Home » Ma il clarino sì

Ma il clarino sì

Ma il clarino sì

LE SERIE STORICHE DI PANORAMA – speciale Sanremo

In occasione del Festival di Sanremo che sta per cominciare Panorama ha scovato nei suoi archivi due articoli storici. Il primo (del febbraio 1986) è un’intervista a Renzo Arbore, il secondo un commento di Camilla Cederna al Festival del 1989.


ARTICOLO PUBBLICATO IL 9 FEBBRAIO 1986

Una volta si e autodefinito «un salmone» nel senso che proprio come il vertebrato acquatico, la sua specialità sarebbe nuotare controcorrente. E anche se oggi Renzo Arbore ci tiene a sottolineare di sentirsi in realtà più affine a pesci meno chic, quali la triglia o il merluzzo, di scelte anticonformiste negli ultimi tempi ne ha fatte parecchie. Adulato e corteggiato, al culmine del successo del suo programma Quelli della notte Arbore ha chiuso bottega e se ne è andato come dice lui a «razzolare in terre d’Amerique», scomparendo non solo dal piccolo schermo (per mesi nessuna intervista e tre rapide apparizioni in tv). Innalzato sugli altari dello spettacolo e della comicità dai critici più esigenti (Beniamino Placido ha scritto che Arbore e l’ unico erede legittimo di quei prodigiosi artisti che fra gli anni 30 e gli anni 40 inventarono il Bertoldo, il Marc’ Aurelio, il Travaso) per il suo ritorno in scena Arbore ha scelto il più popolare dei palcoscenici: quello di Sanremo’ 86 dove, eccitato dal trovarsi in gara con la Rettore e Loredana Berte, canterà una sua canzone, non scevra di doppi sensi, dedicata al suo strumento preferito, Il clarinetto che cerca una «chitarrina» per suonare un vecchio blues. E mentre sull’asse Cinecittà-Parigi esplode una furiosa polemica sulla volgarità televisiva contrapposta alla magia del grande schermo con Federico Fellini e il suo ultimo film Ginger e Fred assurti a testimoni a carico nel processo contro quella tv spaghetti-spot e Coca-Cola che un critico francese ha definito «un’ ameba gigante», Renzo Arbore, personaggio televisivo dell’85, non esita a schierarsi dalla parte del piccolo schermo. La televisione? «E’ l’invenzione più straordinaria dell’ultimo secolo»; e ancora «Il cinema in tv mi ripugna, quando inizia un film io cambio subito canale»; ma soprattutto: «La pubblicità e affascinante, spesso e piu avanti di alcune opere cinematografiche che sanno di deja vu» spara a zero Arbore nella sua nuova casa di Roma tra una foto con dedica di Allegra Agnelli, cappelli da cow-boy acquistati durante il suo viaggio, decine di soprammobili kitsch in pura plastica e naturalmente come sottofondo lo schermo tv perennemente acceso. In partenza per il Sudan per uno spettacolo benefico, alla vigilia del debutto a Sanremo («Nella mia vita ho gia partecipato una volta a un fotoromanzo che fu pubblicato da Bolero» ricorda ridendo) Arbore, nato a Foggia nel’ 37, assunto alla Rai nel’ 64 («Sceglievo la musica per i programmi degli altri»), autore di decine di trasmissioni radiofoniche e televisive di successo, da Alto gradimento a l’Altra domenica, e di due film meno fortunati (Papocchio e FF.SS.) ha parlato con Panorama del mondo televisivo, dei suoi miti, pregi, difetti. Spiegando anche come, a modo suo, forse per furbizia forse per onesta, cerca sempre di essere al servizio del pubblico.

Dopo la prima a Roma del film di Fellini alcuni quotidiani hanno riportato una sua frase: «La tv ha molti difetti ma non quelli di questo film». E questo il suo giudizio su Ginger e Fred?

Quella sera me ne sono andato subito dopo il film proprio per non parlare con nessuno. Oltretutto io la penso in modo opposto: la tv ha grandissimi pregi e anche certi difetti, come quelli indicati da Fellini. Fellini ha ragione a denunciare una certa volgarità consumistica che oggi più che mai e arrivata all’ eccesso senza peraltro venir abbastanza osteggiata dai giornali e da quei critici come Sergio Saviane che nella tv vedono i difetti minimi senza accorgersi di quelli più importanti. In alcune trasmissioni c’ e questa volgarità, questa spietatezza nello sfruttare il caso pietoso. Pur di far spettacolo si scavalcano i sentimenti, le buone maniere e soprattutto il buon gusto.

