Cantano testi violenti, osceni, senza speranza. Gli idoli dei più giovani sono del tutto inaccettabili con il metro delle vecchie generazioni. Eppure parlano di un disagio che non può venire ignorato.
Porta una maschera Junior Cally, come il Fantasma dell’Opera. Ma lui, a differenza del protagonista del celebre musical, non ha niente di romantico. Il rapper romano, che dovrebbe partecipare alla settantesima edizione del Festival di Sanremo, nel 2018 cantava così: «Lei si chiama Gioia, beve e poi ingoia. Si chiama Gioia perché fa la troia, sì, per la gioia di mamma e papà. L’ho ammazzata, le ho strappato la borsa, c’ho rivestito la maschera». Osceno, sessista, violento. Parole che fanno vomitare. Perché, come diceva Nanni Moretti, le parole sono importanti. Cally ha scatenato l’ira trasversale e per una volta compatta del mondo politico e di una parte dello showbiz. Da Matteo Salvini a Nicola Zingaretti, da Michelle Hunziker a Ornella Vanoni tutti sono d’accordo: non deve salire sul palco dell’Ariston.
Ma sapete cosa ascoltano i vostri figli nelle cuffie? Forse pochi ne hanno veramente un’idea. Per esempio: «Oh ma’ sto sborrando, sì sopra tua figlia, ehi». Spiega una 13enne: «Mi piace la trap, dà molta carica, l’ascolto mentre vado a scuola. Mi aiuta a sentirmi sicura. Certo a volte possono dare fastidio. Però è soltanto una strofa. Non mi sono mai accorta che hanno parole così violente. E poi che senso ha censurarle? Non si può tornare indietro. Siamo nel 2020, mica vorrete costringerci ancora ad ascoltare Mozart».
La trap italiana, importata dai ghetti di Atlanta e riadattata alle nostre periferie, è la musica più amata dai ragazzini. Sesso&droga in loop. Il video Lucciole di Ketama126, rapper romano, («a Roma sono come il nuovo Papa»), mixa ostriche e qualsiasi tipo di stupefacente. «A casa c’ho il Polo Nord», gridano i potentini FSK in una delirante metafora della cocaina. La stagnola su cui fumare eroina e crack è ormai sdoganata in tutti i video con una leggerezza devastante.
Individualisti, edonisti sfrenati e terribilmente depressi. La trap è cupa e nichilista. Purple Drank, lo sciroppo alla codeina mescolato alla Sprite, e Xanax, la nuova coperta di Linus dei nostri figli. Disagio psichico e benzodiazepine.
Noia marcia, tatuaggi sulla faccia e marchi di moda continuamente citati come in American Psyco, il libro cult degli anni Ottanta di Bret Easton Ellis: Gucci, Balmain, Philipp Plein, Balenciaga, Moët&Chandon. Violenza splatter, mitra e pistole, malavita, spaccio, il mito dei narcos. «Spostavamo pacchi, ora alziamo stipendi». D’altronde come racconta Valeria, 14 anni, che frequenta una scuola del centro di Milano: «Ascolto i Santana M.O.E, parlano di droga, intanto tutti i miei amici fumano e i più grandi (15 anni…) si fanno di coca. Conosco dodicenni che spacciano». Lo aveva già profetizzato nel 2004 il rapper milanese Bassi Maestri, agli albori del fenomeno: «Bambini che scelgono se spacciare ai tempi in cui io rubavo merende».
Ed eccoli i milanesi Santana M.O.E, il loro pezzo «bomba» è Mezzo Chilo (e non di focaccia), il clip è girato a Tirana: «Fumo mezzo chilo, stupida puttana aspetta in camerino».
