Home » Leonora Carrington: c’era una volta l’artista maga

Leonora Carrington: c’era una volta l’artista maga

Leonora Carrington: c’era una volta l’artista maga

Pittrice surrealista di valore, scrittrice raffinata, la sua vita e l’opera vengono ora valorizzate da libri e mostre. nel suo mondo si aprono dimensioni parallele, fatate, dove agiscono forze primordiali. E la figura femminile è in contatto profondo con la natura.


«Nell’arte come nella vita la magia si insinua ovunque all’insaputa degli uomini, vittime di quell’ipnosi materia che è in realtà un miraggio – uomini e donne sono perpetuamente stregati pur credendosi “pratici”, “coscienti”, “volitivi”». Così Leonora Carrington rispose al questionario che il papa del Surrealismo, André Breton, aveva inviato a lei e a numerosi altri artisti e studiosi per interrogarli sul ruolo e la funzione della magia nella Storia. Si trattava di una «inchiesta» che sarebbe divenuta parte di un ampio lavoro intitolato L’arte magica, che vide la luce soltanto nel 1957.

Quel volume è divenuto testimonianza di ciò che i surrealisti cercarono (e in parte trovarono) nella ricerca esoterica: una sorta di ribellione al tempo della razionalità e della tecnica, una fuga dalla modernità attraverso i mondi sottili che separano l’umano dal divino. «I progressi della scienza, su cui certuni contavano per dissipare le illusioni di epoche passate, hanno avuto per risultato paradossale di ravvivare, su vasta scala, la nostalgia per i primi tempi dell’umanità» scriveva Breton. Da qui la riscoperta dell’antica arte alchemica, il tentativo di entrare in relazione con le potenze ctonie di una natura ancora incantata, che Breton approfondì anche grazie alla frequentazione di Kurt Seligmann: artista di origini svizzere che si dedicò alla rivitalizzazione dell’immaginario medievale dei trovatori e scrisse persino una robusta storia delle dottrine esoteriche, Lo specchio della magia. In Breton, tuttavia, sono forse troppo forti le influenze freudiane, e conta la passione per il marxismo, che lo motiva a una ricerca di un’alternativa apparentemente irrazionale al tecnicismo del Capitale.

Diverso, molto diverso è il discorso per Leonora Carrington. Lei – nata in Gran Bretagna nel 1917, figlia di un ricco magnate del tessile nel Lancashire – nella magia è stata immersa fin da bambina. Sua madre, Maureen Moorhead, è irlandese, è lo è pure Mary Kavanagh, la tata cui la piccola è affidata. Tra i racconti della nonna materna e quelli della balia si intreccia il mondo fatato del folklore celtico attorno a Leonora, che già dall’infanzia mostra i tratti tellurici di una creatura dei boschi. Lei nel mondo fatato ci vive, non lo sceglie come via d’uscita, non ne fa del tutto una rivendicazione politica. Questa sarà in parte la sua condanna, in parte la sua fortuna. In fondo, le ragioni del suo successo e della sua attualità stanno tutte lì, in quel rapporto con il femminile primordiale che la nascita le ha donato. Oggi questa misteriosa figura di artista maga gode di un ritorno di fiamma.

Pittrice di valore e scrittrice raffinata, la sua vita è ben raccontata da Giulia Ingarao in Leonora Carrington. Un viaggio nel Novecento (Mimesis), mentre i suoi lavori letterari sono in corso di ripubblicazione da Adelphi. Nel frattempo, i suoi dipinti si manifestano in tante e prestigiose sedi. Alcuni sono richiamati da Luca Scarlini nel catalogo della mostra Stregherie (fino al 26 febbraio alla Villa Reale di Monza). Un suo libro, Il latte dei sogni, ha dato il titolo all’ultima Biennale d’arte curata da Cecilia Alemani. Sue opere sono state incluse nella splendida mostra Surrealismo e magia. La modernità incantata, che si è chiusa Venezia nel settembre del 2022 per poi trasferirsi a Potsdam, dove è ancora visibile. Non è un caso che dietro ci sia la Collezione Peggy Guggenheim: la celeberrima collezionista americana fu tra le grandi sostenitrici del surrealismo e tra il 1941 e il 1946 anche la moglie di Max Ernst, il vero mago surrealista che tanto condizionò l’esistenza della più giovane Carrington, come vedremo tra poco.

Ma torniamo a lei, giovanissima furia. Il padre – ateo dichiarato – cerca di darle un’educazione cattolica, ma tutti gli istituti in cui la spedisce dopo poco la respingono giudicandola ineducabile. La svolta arriverà passata l’adolescenza, quando Leonora scopre la sua vocazione: l’arte. Un amore che l’avvince definitivamente nella città ermetica per eccellenza, Firenze, dove si forma per cinque anni all’Accademia internazionale del disegno, per poi rientrare a Londra (dal 1935 al Chelsea college art and design, dall’anno successivo alla Ozenfant Academy of fine arts di Kensington).