Sta parlando di quella che Placido su Repubblica ha definito come la stagione dei miracoli in diretta?

Si anche se ci sono miracoli e miracoli. Camminare sui carboni ardenti e una cosa simpatica e anche coraggiosa. In alcuni casi invece presentare il vecchio malandato un po’ felliniano che tira avanti a Coramina, pur di arrivare al pubblico piu facilone, mi sembra che sia un uso scorretto del mezzo televisivo. In questo, ripeto, Fellini ha ragione. Per quanto penso io, pero, i vantaggi e la bellezza della tv sono talmente tanti e il fascino di questo mezzo e i contributi che la televisione ha dato alla società sono talmente forti che non vedo perché bisogna snobbarla come ha fatto il Maestro o sottovalutarne l’ importanza.

Ma allora Renzo Arbore cosa rimprovera a Federico Fellini?

Trovo che come altri Fellini dimentica le sue origini provinciali dietro la retorica del «come si stava bene quando si sentiva lo sciacquettio delle fontane e lo scalpitare dei cavalli sul selciato». Peccato che il Maestro si scorda che, ai tempi dello sciacquettio e dello scalpitio, la gente nelle case e nelle osterie parlava del vestito della comare e del rincaro del prezzo dei broccoletti. Io che sono un provinciale, con tutti i vantaggi e gli svantaggi del caso, ho visto la mia città, Foggia, trasformarsi totalmente grazie a quel quadratino di vetro. Nel bene e nel male oggi la tv e l’ argomento principale degli italiani a tavola; e la tv che ci fa vedere cose straordinarie come nel caso di Quark o degli speciali Tg; e ancora la tv che ci diverte con alterne vicende e fortune, con programmi tradizionali e programmi beceri ma anche con i programmi comici più intelligenti. E’ inutile praticare lo snobismo cinematografico dimenticandosi che tutti gli ultimi comici, da Pozzetto a Benigni, da Verdone a Troisi, hanno iniziato in tv per poi passare al cinema. Insomma io la tv non la snobbo, mi appassiona, mi consola, mi piace e, oltretutto, mi serve perché grazie alle tv locali e regionali posso vedere una realtà simpaticamente periferica. Spero che queste emittenti vengano tutelate perché proseguono nel tempo quella tradizione popolare che una volta avevano le feste di piazza.

Ma scusi, Arbore, e proprio questo di cui si sta discutendo: dell’ omogeneizzazione culturale, della perdita delle proprie radici, del mondo dell’ immaginario invaso da quiz e spot mentre la gente non va piu al cinema.

In tutte le evoluzioni ci sono degli aspetti negativi che comunque secondo me, nel caso della tv, sono secondari. Rispetto agli anni Cinquanta lo spettatore e più esigente: allora il cinema era l’ unica cosa che offriva il mondo dell’immagine. Oggi invece se esci di casa e paghi, vuoi qualcosa di eccezionalmente spettacolare, di eccezionalmente comico, di eccezionalmente drammatico, qualcosa che non puoi reperire in tv. Ed e proprio questa la chiave del successo di film come Rambo. Se invece si vuol dire che c’è una tv fatta male, allora e un altro discorso. Anche dalle mie esperienze negli Stati Uniti mi sono convinto che la tv ha nella mediocrità il suo massimo comun denominatore. La tv commerciale americana che e stata di modello a tutte le altre e una televisione fatta da grandi numeri per grandi numeri, una tv mediamente grossiere (grossolana, ndr) che non solo non punta alla qualità ma anzi la sdegna. Questa e la legge della massificazione per uno strumento che arriva in tutte le case, che viene guardato distrattamente e che deve accontentare quel grande pubblico che io definirei il “targettone”, ottenuto cioé dalla miscela di tutti i target. E in questo targettone ci sono tutti quelli su cui si discetta da mattina a sera: i professionisti ma anche le casalinghe e i braccianti di Matera, anzi di Potenza. Dico questo rivolgendo un particolare pensiero per Beniamino Placido che e di Potenza e che, forse afflitto da questo modo di dire, ho visto che l’ ha modificato inventando la figura della casalinga di Voghera. Ma e inutile che sfugga: il bracciante e di Potenza!

Insomma Arbore dove vuol andare a parare?