E voi che pensavate che i vostri piccoli fossero ancora lì a trastullarsi con gli innocui Rovazzi e Fedez : «Li ascoltavamo alle elementari, anche Ghali ormai è roba da bambini», spiega un adolescente. Considerati troppo «mainstream» pure Sfera Ebbasta, che resta comunque «il senatore» della trap, e Achille Lauro che ormai va ospite da Mara Venier e ritorna a Sanremo. Oggi sulla scena ci sono: FSK, Noyz Narcos, Shiva, Lazza, VillaBanks, ValePain, Tedua, Izi, Capo Plaza, Drefgold. E poi la star del momento Massimo Pericolo: 28 anni, di Gallarate, fan di Eminem, nel 2004 finisce in carcere dove inizia a scrivere i suoi testi: «Fotte un cazzo di niente. Si drogano tutti i miei broski. Le tue amiche mi succhiano il cazzo. L’alcool ci rende più forti. L’amore ci rende più stronzi. Voglio più soldi. Parlo solo di droga e puttane. Voglio solo una vita decente». La sua canzone 7 Miliardi ha fatto in un mese oltre un milione di visualizzazioni. Idolatrato perché: «Spacca».
Musica che nasce dalle macerie di una delle peggiori crisi economiche. Ragazzi cresciuti nelle periferie, molti senza un padre, tirati su da madri che si spaccano di lavoro per la famiglia. Quando finalmente arrivano, devono ostentare, come spiega il giornalista Ivan Carozzi che sul fenomeno ha scritto il libro più interessante, L’età della tigre (Il Saggiatore): «Non c’è nessuna critica rispetto al capitale o alla società dei consumi. Il successo e la realizzazione di sé sono narrati per mezzo di una cronaca delle merci, dei trofei, dell’outfit, degli status symbol, dei marchi commerciali, e grazie a una conta rituale delle donne possedute, della marijuana fumata, del tutto esaurito ai concerti, delle visualizzazioni, dei dischi d’oro conquistati e appesi ai muri». Figli griffati delle banlieue. I due Rolex esibiti da Sfera Ebbasta sul palco del concertone del Primo Maggio. «Mi vendo un polmone per comprarmi la Mustang», gridano gli FSK in No spie. La filosofia è: «Voglio fare la spesa da Gucci, mica fare la spesa coi punti». E chi non ce la fa è un perdente: «Un inetto. O forse un bufu (acronimo di «by us fuck U», per quanto ci riguarda, vaffanculo, ndr) per usare un neologismo messo in circolo dalla Dark Polo Gang e poi finito sulla Treccani», spiega Carozzi. Il messaggio è devastante. Ecco come reagisce un adolescente: «Basta parlare di droga e troie per fare i soldi». Monologhi individualisti, ego trip, sbudellamento lirico. Il sesso è veloce, divorato, ripetitivo, assolutamente squallido. E a tratti deprimente: «Voglio portarti a letto in una bara di mogano». Anche no. E le ragazze sono solo trofei da esporre. «Hey troia, vieni in camera con la tua amica porca», canta Sfera, «’Ste puttane da backstage sono luride. Sono scorcia-troie. Siete facili, vi finisco subito». E poi la Dark Polo Gang: «Metti un guinzaglio alla tua ragazza, ci vede e si comporta come una troia». E ancora i trapper romani: «Mi vede e dopo apre le gambe, la scopo e poi si mette a piangere». I Villa Banks sono più sintetici: «Mettiti a novanta e te lo puccio».
È un mondo di uomini. Chadia Rodriguez è una delle poche donne. Padre marocchino, madre spagnola, è cresciuta a Torino. Nei video è sexy e aggressiva, in 3G ai colleghi spiega: «Voi siete sacchi pieni di sperma», in Bitch2.0: «Vendevo foto del culo in coppia con la mia ex socia». Bitch, puttana. La parola è ripetuta come un mantra milioni di volte. E così non significa più niente, come spiega Gemma, 13 anni: «Ormai troia non ha più nessuno significato. Prima i maschi lo usavano per denigrare una ragazza facile, oggi lo dicono in continuazione a tutte. E davvero non so più cosa voglia dire».
