.

Di quali cifre parliamo?

Si stima che, nel mondo, i morti per batteri resistenti siano cinque milioni l’anno, ed è una crescita inarrestabile. Se andiamo avanti così, per alcuni microrganismi presto non ci saranno più armi a disposizione. E questo non solo nei Paesi in via di sviluppo. In Toscana, fra il 2018 e il 2019 abbiamo avuto il caso del batterio Klebsiella, che non rispondeva più ad alcun antibiotico. Le persone morivano e per loro non c’era più niente da fare, avevamo esaurito tutte le terapie.

E nel mondo di questi esempi ce ne sono moltissimi. Una specie di pandemia sotterranea…

Sì, soprattutto se si pensa che per il Covid, in tre anni, le morti – almeno quelle accertate – sono state sei milioni, e il Sars-CoV-2 sta diminuendo il tasso di mortalità, mentre i decessi per infezioni resistenti sono, come si diceva, cinque milioni l’anno. Uno studio inglese di O’Neill, nel 2016, scriveva che se non si fa nulla per impedirlo, per il 2050 i morti per batteri resistenti supereranno quelle per cancro. E questo veniva detto quando le vittime erano 700 mila l’anno. Oggi il fenomeno è cresciuto molto più del previsto.

Perché non c’è un allarme di altrettanto impatto?

Perché il Covid il giorno prima non c’era e il giorno dopo c’era e ha fatto il giro del pianeta in modo velocissimo, ha fermato l’economia, ci ha rinchiuso in casa. Invece la resistenza agli antibatterici cresce pian piano, e ci stiamo abituando. È come una marea che sale, ma finchè non ci blocca il respiro non ci facciamo caso.

Quali malattie stanno avanzando in questo modo?

Ci sono ceppi del tifo ormai impossibili da curare, dal Pakistan stanno viaggiando nel mondo e non ci si può fare niente, l’unico modo per fermarli è un vaccino. Durante la mia precedente esperienza al GSK Vaccine Institute for Global Health di Siena ne abbiamo realizzato uno per il tifo oggi usato nel Nepal, per i bambini fino ai nove anni.

Quali sono i batteri più temibili?

Oms e il Cdc (il Centers for Disease Control and Prevention, ndr) hanno fatto una lista. Tra quelli che ci preoccupano, oltre al tifo, c’è il gonococco: negli anni Quaranta era sensibile a quasi tutto, ora è rimasto un solo antibiotico efficace, se anche quello non funziona più abbiamo finito le terapie possibili. Un altro batterio molto resistente è lo staffilococco, ci sono casi ovunque, anche in Italia. E poi la famiglia degli enterobatteri, come la klebsiella a Pisa ma un po’ dappertutto, e lo pseudomonas.

Per i virus esistono tanti vaccini, non altrettanto per i batteri, perché?

Vaccini contro batteri ne sono stati fatti, per il meningococco, lo pneumococco, il tetano, la difterite, malattie che causavano soprattutto mortalità infantile. Ma non ancora per batteri resistenti agli antibiotici. Non sono stati messi a punto anche per una questione economica: non c’era un sufficiente incentivo per le aziende, non vale la pena investire in un farmaco destinato solo a un certo gruppo di persone. E poi perché tanto c’erano già gli antibiotici. Solo che ora la loro efficacia è compromessa.

E come mai non si investe di più in questi farmaci?

Dal 1940 al 1970 c’è stata nelle aziende una grande innovazione, poi arrestatasi. Dagli anni Ottanta è mancata la scienza, che non è più riuscita a trovare qualcosa di nuovo. La sorgente di antibiotici si è prosciugata. Infine, quelli nuovi devono mostrare di essere migliori degli altri, e lo sviluppo clinico costa tantissimo a fronte di un mercato piccolo in termini di valore. L’industria così investe altrove, nelle terapie per tumore, malattie cardiovascolari, patologie autoimmuni.

Voi invece vi siete buttati in questa strada, perché?

Perché è un problema gigantesco e va affrontato. E poi, contrariamente agli antibiotici, per ora non esiste resistenza ai vaccini. Una volta sviluppato, un vaccino funziona e dura anche decenni.

Nel caso del Covid però non è così.

Il Covid è diverso, ha molte varianti. Però i vecchi vaccini batterici, come quello creato nel 1930 per la difterite, sono tuttora efficaci, e lo stesso vale per il tetano o per il meningococco, per cui un vaccino esiste da dieci anni e non si è rilevata alcuna resistenza.

È più difficile immunizzare contro i batteri o contro i virus?

Sicuramente contro i batteri. Mentre i virus hanno una sola proteina, tutti oggi conoscono la Spike del Sars-CoV-2, i batteri hanno centinaia di possibili target, risulta difficile capire su quale concentrarsi, qual è la cosa giusta da mettere in un vaccino. Noi con il MAD Lab presso Toscana Life Sciences ci stiamo lavorando e anche il Biotecnopolo si concentrerà su questo.

Fate da soli o collaborate con altri?

La maggior parte delle cose le facciamo qui, ma non abbiamo mai lavorato del tutto da soli. Io vado sempre a cercare i migliori al mondo, in questo caso collaboriamo con inglesi e americani. E anche il Biotecnopolo attiverà una rete di collaborazioni internazionali.

Come vi muovete, nel concreto?

Prima isoliamo gli anticorpi monoclonali umani e scopriamo quali proteggono dall’infezione, in laboratorio o nei modelli animali; poi andiamo a capire che cosa riconoscono questi anticorpi, e sappiamo che quello sarà la componente potenziale del vaccino. Su alcuni, come il gonococco, stiamo lavorando da tre anni per individuare il target giusto.

Per il Covid in un anno c’era già il vaccino…

È stato trovato rapidamente anche perché, al di là degli investimenti enormi, si è usato l’Rna, che nei batteri è invece molto difficile da utilizzare. Per i vaccini batterici procediamo con tecnologie più convenzionali, che però richiedono più tempo.

E poi i virus sono la forma più semplice di vita, anzi non si sa neanche se sono vivi o morti…

I virus non hanno una vita autonoma, sono un sistema di informazione genetica che quando entra nelle cellule umane genera altre particelle virali. Hanno bisogno di noi per sopravvivere e propagarsi. Mentre i batteri vivono da soli, non hanno bisogno di nessuno.

In prospettiva, chi dovrebbe proteggersi contro i batteri in una popolazione ormai poco disposta, dopo tre anni, a farsi continuamente vaccinare?

Dipende. In alcuni casi, come nei Paesi in via di sviluppo dove ci sono epidemie di batteri super resistenti, si vaccinano i bambini. Da noi essenzialmente bisognerebbe proteggere le persone a rischio.

E quali sarebbero?

Noi abbiamo una popolazione che invecchia, dopo i 60 anni si diventa più suscettibili alle infezioni, e spesso quando si finisce in ospedale è facile prendersi qualche virus nosocomiale che poi diventa un problema. Allora si potrebbe pensare che, da una certa età in poi, chi prevede di essere ricoverato od operato può proteggersi vaccinandosi contro i batteri resistenti che circolano in quell’ambiente.

E gli effetti collaterali?

I soliti già riscontrati nei vaccini in uso, febbre, indolenzimento localizzato… Anche perché sono creati partendo da tecnologie che usiamo da un secolo, e che hanno ormai dimostrato di essere sicure.

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