Le rispondo con un episodio. Un dirigente televisivo americano mi ha trattato come un pazzo perché avevo avuto con Quelli della notte un successo cosi grosso. Secondo lui avrei dovuto perseguire un successo minore ma più duraturo perché cosi avrei venduto il mio prodotto agli sponsor: ecco chi sono diventati i veri deus-ex-machina della tv! Gli sponsor! Quelli che hai e soprattutto quelli che devi conquistare. A certi responsabili tv non gliene frega nulla del pubblico, gli importa solo il totem dell’ indice d’ ascolto perché farà guadagnare tanti soldi alla propria azienda. E un fatto solo commerciale.

Lei mi stupisce. Non ha forse sempre difeso il mondo della pubblicità, non ha forse lei stesso prestato la sua immagine per dei messaggi pubblicitari?

Mi faccia rispondere con ordine. Prima di tutto riconosco che il linguaggio pubblicitario e servito da battistrada a molti di noi. In Alto gradimento, per fare un solo esempio, Buoncompagni e io usavamo dei veri e propri slogan. Detto questo e evidente che, come tutti gli eccessi anche l’ uso smodato degli spot e deprecabile soprattutto quando interrompe la tensione cinematografica. Voglio pero fare anche un mio piccolo discorso che Saviane non ha capito…

Ma lei ce l’ ha proprio con quel poveretto di Saviane!

Si perché il grande critico non ha capito ancora che quando io vendo il mio lavoro ai produttori di birra e il pubblico mi vede con il bicchiere in mano e poi appare il marchio faccio un’ operazione molto più corretta di chi, magari, non presta il suo volto per la pubblicità diretta, e in compenso sfrutta la tv per i propri interessi spiccioli personali o commerciali, per lanciare un film, un libro, una canzone e fa tutto questo a scapito del telespettatore. Diciamolo chiaramente: ormai i programmi tv sono permeati di pubblicità indiretta e la tv e spesso trattata come una bancarella sulla quale ognuno espone la propria merce. Naturalmente ci sono delle eccezioni. Nel mio piccolo quando mi chiedono di apparire in una delle sette chiese — cosi noi chiamiamo i salotti televisivi da quello della Carrà a quello di Costanzo — cerco di dare il mio contributo allo spettacolo. E poi naturalmente non tutte le trasmissioni sono cosi: l’ ultima edizione di Fantastico ha aperto a dei ragazzi non pre-selezionati dalle case discografiche. E un segnale che il successo dei miei programmi qualche acqua ha smosso.

A che cosa si riferisce?

Quelli della notte è nato proprio perché non volevo fare un programma con i soliti ospiti noti che mi venivano a cantare la solita canzone. Per questo ho puntato su degli insoliti ignoti che avessero il gusto di divertire con me lo spettatore. Ho cercato di valorizzare la verità, l’ improvvisazione. Il pubblico lo ha capito.

Se è cosi non le sembra quasi paradossale che personaggi scelti da lei in chiave anticonsumistica siano poi stati per mesi protagonisti di apparizioni e comparsate di vario genere?

E’ proprio il mio rammarico che certe operazioni commerciali siano state fatte sprovvedutamente e frettolosamente da parte di molti dei miei amici. A loro giustificazione va il fatto che il successo travolgente ha generato decine di offerte e loro sono rimasti frastornati. Da parte mia, a parte il disco che abbiamo inciso solo dopo, perché mi sembrava un peccato buttare via tanta grazia di Dio, quando ho capito l’ aria che tirava, colpito dall’insolito successo decretato dal colto e dall’inclita, ho deciso di smettere. Una trasmissione può anche essere uccisa dal troppo successo e io ho avuto paura di non reggere, di perdere l’equilibrio, di rovinare un episodio bellissimo per tutti noi. Cosi sono partito per l’ America per un viaggio che avevo sempre sognato e che, dopo la morte di mia madre, nessun legame mi impediva. In Usa “on the road”; ogni giorno una destinazione diversa, dall’ Arizona al Texas, dalle Hawaii a New Orleans a vedere spettacoli, a sentire musica, a guardare tv.

E che cosa ha trovato di interessante?

