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Mario Lavezzi: «La mia vita in musica, con Mogol»

Mario Lavezzi: «La mia vita in musica, con Mogol»

Per il grande paroliere ha scritto le note delle più belle canzoni. Dalla sua creatività sono nati gli spartiti dei capolavori di Dalla, Morandi e Loredana Bertè. Viaggio nella storia dei brani che hanno fatto epoca, guidati da chi li ha resi immortali.


Che ci fossero le canzoni nel suo destino Mario Lavezzi lo ha capito da giovane. «Mentre ero al militare scrissi per i Dik Dik Il primo giorno di primavera. Musica mia, testo di Mogol, produzione e arrangiamento di Lucio Battisti. Risultato? Un milione di copie e una Porsche identica a quella di James Dean. Quanto mai l’ho venduta…Oggi sarebbe un pezzo da collezione» racconta immergendosi nell’età dell’oro della musica italiana. «Tra i tanti privilegi della mia vita ho avuto quello di “vivere” Battisti. In sala d’incisione, ma anche fuori. Giocavamo a ping pong e ci sfidavamo come fotografi. Lucio aveva a casa una camera oscura per sviluppare le immagini: Blow up di Michelangelo Antonioni aveva acceso in molti la voglia di avere un’attrezzatura professionale e di immortalare tutto quel che c’era intorno». «Ricordo ancora le session negli studi della casa discografica, la meticolosità assoluta con cui lavorava ai brani e alla scelta delle tonalità della voce, e poi i casting per cercare musicisti adatti. Ascoltava tutti con grande attenzione e spesso li congedava così: «Eh sì sei bravo, ma a me servirebbe uno più… pratico. Lucio era imprevedibile: una volta coinvolse le segretarie della casa discografica nei cori di E penso a te. Io, invece, sono tra le voci che popolano Il mio canto libero».

Cantante, compositore e produttore, Lavezzi si è immerso nei mille rivoli della musica italiana. L’ultimo album porta la firma sua e di Mogol. Si chiama Capolavori nascosti, contiene una canzone inedita, Una storia infinita, ed è una collezione di brani scritti a quattro mani: «Sono quei pezzi che non sono diventati hit single, ma brillano di una luce speciale. Gemme rare che hanno conquistato gli artisti che li hanno interpretati nel corso degli anni: da Lucio Dalla a Gianni Morandi, passando per per Ornella Vanoni, Biagio Antonacci, Riccardo Cocciante e Mango».

Uno dei progetti meno noti, ma artisticamente più rilevanti di Lavezzi, è Il Volo (niente a che vedere con il noto trio), una superband di metà anni Settanta in cui militavano, oltre a lui, Vince Tempera e Alberto Radius. «Allora la promozione si faceva andando in giro a suonare. Alla gente non fregava niente della televisione, era considerata una cosa da capitalisti. Peccato, però, che nessuno volesse pagare il biglietto per vedere la musica dal vivo. Erano i tempi dell’autoriduzione. Partecipammo al leggendario Festival del proletariato giovanile di Re Nudo al Parco Lambro, a Milano. Ricordo ancora la furiosa contestazione contro Adriano Pappalardo. Volevano menarlo. Poveraccio, lo aveva mandato lì ad esibirsi la casa discografica, sottovalutando il fatto che quello non era il suo contesto. Basti dire che si presentò a bordo di una Mercedes bianca» ricorda.

«Erano anni pazzi. In un tour a cui partecipavano altri gruppi ci esibivamo dopo una comune di free music fatta di gente che percuoteva pentole, coperchi e aggeggi vari, e gli Area, una band di musicisti eccezionali che in quel periodo suonavano un brano, Lobotomia, a base di fruscii ed effetti sonori. Poi entravamo in scena noi con le nostre canzoni fatte di melodia ed armonia, e il pubblico ci urlava di andare a Sanremo».

Altri tempi, altre regole del mercato discografico. «Una sera Loredana Bertè si convinse che E la luna bussò non fosse il singolo adatto per il suo disco. Telefonò al suo discografico, Alfredo Cerruti, alla una del mattino per chiedere di rivedere la scelta. La sua risposta? «Loredana, è notte. Il singolo è E la luna bussò: non c’è discussione, smettila di rompere”. Ecco, oggi non ci sono più direttori artistici che si rivolgono ai cantanti in questo modo. Sono quasi tutti “yes man” e a furia di dire sempre di sì rovinano carriere. Io rimpiango il tempo in cui un direttore artistico sapeva dire ai cantanti: “Questo disco non funziona, butta via tutto e riparti da zero”».

Sono bizzarre e imprevedibili le traiettorie delle canzoni che diventano memoria collettiva. Nascono e poi circolano tra i possibili interpreti in attesa che qualcuno se ne innamori e le incida. Il caso di Vita, testo di Mogol, musica di Lavezzi, è emblematico: «Venne proposta a Fiorella Mannoia e a Mina che però non la ritennero adatta a loro. Poi arrivò a Dalla che decise di cantarla con Gianni Morandi apportando una piccola modifica al testo. Ebbe un successo clamoroso. La canzone parla di una ragazza di cui si era innamorato Mogol, una donna che nella vita ne aveva combinate di tutti i colori, ma totalmente onesta nel raccontarsi per quello che era, senza censure o ipocrisie» racconta.

«Lucio era un genio. Sapeva quali fossero i brani che in un album facevano la differenza, e, unico tra i cantautori, non temeva di cantare pezzi firmati da altri. Come Vita, scritta da me, Canzone, composta con Samuele Bersani, e Attenti al lupo, da Ron» sottolinea prima di entrare nelle pieghe della sua relazione personale e professionale con Loredana Bertè. «Ricordo il primo incontro nel locale Arlati, che avevo aperto a Milano con Mogol e Radius. Me la presentò Marcella Bella. È stata una relazione personale burrascosa e rocambolesca. Io ero uno spirito libero e non sono mai stato fedele, ma anche lei non scherzava. Una sera dopo essere rientrato tardi a casa, mi ha sfasciato in testa una chitarra acustica. Con lei ho sofferto di gelosia, ma ho anche imparato l’inutilità di quel sentimento» rievoca.

«Sul piano professionale abbiamo inanellato un successo via l’altro: Dedicato, E la luna bussò, In alto mareAlla fine siamo rimasti in buoni rapporti, tanto che Loredana ha individuato la mia futura moglie persino prima che la conoscessi. A Ponza, dov’era con il suo fidanzato, aveva incontrato una donna affascinante. Al ritorno dalla vacanza mi disse: “Ho conosciuto una, appena la vedi la sposi”. Dopo qualche mese incontro finalmente questa ragazza in un locale a Milano. Beh, da quel momento non le ho più dato tregua… Ancora oggi mi risuonano nella testa le parole di Loredana: “Te l’avevo detto io”».

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