Sfoglia manuali di disegno e testi esoterici: il sentiero della magia, fino ad allora imboccato per istinto e nascita, diviene una strada percorsa consapevolmente. Poi, il primo punto di svolta: l’incontro con Max Ernst. A ben vedere, Leonora si era già imbattuta in lui e ne era rimasta ammaliata: ne aveva osservato con attenzione le opere, ed era determinata a conoscerlo. Racconta Tasmin Petrie: «Carrington era un’ex studentessa d’arte debuttante quando fu presentata a Ernst a Londra nel 1937; il surrealismo era di gran moda e l’artista tedesco uno dei suoi più importanti praticanti. Era anche un donnaiolo e la loro relazione fece arrabbiare il padre magnate di Carrington a tal punto che prese provvedimenti per far arrestare Ernst per aver esibito opere pornografiche». Quella del padre di Leonora non fu la sola ira che suscitarono. Anche la moglie di Ernst s’imbestialì. In quel momento, ricostruisce Elvira Seminara (in Leonora Carrington, Giulio Perrone editore), «lei ha 20, lui 46. Non è bello, somiglia a un uccello esotico, ed è sposato da dieci anni con Marie-Berthe Aurenche, trent’anni più giovane di lui, molto ricca. Ma Leonora e Max si riconoscono e si innamorano – prendono il volo». La Aurenche, invece, si suiciderà poco dopo.

Due immagini sono rappresentative di questo legame. La prima è la foto scattata da Lee Miller in Cornovaglia, che ritrae Ernst abbracciato a Leonora, le mani aperte a coprire i seni nudi di lei. La seconda è il ritratto di Ernst che la Carrington realizzò nel 1939. Il suo compagno e artista vi è raffigurato come uno stregone androgino, un pallido alchimista, un uomo-uccello. Leonora lo chiamava Loplop, appunto il nome di un mistico volatile, e non è secondario che nella mitologia celtica gli uccelli siano tramite fra mondo reale e quello degli spiriti.

La relazione è potente, ma pericolosa. Ernst, che prospera in Francia assieme agli amici artisti, viene arrestato per ben due volte. Prima, in quanto tedesco, come straniero ostile. Poi, dopo l’occupazione tedesca, come artista degenerato. Leonora ebbe un crollo nervoso, cominciò a frequentare istituti psichiatrici. La ritroviamo in Spagna, poi in viaggio verso il Sudafrica dove i genitori vogliono mandarla pensando di farla tornare in salute. In viaggio verso il Continente nero, si ferma in Portogallo, raggiunge chissà come l’ambasciata messicana e si lega al poeta e diplomatico Renato Leduc, che la porta con sé in Messico: un nuovo incontro, una nuova svolta. La nazione centroamericana diviene la patria di Leonora, che morirà nel 2011 proprio a Città del Messico, a 94 anni.

Se sul versante personale il periodo tra fine anni Quaranta e anni Sessanta è tumultuoso e doloroso per la Carrington, sul piano artistico i risultati sono eccezionali. La sua immersione nel pensiero magico si fa più intensa, complice la scoperta del capolavoro di Robert Graves La dea bianca, corposo studio sull’iconografia della Dea Madre, la Magna Mater: «Un testo strumentale nel plasmare la sua coscienza femminista profondamente radicata nella protezione del mondo naturale; ora riconosciuto come un precursore della prassi e del pensiero eco-femminista» scrive Tasmin Petrie.

Ed ecco che il tema della stregoneria si affaccia con prepotenza nell’opera di Leonora. Nel 1950 realizza La gigantessa, che raffigura senz’altro una strega, priva però di tratti diabolici. Anzi, qui la maga è figura positiva, emblema del femminile in profondo contatto con la natura: è la strega che il femminismo ci ha raccontato negli ultimi decenni.

Alchimia, Qabbalah, tarocchi: i temi esoterici da qui in avanti saranno dominanti nel lavoro di Leonora. La frequentazione del Messico la avvicinerà allo sciamanesimo, e le farà incontrare altri artisti-maghi: Remedios Varo, Kati Horna e poi Alejandro Jodorowsky, che metterà in scena suoi scritti per il teatro. «Nel rivendicare la strega come musa ispiratrice, mi piace pensare che Carrington, Varo e Horna ne abbiano anche incanalato l’essenza come un faro di speranza e potere all’interno del loro collettivo guidato da donne» scrive Tasmin Petrie.

Dal suo punto di vista, non ha torto: chi vuol capire il femminismo e l’ecologismo odierno deve senz’altro partire dalla storia di Leonora Carrington e delle sue frequentazioni magiche. n

© riproduzione riservata

© Riproduzione Riservata