Vuole un consuntivo del viaggio? Niente, non c’ e niente. Nulla che non si sappia. Anzi quello che si sa viene, per una sorta di provincialismo praticato da noi e dai giornalisti che riferiscono da li, troppo strombazzato. New York una città sempre uguale dove da 12 anni Woody Allen, con una costanza degna di un ragioniere di Brescia, va puntualmente ogni lunedi a suonare il clarinetto al Michel’s pub; dove la bistecca si mangia sempre in un certo ristorante; dove sulla 42 Strada c’e sempre un musical che dura da dieci anni e dove proporzionalmente ci sono meno locali jazz che a Milano. Rispetto al mio ultimo viaggio l’ unica cosa nuova che ho trovato e stata la nascita di Sea-Port, un villaggio in stile europeo, carino. Ciò detto, la Big Apple rimane sempre il motore del mondo e i problemi sono quelli soliti: «Che cosa si fa stasera?». Perché a New York non si sa mai dove andare e ti dicono: «Beato te che stai a Roma!». New York è comunque la città piu movimentata degli Usa! Per il resto, di notte, chiusi nelle loro villette, con la tv che trasmette Johnny Carson, gli americani dormono.

D. Con questo insolito diario di viaggio cosa vuol dire?

Che siamo noi, quelli della piccola e gaudente provincia dell’Impero, a saper vivere meglio. Noi siamo più vispi degli americani, in tutti i sensi. Prenda questa benedetta storia della Tv spaghetti e Coca-Cola che tanto sembra angosciare alcuni intellettuali francesi. Dopo aver per anni saccheggiato tutta la riserva Usa e chiaro che la sfida la vinceremo noi. Vuol mettere certi programmi copiati dalla tv americana con la Piovra? E per questo che certi discorsi io non li capisco: forse perché sono un liberale — non nel senso partitico del termine — ho sempre pensato che la libertà non può nuocere. Cosi in Francia, con l’ arrivo di Berlusconi, succederà esattamente quello che e capitato da noi. Le provocazioni commerciali di Berlusconi sveglieranno la loro tv che e un po’ addormentatella e la tv di Stato reagirà con i mezzi che ha a disposizione: l’ autorevolezza, l’ informazione, il non spietato inseguimento sul terreno del mercato. Anzi mi sembra giusto, a questo punto, salutare un abile presidente come Sergio Zavoli, amato da tutti noi collaboratori, sempre rispettoso dell’ etica professionale prima che di altri interessi. Sotto la sua presidenza e grazie anche a un direttore come Biagio Agnes si e combattuta la concorrenza, si e mantenuto il primato, si sono inventate nuove fasce d’ ascolto come quella di Raffaella, di Italia sera, e quella notturna con Enzo Biagi e con me.

E in tutti questi ultimi anni lei non ha mai pensato di cedere alle provocazioni commerciali di Berlusconi?

Qualche volta le difficolta e le storture dell’azienda mi fanno venire la voglia. Ma cosa vuole, io sono un meridionale sentimentale. All’ azienda sono affezionato. Pensi che subisco persino il fascino dell’edificio de’ co della radio! Certo avrei risolto i problemi economici della mia vita perché, a differenza del mio collega Baudo, non lavoro continuamente. Oggi sono un disoccupato. Comunque il fatto e che a me il potere non interessa.

Facile a dirlo! Ma voi della tv siete le nuove star, voi avete in mano un grande potere. E tutto ciò sembra aver dato un tantino alla testa ad alcuni suoi colleghi!

C’è un detto napoletano che dice «Meglio comandare che fottere» io invece prediligo la seconda cosa. Sono un clarinettista, uno che spalleggia la tromba punzecchiandola per farla suonare meglio. Riconosco però che la tv da molto potere e che tra noi e i nostri ospiti televisivi si rischia di creare una sorta di complicità per cui, per esempio, e difficile che un personaggio di cui ho una grande stima come Alberto Bevilacqua dopo essere stato da Baudo o da Costanzo possa parlare male dei loro programmi sul giornale. Anche per questo, e per non perdere di vista il giusto valore delle cose, seguo un mio codice personale.

E rientra nella sua etica parlare cosi poco di vita privata? Il pubblico, braccianti di Potenza compresi, non può sperare in un altro matrimonio televisivo di un figlio del sud?

Non sperate, non sperate! Anche perché, pur avendo fatto dei dibattiti con gli amici, una candidata all’altezza della Ricciarelli non e stata individuata. Per superare a destra il collega Baudo dovrei almeno avere una storia con la figlia di Reagan

Non esageriamo! Non basterebbe la figlia di De Mita?

