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Svizzera d’Arabia

Svizzera d’Arabia

Il crollo di Crédit Suisse, per un quinto controllato dai capitali delle monarchie del golfo, non incrina i rapporti tra quest’ultime e il governo elvetico. Il collante? Gli interessi di una potente comunità che arriva dal regno saudita e dagli emirati e si è perfettamente ambientata nella confederazione.


Il Covid-19 ha fatto anche cose buone. A metà aprile 2020, gli svizzeri hanno fatto sventolare sul Cervino la bandiera degli Emirati arabi uniti come gesto di solidarietà alla luce della pandemia e con un particolare pensiero ai tanti concittadini che vivono e lavorano in quel Paese. Gli Emirati hanno prontamente risposto issando il vessillo elvetico sugli edifici più alti di Abu Dhabi e Dubai, compreso il Burj Khalifa, che con i suoi oltre 828 metri è il grattacielo più alto del mondo. Oggi le bandiere non sventolano molto, in Svizzera. Il crollo del Crédit Suisse, controllato per un quinto da capitali arabi, ha fatto tremare le borse mondiali. E nell’ultimo anno, a causa della mancata neutralità sulla guerra in Ucraina, la confederazione ha visto andare via parecchi capitali. I legami con Emirati, Arabia Saudita e Qatar restano tuttavia molto solidi.

Crédit Suisse è (era) la seconda banca della Svizzera e nei giorni della grande paura si è fatta un po’ di confusione sui capitali arabi. Si è detto che non hanno voluto salvare l’istituto di credito, ma le cose non sono andate esattamente così e non c’è stato alcun tradimento. Anzi. Un anno e mezzo fa sono stati proprio quei capitali a salvare la baracca, permettendo di sottoscrivere un mega aumento di capitale. Alla vigilia del crollo, Saudi National Bank (partecipata al 37 per cento dal fondo sovrano del Regno) era il primo azionista con una quota del 9,9 per cento. Alle sue spalle, sono entrati con il 5 per cento ciascuno anche gli altri sauditi di Olayan Group e il fondo sovrano Qatar Holding. Tutti quei soldi, a cominciare dal miliardo e mezzo di euro versato da Saudi National, non sono però bastati.

Alla nuova richiesta di liquidità del management svizzero la risposta è stata un «no», ma era un diniego obbligato. Come ha spiegato a Bloomberg Tv il presidente Ammar Al Khudairy: «La risposta è assolutamente no, per molte ragioni oltre a quelle più semplici, che sono regolatorie e statutarie». Semplicemente, la banca saudita non ha e non aveva l’autorizzazione delle autorità svizzere a salire oltre il 10 per cento del capitale di Crédit Suisse. Non solo, ma come aveva dichiarato in occasione del suo ingresso a libro soci, Saudi National voleva soltanto fare un investimento finanziario e non aveva alcuna intenzione di comandare. Un investimento ben protetto, perché la decisione delle autorità svizzere di privilegiare la tutela degli azionisti rispetto agli obbligazionisti in sede di salvataggio è un bel favore ai capitali arabi.

Per l’economia svizzera, il settore dei servizi bancari, assicurativi e delle licenze rappresenta un quarto delle esportazioni e un terzo delle importazioni totali. In termini di consumi interni, secondo i dati del governo confederale, il comparto vale addirittura il 70 per cento del Pil. In questo quadro, l’Arabia Saudita è il secondo partner commerciale nel Medio Oriente, con esportazioni che nel 2021 valevano 2,3 miliardi di euro, mentre le importazioni in Svizzera erano praticamente nulle. A Riyad sono presenti le principali banche elvetiche, specie da quando il segreto bancario svizzero ha perso colpi, e nel regno lavorano mezzo migliaio di svizzeri. Inutile dire che mestiere fanno. Mentre a Ginevra e nei suoi splendidi dintorni si trovano varie residenze e proprietà dell’immensa famiglia reale saudita, che nei decenni scorsi spesso ha risolto proprio in Svizzera le sue molte contese.

A testimonianza del particolare rapporto tra i due governi, c’è anche il fatto che dal 2017 la Svizzera è «potenza protettrice» (mandatario, in sostanza) per rappresentare gli interessi sauditi in Iran e viceversa. Tuttavia Riad ha appena riaperto i canali diplomatici diretti con Teheran, grazie alla mediazione della Cina. I nuovi accordi tra iraniani e sauditi sono ancora tutti da scrivere e i problemi da risolvere, a cominciare dal nucleare, sono parecchi, ma in Svizzera è suonato un campanello d’allarme. Di sicuro, ora Berna rischia di essere meno importante.

Un’operazione che in Svizzera ha suscitato un certo clamore è stata la mossa, nello scorso dicembre, della Arab Bank Switzerland (Abs), che gestisce capitali per oltre 6 miliardi. La banca della Giordania, arrivata nel 1962, ha comprato un nome storico della finanza ginevrina come la Gonet & Cie, che amministra in giro per il mondo 5,5 miliardi. Non sono certo i numeri del Crédit Suisse, che aveva in gestione 1.600 miliardi di euro, ma Gonet ha 175 anni e un bel nome. E il suo passaggio in mani giordane non è passato inosservato. I numeri invece tornano grandi quando si passa agli Emirati arabi uniti e a quella formidabile piazza finanziaria che è Dubai, paradiso fiscale e del segreto bancario ormai inarrivabile perfino per gli gnomi di Zurigo, che dal 2019 devono assistere a una continua fuga di capitali anche verso Singapore. Gli Emirati sono oggi il primo partner commerciale della Svizzera nella regione araba con 4,2 miliardi di euro di esportazioni e 7,9 di importazioni. Anche qui le banche elvetiche sono presenti in forza, gli investimenti diretti nel paese del Golfo rappresentano il 10 per cento del totale e i cittadini svizzeri residenti sono circa tremila.

Da segnalare anche la presenza di accordi di collaborazione tra agenzie e società delle due nazioni nei campi delle criptovalute e delle blockchain. Tuttavia alcune nuvole ci sono anche qui, per ragioni oggettive. In occasione della guerra tra Russia e Ucraina, la Svizzera ha in qualche modo incrinato la sua fama di Stato neutrale perché ha appoggiato le sanzioni europee a Mosca e molti capitali, non solo russi, si sono spostati con discrezione verso Dubai e dintorni. Meno vistosi i rapporti tra la Svizzera e la finanza del Qatar, a parte quel 5 per cento del Crédit Suisse nelle mani del fondo sovrano di Doha, il medesimo che in Italia ha immobili valutati oltre cinque miliardi (a cominciare dalla maggioranza di Porta Nuova a Milano). Con poco meno di 800 milioni di interscambio annuo, il Qatar è il quinto partner commerciale della Svizzera nel Medio Oriente. Ma per il Paese della famiglia Al Thani la Svizzera è uno snodo fondamentale delle proprie attività di lobbying, portate avanti con metodo in tutte le organizzazioni internazionali legate allo sport in vista dei Mondiali di calcio dello scorso novembre. Il «cip» puntato sul Crédit Suisse non è stata una mossa molto fortunata, ma i rapporti tra i due governi sono ottimi e non mancheranno occasioni di riscossa. Senza scomodare altre pandemie, anche la bandiera granata dei qatarioti ha tutte le carte in regola per sventolare sul Cervino.

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