Beh certo è più avvenente, sicuramente e piu giovane ma, con tutta la simpatia, non e Katia Ricciarelli! No, ci vuole la figlia di Reagan o altrimenti bisognerebbe andare in un altro settore e trovare una pastorella di Dorgali, una oscura pastorella sarda da portare ai fasti dello spettacolo celebrando le nozze in Santa Maria Maggiore alla presenza di Monica Vitti e di Franco Zaffirelli.

Arbore mi sembra che lei, al di la degli scherzi e dei discorsi etici, gestisca in realtà con molta furbizia la sua immagine, il suo successo. Ma allora perché Sanremo?

Sono nel momento più difficile della mia carriera perché dopo un successo unanime e difficile non deludere il pubblico. Essere diventato importante mi ripugna e rischia oltretutto di farmi guardare con sospetto. Sono quello che ha scoperto Benigni e Marenco, quello che ha girato dei film, che piace in tv e si mette la sciarpa al collo: il rischio e che la mia immagine sia quella del burattinaio, di uno che tiene le fila, uno al quale si deve ossequio. Un personaggio antipatico insomma. Per questo ho deciso di rivestire i miei panni preferiti, quelli del burattino, e me ne vado a Sanremo.

SANREMO 1989: ORNELLA TRA LEI E LUI

ARTICOLO PUBBLICATO IL 19 MARZO 1989

di Camilla Cederna

Il Festival di Sanremo è passato da un pezzo; però due osservazioni non sono state fatte: quante le lingue patinate in mostra durante il canto, quante le nuove capsule dentarie esuberanti per certe bocche e qua e là un petto artificiale che esce prepotente dalla scollatura (il chirurgo attacca la sua protesi al posto giusto, cioè una piccola massa di gel di silicone racchiusa in un involucro di poliuretano per evitare qualsiasi contatto con il silicone e i tessuti organici). Attenta però quella così esageratamente florida se in auto ha un piccolo incidente: basta un tamponamento, una caduta in avanti e quelle due mezze angurie scoppiano come palloncini. Una volta di più anche a questo Festival Ornella Vanoni ha diviso quella famiglia. Il marito che dice: Una donna che sa cos’ è l’ amore, è una tigre, sa quello che vuole, la voce le viene, da giù, insomma d’ un sexy mai visto. Mentre le moglie diffidano di lei: Non era meglio una volta, non è un pò cavallina, non ti pare che il sorriso fa teschio? Ma sì, forse una donna così ti andrebbe bene, saprebbe farti girar dritto. Senza sapere che, ancora oggi, lei trema prima d’ andare in scena, perché è sempre stata una indifesa, una insicura, una foglia al vento. Ricordo un’ intervista che le feci nel ’68, e proprio questo mi disse poco prima del secondo recital della sua vita. Il primo l’ aveva fatto con la regia di Strehler al Gerolamo, ed era stata una famosa rapinatrice del West, la prostituta Jenny, la ragazza di un gangster. Non si sente più legata a lui? le chiese tanto la vidi disponibile alla confessione. No, quel rapporto si era consumato da solo. Aveva ventidue anni, quando cominciò a lavorare al Piccolo teatro. Come non innamorarsi di questo demiurgo dalla bella testa e la voce affascinante che in un modo anticonvenzionale le insegnava a recitare e a cantare? Ma si era accorta ben presto che accanto al genio conviveva una specie di mostro, un capriccioso istrione: fu allora che, come in uno specchio, vide che stando ancora con lui ne sarebbe stata distrutta, e così si sciolse il loro rapporto insano. Sbagliò ancora varie volte, a cominciare dal suo matrimonio: fu la prima a chiamare il mio fidanzato l’ amante (ma con un lampo ilare negli occhi): e me la ricordo un giorno dal parrucchiere, il quale seguiva ben attento le istruzioni che l’ attuale fidanzato gli stava propinando per lo spettacolo della sera. Mi raccomando, una criniera da zingara, viva, gonfia, corposa, che possa squassarla di qua e di là. Ancora oggi la squassa, gesto che torna a rapire i mariti, mentre le legittime insistono col trovarla piena di difetti, occhi piccoli, bocca enorme e dentoni, insomma il lupo di Cappuccetto rosso quando è nel letto della nonna. Sono tutti pregi, zitte voi che non capite niente. Così, conclude Ornella, una volta di più in quella casa calan giù dei musi Vanoni che non finiscono più.

© Riproduzione Riservata